La neve cadeva come aghi ghiacciati dal cielo grigio, ricoprendo l’asfalto crepato della strada secondaria con uno strato sempre più spesso. In quel bianco infinito, una piccola figura avanzava lentamente, barcollante, come un’ombra sul punto di svanire.

La neve cadeva come aghi di ghiaccio dal cielo grigio, ricoprendo l’asfalto sconnesso della strada secondaria con uno strato sempre più spesso. In quel bianco infinito, una figura minuscola avanzava lentamente, barcollando come un’ombra sul punto di svanire.
Beatrice aveva appena cinque anni.

Il suo corpo, troppo piccolo e fragile per affrontare una tormenta invernale, si piegava su due fagotti avvolti in coperte sfilacciate. Erano i suoi fratellini appena nati, Matteo e Maria. Le loro guance erano rosse per il freddo, le labbra quasi immobili nel sonno. Non sapevano che la morte camminava accanto a loro.

Beatrice lo sapeva.

Ogni passo le faceva male. I suoi piedi, coperti da calzini strappati e un paio di ciabatte consumate, non sentivano più il terreno. Ma lei continuava, perché doveva proteggerli. Lo aveva promesso alla sua mamma.

«Prenditi cura di loro. Qualunque cosa accada, non lasciarli soli.»

Queste erano state le ultime parole che aveva sentito dalla madre prima che un’ambulanza la portasse via nel cuore della notte. E non era più tornata.

Poche ore prima, nell’orfanotrofio Santa Caterina, Beatrice aveva sentito la direttrice, la signora Rinaldi, parlare con voce tagliente:

«Domani li separeremo. La bambina andrà in una famiglia a Firenze. Il bambino, a Bologna.»

Beatrice, nascosta dietro la scala, sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi.

«No! Non potete separarli! Sono neonati. Sono la mia famiglia.»

Quella notte, mentre tutti dormivano, si avvicinò alla culla dove riposavano i gemelli. Li avvolse nelle coperte più spesse che trovò e, con fatica, li sollevò. Uscì dalla porta sul retro, quella che i cuochi dimenticavano sempre di chiudere bene.

Fuggì senza meta.

Ora, in mezzo alla strada ghiacciata, Beatrice riusciva a malapena a stare in piedi. Il pezzo di pane che aveva messo da parte dalla colazione lo aveva dato a Maria ore prima. Non aveva mangiato nulla da allora. Il vento le mordeva la pelle. Le lacrime si congelavano prima di toccarle il mento.

«Non preoccupatevi» sussurrava. «Andrà tutto bene.»

Lo ripeteva una e otra volta, come se a dirlo potesse renderlo realtà.

All’improvviso, dei fari lontani squarciarono la nebbia. Un’auto nera, elegante, si avvicinò lentamente. Beatrice, con le ultime forze, si fermò in mezzo alla strada, alzando un braccio tremante.

L’auto frenò di colpo.

Dal vehículo scese un uomo alto, giovane, ben vestito. Si chiamava Alessandro Conti. Imprenditore. Erede di una fortuna. Tornava da un incontro d’affari a Milano e, per un presentimento, aveva deciso di prendere una strada alternativa.

Non avrebbe mai immaginato cosa avrebbe trovato.

«Ma cosa?»

Corse verso la bambina. Beatrice cadde in ginocchio proprio mentre lui arrivò.

«Piccola! Cosa ci fai qui? Sei sola?»

Alessandro notò i fagotti. Due faccine minuscole, appena coperte. Neonati. Erano pallidi.

«Dio mio» mormorò.

Senza perdere tempo, prese i gemelli tra le braccia e sollevò anche Beatrice come poté. Li sistemò sul sedile posteriore, accese il riscaldamento al massimo e chiamò il suo medico privato.

«Sto arrivando. Ho tre bambini, uno di loro non reagisce. Prepara tutto. Sono a quindici minuti.»

Nello studio medico, la dottoressa Marchetti li accolse d’urgenza. I gemelli furono messi in incubatrici improvvisate. Beatrice, su una barella termica.

«Cosa è successo, Alessandro?» chiese la dottoressa.

«Li ho trovati sulla strada. Lei li proteggeva con il suo corpo. Aveva la febbre! È denutrita. Possono salvarsi?»

«Faremo il possibile. Ma la bambina è al limite.»

Mentre i medici agivano, Alessandro rimase solo in sala d’attesa. Qualcosa in quella bambina gli aveva scosso l’anima. Non era solo il gesto eroico. Era il suo sguardo. Una miscela di paura e coraggio, come se avesse combattuto una vita intera.

All’alba, la dottoressa uscì con un’espressione seria.

«I gemelli sono stabili. E la bambina anche. Ma devo sapere chi sono. Questo non è normale.»

Alessandro annuì. Quando Beatrice si svegliò, lui fu il primo ad avvicinarsi.

«Ciao, sono Alessandro. Ti ho trovata sulla strada. Come ti chiami?»

«Beatrice» rispose con voce flebile. «Loro sono Matteo e Maria. I miei fratellini.»

«Dove sono i tuoi genitori?»

«La mamma è morta. Il papà non l’ho mai conosciuto.»

«E perché eri sola con loro?»

Beatrice deglutì. Esitò. Poi gli raccontò tutto.

L’orfanotrofio. La separazione. La promessa.

Alessandro la ascoltò in silenzio. Quando finì, aveva gli occhi lucidi.

«Sei molto coraggiosa, Beatrice.»

Due giorni dopo, Alessandro prese una decisione radicale.

«Li adotterò tutti e tre.»

«Sei sicuro?» gli chiese la dottoressa. «Sei single. Non hai mai avuto figli.»

«Hanno bisogno di me. E io ho bisogno di loro.»

La notizia si diffuse in tutta la città. «Giovane milionario adotta tre orfani dopo averli trovati nella neve.» I social si riempirono di messaggi. Alcuni lo chiamavano eroe. Altri, pazzo.

Ma ad Alessandro non importavano i titoli.

L’unica cosa che contava era vedere il sorriso di Beatrice quando entrava nella stanza e lei correva ad abbracciarlo.

«Grazie per averci salvato, papà» gli disse un giorno, per la prima volta.

E lui, commosso, la strinse forte al petto.

«No, piccola mia grazie a te per avermi insegnato cosa significa avere una famiglia.»

Epilogo:

Mesi dopo, Alessandro fondò un centro di aiuto per bambini orfani: Casa della Speranza Beatrice. Lì, centinaia di piccoli trovarono un nuovo inizio.

Beatrice, ora di sei anni, camminava tra di loro come una piccola leader, con i suoi due fratellini per mano.

E quando qualcuno le chiedeva perché fosse così coraggiosa, lei rispondeva con un sorriso:

«Perché una volta, in mezzo alla tormenta, ho promesso di proteggere chi amo e non ho intenzione di rompere quella promessa.»

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La neve cadeva come aghi ghiacciati dal cielo grigio, ricoprendo l’asfalto crepato della strada secondaria con uno strato sempre più spesso. In quel bianco infinito, una piccola figura avanzava lentamente, barcollante, come un’ombra sul punto di svanire.