Sei solo una poveraccia,” sbuffò la suocera, ignara di trovarsi davanti al portone della mia lussuosa villa in Toscana

«Sei una miserabile», sbuffò la suocera, senza immaginare di trovarsi sulla soglia della mia sontuosa villa.
«Marco, tesoro, devi assolutamente tenere docchio tua moglie», disse Teresa con voce tagliente, carica di una rabbia gelida, senza degnarmi neppure di uno sguardo. Fissava invece i suoi guanti con esagerata attenzione, come se in essi si nascondesse il segreto delluniverso. «Non siamo in qualche squallido bar, nel tuo sporco locale, ma nella casa di persone importanti, rispettabili. Qui ci si comporta con dignità.»
Stavo in piedi, le mani strette dietro la schiena per nascondere il tremore che mi percorreva le dita. Ogni sua parola era come un colpo preciso, una lama che si conficcava dritta al cuore. Accanto a me, Marco tossicchiò nervoso, aggiustandosi il colletto della camicia come se allimprovviso gli stesse stretto.
«Mamma, ma che dici?» provò a smorzare la situazione, ma la sua voce tremò, tradendo la tensione. «Beatrice lo sa benissimo, vero?»
«Lo sa?» sbuffò Teresa, finalmente distogliendo lo sguardo dai guanti per scrutarmi con disprezzo, come se fossi una macchia sul marciapiede. «Ma guarda quel vestito! Preso al mercato, vero? Lho visto esposto quando andavo a comprare le patate. Mai avrei pensato che qualcuno potesse indossarlo.»
Non sbagliava, come al solito. Il vestito era semplice, ma non per caso. Lavevo scelto apposta: sobrio, elegante, discreto. Perché sapevo che qualsiasi altro mio abito avrebbe scatenato in lei sarcasmo e derisione.
Ci trovavamo nellampio atrio, inondato di luce, dove ogni passo risuonava lieve sul marmo lucido che rifletteva i raggi del sole filtrati dallenorme vetrata. Laria era fresca, come dopo un temporale, e profumata di fiori esotici, quasi magici nella loro presenza invisibile.
«E come fa il tuo capo a tollerare una cosa simile?» continuò la suocera, rivolgendosi al figlio ma fissando me, come se fossi uno scandalo domestico impossibile da ignorare. «Tenere un dipendente così vi rende ridicoli solo a guardarvi.»
Marco aprì la bocca per difendermi, ma scossi leggermente la testa. Non ora. Non qui. Non con lei.
Feci un passo avanti, rompendo il silenzio pesante come nebbia sul fiume. I miei tacchi battevano cauti sul pavimento perfetto, quasi temessero di disturbare larmonia del luogo.
«Passiamo in salotto?» dissi con voce calma, quasi cordiale. «Credo ci stiano aspettando.»
Teresa strinse le labbra, ma mi seguì, come se mi stesse facendo un favore. Marco veniva dietro, mogio come un ragazzino colto a fumare dietro il capannone.
Il salotto era ancora più impressionante dellatrio: un divano bianco immacolato, poltrone dal design futuristico, un tavolo di cristallo con un vaso di gigli appena colti, il cui profumo si diffondeva come una sinfonia. Una parete era completamente vetrata, affacciata su un giardino perfetto, con un prato curato, uno stagno cristallino e vialetti di pietra.
«Be,» commentò Teresa, passando un dito sul bracciolo di una poltrona con aria critica. «Alcuni sanno vivere. Non come certi altri, che passano la vita in un bilocale ipotecato.»
Lanciò unocchiata significativa a Marco. Era il suo colpo preferito: una pugnalata al cuore per ricordargli che meritava di più di un modesto lavoro e un appartamento in affitto. E la colpa, ovviamente, era sempre mia.
«Mamma, avevamo detto» sospirò Marco, sentendo la tensione salire.
«E che avrei detto di male?» ribattè lei, alzando un sopracciglio. «Faccio solo notare un fatto. Alcuni costruiscono palazzi, altri non riescono a garantire il minimo alla famiglia.»
Si voltò di scatto verso di me, e nei suoi occhi brillò qualcosa di freddo, quasi animalesco.
«Un uomo ha bisogno di una donna che lo spinga verso lalto, non di un peso morto. Una donna che valga qualcosa. E tu?» Mi scrutò dalla testa ai piedi. «Sei una miserabile. Nellanima e nella sostanza. E trascini mio figlio nel fango.»
Lo disse piano, quasi con indifferenza, ma ogni parola mi trafiggeva come un ago di ghiaccio. Marco impallidì e fece un passo verso di me, ma lo fermai con un gesto.
La guardai dritto negli occhi. Per la prima volta in tutti quegli anni, non provavo nulla, solo una strana, gelida calma. Lei era sulla soglia di casa mia e non lo sapeva. E quella era la mia vittoria più dolce.
«Dobbiamo restare qui come statue?» ruppe il silenzio Teresa, lasciandosi sul divano con un tonfo, quello che poco prima aveva criticato. «Dove sono i padroni di casa? Non potevano ricevere gli ospiti?»
Si comportava come se comandasse lei. Incrociò le gambe, si sistemò i capelli, osservando tutto con laria di un ispettore.
«Mamma, siamo arrivati troppo presto,» tentò Marco. «Il capo ci aveva dato appuntamento alle sette, sono solo le sei.»
«E allora? Potevano farsi avanti per degli ospiti come me,» grugnì.
Mi avvicinai alla parete e premetti un pannello touch quasi invisibile.
«Che stai facendo?» chiese subito Teresa, sospettosa. «Non toccare niente! Potresti romperlo, poi non finiremmo mai di pagarlo.»
«Sto solo chiamando il personale per farci portare da bere,» risposi con tono neutro. «Non è educato restare a secco.»
Un minuto dopo, entrò una donna in uniforme grigia, i capelli raccolti in uno chignon, il volto impassibile.
«Buonasera,» disse, rivolgendosi solo a me.
Teresa le saltò subito addosso. «Allora, ragazza, portaci del cognac. Buono, francese. E qualcosa da mangiare. Niente patatine, qualcosa di dignitoso. Magari dei crostini al caviale.»
La donna non batté ciglio. Continuò a guardarmi, in attesa di ordini.
Marco si agitò sul divano, chiaramente a disagio.
«Mamma, non si fa così»
«Zitto!» lo interruppe Teresa. «Io so come si fa. Siamo ospiti, lei è la servitù. Che faccia il suo lavoro.»
Mi voltai verso la donna. «Elena, portami il mio solito. A Marco, whisky con ghiaccio. E a Teresa» la guardai freddamente. «Porta a Teresa un bicchiere dacqua. Fredda. Senza gas.»
Elena annuì e scomparve silenziosamente.
Teresa impallidì. «Che cosè questa buffonata?» sibilò. «Come ti permetti, mocciosa? Credi di comandare qui? Chi ti credi di essere?»
«Ti ho solo offerto dellacqua, Teresa,» dissi con calma, mentre dentro ribollivo. «Mi sembravi accaldata. Ti aiuterà a calmarti.»
«Hai del coraggio!» Si alzò di scatto. «Marco, hai sentito? Tua moglie mi insulta! In casa daltri!»
Marco guardava me, poi lei, perso. Non sapeva da che parte stare. La sua indecisione feriva più del veleno di sua madre.
«Beatrice, perché lo fai?» riuscì a dire. «Mamma stava solo»
«Solo cosa,

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