«Sei una poveraccia», sbuffò la suocera, senza sapere che era sulla soglia del mio sfarzoso palazzo

«Sei una poveraccia», sbuffò la suocera, senza sospettare di trovarsi sulla soglia del mio lussuoso palazzo.
«Carlo, tesoro, devi tenere sotto controllo tua moglie», disse con voce gelida Tamara Ivanovna, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, fissando invece i suoi guanti come se contenessero il segreto delluniverso. «Non siamo in una squallida bettola, ma nella casa di persone importanti. Qui ci si comporta con dignità.»
Stavo in piedi, le mani serrate dietro la schiena per nascondere il tremore che mi attraversava le dita. Ogni parola era un colpo preciso, una lama che affondava dritta al cuore. Accanto a me, Carlo tossicchiò nervosamente, aggiustandosi il colletto della camicia come se improvvisamente fosse diventato troppo stretto.
«Mamma, ma cosa dici?» cercò di smorzare la tensione, ma la voce gli tremava. «Elena sa benissimo come comportarsi.»
«Lo sa?» sbuffò Tamara Ivanovna, finalmente alzando lo sguardo su di me con un disprezzo che sembrava trafiggermi. «Ha addosso un vestito da mercatino! Roba che nemmeno comprerei per andare a fare la spesa.»
Aveva ragione, il vestito era semplice. Ma non per caso: lavevo scelto apposta, sobrio ed elegante, perché sapevo che qualsiasi altro mio capo avrebbe scatenato il suo sarcasmo.
Eravamo nel vasto atrio, inondato di luce, dove ogni passo risuonava lieve sul marmo lucido che rifletteva il sole attraverso lenorme finestra panoramica. Laria era fresca, profumata di fiori esotici, quasi magici, che sembravano fluttuare invisibili.
«E come fa il tuo capo a tollerare una cosa del genere?» continuò la suocera, rivolta a Carlo ma fissando me come se fossi uno scandalo domestico. «Con una dipendente così vi sta rendendo ridicoli.»
Carlo aprì la bocca per difendermi, ma scossi leggermente la testa. Non ora. Non qui. Non con lei.
Feci un passo avanti, rompendo il silenzio pesante. I miei tacchi scricchiolavano appena sul pavimento perfetto.
«Preferite passare in salotto?» dissi con voce calma, quasi cordiale. «Probabilmente ci stanno già aspettando.»
Tamara Ivanovna strinse le labbra, ma mi seguì, come se mi stesse facendo un favore. Carlo camminava dietro, imbarazzato come un ragazzino colto in flagrante.
Il salotto era ancora più impressionante dellatrio: un divano bianco enorme, poltrone futuristiche, un tavolo di cristallo con gigli freschi il cui profumo riempiva laria come una sinfonia. Una parete era completamente vetrata, affacciata su un giardino perfetto, con un prato curatissimo e un laghetto luccicante.
«Ecco, questa sì che è vita», commentò Tamara Ivanovna, passando un dito sul bracciolo di una poltrona con aria critica. «Non come certa gente, inchiodata in un bilocale ipotecato.»
Lanciò unocchiata significativa a Carlo. Era il suo colpo preferito: ricordargli che meritava di più, e che io ero lostacolo.
«Mamma, ne avevamo parlato», sospirò Carlo, sentendo la tensione salire.
«Cosa avrei detto di male?» alzò un sopracciglio. «Constato un fatto. Cè chi vive in palazzi così e chi non è capace di mantenere neanche la famiglia.»
Si girò verso di me, e nei suoi occhi brillò qualcosa di gelido, quasi animale.
«Un uomo ha bisogno di una donna che lo sollevi, non di un peso morto. Tu invece?» mi scrutò dalla testa ai piedi. «Sei una poveraccia. E trascini mio figlio nel fango con te.»
Lo disse piano, quasi distrattamente, ma ogni parola bruciava come ghiaccio. Carlo impallidì, ma lo fermai con un gesto.
La guardai dritta negli occhi, e per la prima volta non sentii nulla, solo una strana, fredda calma. Lei era sulla soglia di casa mia e non lo sapeva. E quella era la parte più dolce.
«Dobbiamo restare qui come statue?» sbottò Tamara Ivanovna, lasciandosi cadere su una poltrona. «Dove sono i padroni di casa? Non potevano riceverci?»
Si comportava come se fosse lei la padrona. Incrociò le gambe, si sistemò i capelli, osservando tutto con aria di superiorità.
«Mamma, siamo arrivati troppo presto», cercò di spiegare Carlo. «Il tuo capo ci aveva dato appuntamento per le sette, sono solo le sei.»
«E allora? Avrebbero potuto anticipare per degli ospiti come noi», sbuffò.
Mi avvicinai al muro e premetti un pannello touch quasi invisibile.
«Cosa stai facendo?» chiese sospettosa la suocera. «Non toccare nulla! Lo rompi e non finiremo mai di pagarlo.»
«Sto solo chiamando il personale per offrirvi qualcosa da bere», risposi senza guardarla. «Non è educato lasciarvi a bocca asciutta.»
Un minuto dopo, entrò una donna in uniforme grigia, i capelli raccolti in uno chignon, il volto impassibile.
«Buonasera», disse, rivolgendosi solo a me.
Tamara Ivanovna si intromise subito.
«Allora, ragazza, portaci del cognac. Francese, buono. E qualcosa da mangiare. Niente patatine, qualcosa di decente. Magari dei crostini con caviale.»
La donna non batté ciglio. Continuò a guardarmi, aspettando ordini.
Carlo si agitò sul divano, visibilmente a disagio.
«Mamma, non si fa così»
«Zitto!» lo interruppe. «Io so come si comporta. Siamo ospiti, lei è la servitù. Che faccia il suo lavoro.»
Mi voltai verso la donna.
«Laura, portami il mio solito. A Carlo, whisky con ghiaccio. E a Tamara Ivanovna» la guardai freddamente. «Portale un bicchiere dacqua. Fredda. Senza gas.»
Laura annuì e uscì in silenzio.
La suocera impallidì, poi arrossì.
«Che ti permetti, mocciosa? Comandi tu qui? Chi ti credi di essere?»
«Le ho solo offerto dellacqua, Tamara Ivanovna», dissi con calma, mentre dentro ribollivo. «Mi sembrava avesse bisogno di rinfrescarsi.»
«Come osi!» si alzò di scatto. «Carlo, hai sentito? Tua moglie mi insulta! In casa daltri!»
Carlo guardò me, poi sua madre, perso. Non capiva, non sapeva da che parte stare. La sua indecisione faceva più male del veleno di sua madre.
«Elena, perché fai così?» balbettò. «Mamma ha solo»
«Solo cosa, Carlo?» lo guardai con rimprovero. «Solo che mi umilia da mezzora? E tu stai zitto?»
In quel momento, Laura tornò con un vassoio: il mio bicchiere con una bevanda trasparente e un rametto di rosmarino, il whisky per Carlo e un bicchiere dacqua appannato.
Lo posò sul tavolo e se ne andò.
Tamara Ivanovna fissò quel bicchiere come un insulto personale. Il suo viso si contorse dalla rabbia.
«Non berrò questa robaccia! Esigo rispetto! Sono la madre di tuo marito!»
«Lei è unospite in questa casa, Tamara Ivanovna», tagliai corto, bevendo un sorso. Il gusto di ginepro mi rinfrescò la gola. «E dovrebbe comportarsi di conseguenza. Altrimenti la ser

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

20 − seven =

«Sei una poveraccia», sbuffò la suocera, senza sapere che era sulla soglia del mio sfarzoso palazzo