Il vento salato accarezzava i capelli di Sofia mentre stringeva gli occhi contro il sole, immergendo il pennello nellazzurro del mare che stava dipingendo.
Lacqua si confondeva con il cielo, creando quel blu profondo che solo il tramonto a Portofino sa regalare. Aveva ventanni, ma il mare rimaneva un enigma una voce che la chiamava e la tormentava.
Giulia si avvicinò alle sue spalle, silenziosa come unombra, e appoggiò il mento sulla sua spalla, respirando lodore della vernice mescolato alla salsedine.
“È troppo cupo,” sussurrò, senza rimprovero, solo con dolce preoccupazione. “Oggi il mare è calmo.”
Sofia sorrise senza staccare gli occhi dalla tela.
“Non sto dipingendo il mare. Sto dipingendo il suono che aveva nei miei sogni.”
Giulia le accarezzò i capelli. Quindici anni prima, lei e Luca avevano trovato quella bambina sul molo di Viareggio bagnata, spaventata, con occhi come il cielo prima della tempesta. Non ricordava il suo nome, né da dove venisse.
La chiamarono Sofia. E quel nome attecchì, diventando parte di lei.
Avevano aspettato. Settimane, mesi. Annunci sui giornali, domande alla polizia. Nessuno cercava una bambina dai capelli dorati e gli occhi tempestosi.
“Tuo padre è tornato con le triglie,” disse Giulia, indicando la casa. “Dice che oggi il mare è stato generoso.”
Luca stava già accendendo la griglia, la sua risata risuonava nel cortile. Amava Sofia non solo come una figlia, ma come un dono che il mare gli aveva restituito.
La loro vita scorreva tranquilla. Lestate era giardinaggio e cene in terrazza. Linverno, riparare le reti e ascoltare Sofia leggere vicino al camino.
A volte litigavano per un ragazzo, per i suoi sogni darte, per il futuro. Luca sperava che restasse, Giulia metteva da parte soldi per lAccademia. Ma ogni tensione si scioglieva a tavola.
Sofia posò il pennello e si voltò.
“Mamma ti sei mai pentita?”
Giulia la guardò a lungo. Nei suoi occhi cera ancora la paura di quei primi giorni.
“Mai. Neanche per un secondo.”
La strinse forte, sentendo lodore della pittura e del sale. Le sembrò che tutto la casa, il giardino, quella figlia fosse fragile come un vetro. E si promise di proteggerlo.
Lidea del concorso “Giovani Artisti della Liguria” venne a Luca.
“Ecco la tua chance,” disse, battendo il dito sul giornale.
Sofia rifiutò. Esporre i suoi sentimenti era come spogliarsi. Ma Giulia la guardò con occhi imploranti.
“Prova. Per noi.”
E cedette.
Dipinse per una settimana intera. Poi, di notte, lispirazione arrivò.
Non avrebbe ritratto ciò che vedeva, ma ciò che sentiva.
Due paia di mani. Quelle ruvide di Luca che reggevano una conchiglia. E quelle di Giulia, che le coprivano, proteggendo quel tesoro.
Lo chiamò “Il Porto Sicuro”.
Vinse. Il giornale locale scrisse di lei, accennando alla storia la bambina trovata in spiaggia, adottata da un pescatore.
Poi iniziarono le stranezze. Unauto elegante che passava lentamente. La sensazione di essere osservata.
Una sera, trovò Giulia sul portico, pallida, con una busta in mano.
“È per te.”
Dentro, un foglio profumato di gelsomino:
“Ciao. Il tuo nome è Sofia, ma alla nascita ti chiamammo Viola. Io sono tua madre.”
Le parole le bruciarono gli occhi.
Quando Luca tornò, lesse la lettera e la scagliò a terra.
“Quindici anni! E adesso che hai successo, si ricorda di te?”
“Ci andrò,” disse Sofia, ferma.
Sul molo, una barca si avvicinò. Ne scese una donna in tailleur bianco.
“Viola” sussurrò.
Sofia rimase immobile. Sentì la mano di Luca sulla spalla, quella di Giulia sulla schiena.
“Buongiorno. Mi chiamo Sofia.”
La conversazione fu incerta. La donna Isabella mostrò foto: un padre sorridente, una bimba in braccio. Un mondo sconosciuto.
“Non chiedo che vieni con me. Solo di conoscerti.”
Luca serrò i pugni.
“Lei ha una famiglia!”
“Papà, basta.”
Sofia guardò Isabella. Due nomi. Due madri.
“Ho bisogno di tempo.”
Le settimane seguenti furono silenziose. Sofia non dipingeva più. Luca camminava come una tempesta. Giulia cercava di tenere tutto unito.
Poi, Sofia chiamò Isabella.
Si incontrarono in un bar affacciato sul mare. Parlarono del naufragio, degli anni perduti. Sofia vide in lei non una straniera, ma una donna ferita.
Poi venne il discorso con i suoi genitori.
“Voglio conoscerla. Ma voi siete la mia casa.”
Isabella affittò una casa vicino. Non per ostentazione, ma per esserci.
I primi mesi furono duri. Poi, lentamente, il ghiaccio si sciolse. Isabella conquistò Luca parlando di pesca. Giulia le aprì il cuore.
Non sostituì Giulia. Divenne unamica. Pagò lAccademia, accompagnò Sofia alle mostre. Le restituì ciò che il mare le aveva rubato.
Un anno dopo, Sofia dipinse un nuovo quadro: il molo, due barche, tre donne che si tenevano per mano.
“Famiglia.”
Sette anni dopo, in una galleria a Milano, Sofia presentò la sua mostra. Parlò, sorrise. Ma i suoi occhi cercavano sempre tre persone in disparte.
Luca, con una giacca stretta tra le mani. Giulia, che la osservava con orgoglio. E Isabella, elegante, stanca, ma felice.
“Tuo padre sarebbe fiero, Viola,” mormorò.
E per la prima volta, quel nome non fece male.
Prese Giulia e Isabella per il braccio. Luca le avvolse nelle sue grandi mani quelle che lavevano sollevata dalla sabbia anni prima.
E in quel momento, erano semplicemente una famiglia.
Non perfetta. Un po strana. Ma intera. Forgiata dalla tempesta. E indistruttibile.
Oggi capisco: lamore non si divide, si moltiplica. E la famiglia non è solo sangue, ma chi scegli di tenere stretto.






