Per favore, solo 10 euro,” implorò il bambino per lucidare le scarpe al direttore generale

“Per favore, solo 10 euro,” implorò il bambino, inginocchiato con il suo kit per lucidare le scarpe davanti al magnate. “È per la mamma, signore”

Lorenzo Vitale non era un uomo che amasse le interruzioni. Le sue giornate erano programmate con la precisione di un orologio svizzero: riunioni, acquisizioni, uffici di marmo pieni di risate finte e caffè costosi. Quella mattina gelida di dicembre, si era rifugiato nel suo bar preferito per controllare le email prima dellincontro che avrebbe deciso il destino di unaltra azienda rivale.

Non si accorse subito del bambino. Fu solo quando una piccola ombra si fermò accanto alle sue scarpe nere lucide che Lorenzo alzò lo sguardo dal telefono, irritato. Davanti a lui cera un ragazzino di otto o nove anni, avvolto in un cappotto troppo grande e con guanti sformati.

“Qualunque cosa tu venda, non mi interessa,” sbuffò Lorenzo, tornando a fissare lo schermo.

Ma il bambino non si mosse. Si inginocchiò lì, sul marciapiede ghiacciato, tirando fuori una scatola per lucidare scarpe malconcia.

“Per favore, signore. Solo 10 euro. Le lascerò le scarpe così brillanti che tutti i suoi amici miliardari saranno gelosi.”

Lorenzo alzò un sopracciglio. Milano era piena di mendicanti, ma questo era insistentee stranamente educato.

“Perché proprio 10 euro?” chiese, quasi controvoglia.

Il bambino sollevò lo sguardo, e Lorenzo vide una disperazione cruda in quegli occhi troppo grandi per il suo viso magro. Le guance erano rosse per il freddo, le labbra screpolate.

“È per la mamma, signore,” sussurrò. “È malata. Ha bisogno di medicine, e io non ho abbastanza soldi.”

La gola di Lorenzo si strinseuna reazione che odiava immediatamente. Si era allenato a non cedere a quei sentimenti. La pietà era per chi non sapeva gestire il proprio portafoglio.

“Ci sono i servizi sociali, le Caritas,” borbottò, facendolo scivolare via con un gesto della mano.

Ma il bambino insistette. Tirò fuori un panno dalla scatola, le dita intirizzite.

“Non chiedo lelemosina, signore. Io lavoro. Guardi, le sue scarpe sono impolverate. Le lascerò splendere come specchi. Per favore.”

Una risata fredda gli sfuggì. Era ridicolo. Guardò attorno: gli altri clienti sorseggiavano caffè dentro al bar, fingendo di non vedere quel dramma patetico. Una donna con un cappotto rattoppato era seduta contro il muro vicino, la testa bassa, abbracciandosi le spalle. Lorenzo tornò a fissare il bambino.

“Come ti chiami?” domandò, seccato con se stesso per essersi persino interessato.

“Giacomino, signore.”

Lorenzo sospirò. Guardò lorologio. Poteva perdere cinque minuti. Forse il ragazzino se ne sarebbe andato una volta ottenuto quello che voleva.

“Va bene. Dieci euro. Ma devono essere perfette.”

Gli occhi di Giacomino brillarono come luci di Natale. Si mise subito al lavoro, strofinando il cuoio con una destrezza sorprendente. Il panno girava in cerchi rapidi e precisi. Canticchiava piano, forse per tenere in movimento le dita intorpidite. Lorenzo osservò la testa arruffata del bambino, sentendo un nodo al petto nonostante tutto.

“Lo fai spesso?” chiese, con tono brusco.

Giacomino annuì senza alzare lo sguardo.

“Tutti i giorni, signore. E dopo la scuola, quando posso. La mamma lavorava, ma si è ammalata. Non riesce più a stare in piedi. Devo comprarle le medicine oggi, o o” La voce gli si spense.

Lorenzo guardò la donna contro il muroil cappotto sottile, i capelli arruffati, lo sguardo spento. Non si muoveva, non chiedeva niente. Era lì, come se il freddo lavesse trasformata in pietra.

“È tua mamma?” chiese Lorenzo.

Il panno di Giacomino si fermò. Annuì.

“Sì, signore. Ma non le parli. Non le piace chiedere aiuto.”

Quando ebbe finito, Giacomino si sedette sui talloni. Lorenzo guardò le scarpeluccicavano così tanto che poteva vederci il proprio riflesso, occhi stanchi compresi.

“Non mentivi. Bel lavoro,” disse, tirando fuori il portafoglio. Estrae un biglietto da dieci, esitò, e ne aggiunse un altro. Gli porse i soldi, ma Giacomino scosse la testa.

“Dieci, signore. Ha detto dieci.”

Lorenzo aggrottò le sopracciglia.

“Prendi venti.”

Giacomino scosse di nuovo la testa, più deciso.

“La mamma dice di non prendere mai più di quanto si è guadagnato.”

Per un attimo, Lorenzo lo fissòquel ragazzino minuscolo nella neve, così magro che sembrava potesse sentire le ossa risuonare nel cappotto, ma con la testa alta come un uomo due volte più grande.

“Tienili,” disse infine, infilando i soldi nella sua mano inguantata. “Consideralo un anticipo per la prossima lucidatura.”

Il viso di Giacomino si illuminò di un sorriso così grande che faceva male guardarlo. Corse dalla donna contro il murosua madre, si inginocchiò accanto a lei e le mostrò i soldi. Lei alzò lo sguardo, gli occhi stanchi ma pieni di lacrime che cercava di nascondere.

Lorenzo sentì un groppo alla gola. Colpa, forse. O vergogna.

Riunì le sue cose, ma quando si alzò, Giacomino tornò di corsa.

“Grazie, signore! Domani la cercose ha bisogno di una lucidatura, gliela faccio gratis! Promesso!”

Prima che Lorenzo potesse rispondere, il bambino corse di nuovo da sua madre, avvolgendola con le sue braccine. La neve cadeva più fitta, coprendo la città di silenzio.

Lorenzo rimase lì molto più del necessario, fissando le scarpe lucide e chiedendosi quando il mondo fosse diventato così freddo.

E per la prima volta da anni, luomo che aveva tutto si chiese se avesse davvero qualcosa.

Quella notte, Lorenzo Vitale non riuscì a dormire nel suo attico con vista sulla città ghiacciata. Il letto era caldo. La cena, preparata da uno chef; il vino, servito in calici di cristallo. Avrebbe dovuto essere soddisfattoma gli occhi enormi di Giacomino lo perseguitavano ogni volta che chiudeva i suoi.

Allalba, la sala riunioni avrebbe dovuto essere lunica cosa importante. Un affare da un miliardo. Il suo lascito. Ma quando le porte dellascensore si aprirono la mattina dopo, la mente di Lorenzo non era sui grafici e i numeri che lo aspettavano. Invece, si ritrovò di nuovo davanti allo stesso bar dove aveva incontrato il bambino.

La neve cadeva ancora in fiocchi leggeri. La strada era tranquilla a quelloratroppo presto perché un ragazzino lucidasse scarpe. Ma eccolo lì: Giacomino, inginocchiato accanto a sua madre, cercando di convincerla a bere un sorso di caffè annacquato.

Lorenzo si avvicinò. Giacomino lo vide per primo. Il suo viso si illuminò con lo stesso sorriso speranzoso. Saltò su, scrollando la neve dalle ginocchia.

“Signore! Oggi ho più lucidoil migliore della

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