Tempo fa, mia figliastra mi invitò a cena in un ristorante rimasi senza parole quando arrivò il conto
Era passato un secolo dall’ultima volta che avevo avuto notizie di mia figliastra, Fiorella. Quando mi chiamò per invitarmi a cena, pensai che forse fosse giunto il momento di riavvicinarci. Ma nulla mi preparò alla sorpresa che mi aspettava quella sera.
Mi chiamo Renzo, ho cinquantanni, e nella vita ho imparato ad accettare molte cose. La mia esistenza è tranquilla, forse troppo. Lavoro in un ufficio senza pretese, vivo in una casa modesta e passo le serate tra un libro e il telegiornale.
Niente di eclatante, ma per me andava bene così. Lunica cosa che non ho mai saputo gestire davvero è il rapporto con mia figliastra, Fiorella.
Erano passati mesi, forse un anno, dallultima volta che ci eravamo parlati. Non siamo mai stati in sintonia, nemmeno da quando sposai sua madre, Rosalba, mentre lei era ancora una ragazzina.
Fiorella aveva sempre tenuto le distanze, e col tempo anchio smisi di insistere. Ma rimasi stupito quando, allimprovviso, mi chiamò con una voce insolitamente allegra.
«Ciao, Renzo,» disse, quasi troppo entusiasta, «Che ne dici di una cena insieme? Cè un nuovo ristorante che voglio provare.»
Allinizio non seppi cosa rispondere. Fiorella non mi cercava da una vita. Era un tentativo di riavvicinamento? Di costruire qualcosa tra noi? Se era così, ero pronto. Da anni speravo in un gesto del genere. Volevo sentirci famiglia.
«Certo,» risposi, speranzoso. «Dimmi solo dove e quando.»
Il ristorante era elegante, più di quanto fossi abituato. Tavoli di legno scuro, luci soffuse, camerieri in camicia bianca impeccabile. Quando arrivai, Fiorella era già seduta e sembrava diversa. Mi sorrise, ma quel sorriso non raggiungeva gli occhi.
«Eccoti, Renzo! Sei venuto!» mi salutò con unenergia strana, come se fingesse disinvoltura. Mi sedetti di fronte a lei, cercando di capire latmosfera.
«Allora, come stai?» le chiesi, sperando in una conversazione sincera.
«Bene, bene,» rispose sbrigativa, sfogliando il menu. «E tu? Tutto a posto?» Il tono era educato, ma distante.
«La solita routine,» dissi, ma lei non sembrava ascoltare. Prima che potessi aggiungere altro, chiamò il cameriere.
«Prendiamo laragosta,» annunciò con un sorriso rapido verso di me, «E anche la fiorentina. Che ne dici?»
Sbatté le palpebre. Non avevo nemmeno guardato il menu, e lei già ordinava i piatti più costosi. Scrollai le spalle, cercando di non darci peso. «Va bene, se vuoi.»
Ma qualcosa non tornava. Era nervosa, si agitava sulla sedia, controllava il telefono e rispondeva a monosillabi.
Durante la cena, provai a parlarle di cose più personali. «È passato tanto dallultima volta che ci siamo visti, vero? Mi è mancato parlare con te.»
«Già,» mormorò senza alzare gli occhi dal piatto. «Sono stata occupata.»
«Occupata al punto da sparire per un anno?» dissi con una risatina, ma nella voce si sentiva un filo di amarezza.
Mi lanciò unocchiata veloce, poi tornò a mangiare. «Sai comè il lavoro, la vita»
I suoi occhi continuavano a vagare per la sala, come se aspettasse qualcuno o qualcosa. Provai a chiederle del lavoro, degli amici, ma le sue risposte erano sempre brevi, senza entusiasmo.
Più la serata procedeva, più mi sentivo un estraneo.
Poi arrivò il conto. Lo presi automaticamente, tirando fuori la carta per pagare, come dabitudine. Ma mentre stavo per darla al cameriere, Fiorella si avvicinò a lui e sussurrò qualcosa che non riuscii a cogliere.
Prima che potessi chiedere, mi lanciò un sorriso frettoloso e si alzò. «Torno subito,» disse, «Devo solo andare un attimo in bagno.»
La guardai allontanarsi con un groppo in gola. Qualcosa non quadrava. Il cameriere mi porse il conto, e il cuore mi si fermò un istante vedendo la cifra. Era molto più alta del previsto.
Guardai verso i bagni, aspettando che tornasse ma non riapparve.
I minuti passavano. Il cameriere mi fissava interrogativo. Sospirai e gli porsi la carta, ingoiando il rospo. Che diavolo era successo? Mi aveva davvero piantato lì con il conto?
Pagai, sentendomi svuotato. Mentre mi avviavo verso luscita, una miscela di frustrazione e tristezza mi travolse. Tutto ciò che volevo era riavvicinarmi a lei, parlare come non avevamo mai fatto. Invece, mi sentivo solo usato per una cena gratis.
Ma proprio mentre stavo per uscire, sentii un rumore alle mie spalle.
Mi voltai lentamente, incerto su cosa aspettarmi. Lo stomaco mi si strinse, ma quando vidi Fiorella ferma lì, rimasi senza fiato.
Teneva in braccio una torta enorme, sorridendo come una bambina che ha combinato uno scherzo perfetto. Nellaltra mano stringeva palloncini colorati che danzavano sopra la sua testa. Sbatté le palpebre, cercando di capire.
Prima che potessi parlare, si avvicinò con un sorriso smagliante e annunciò: «Stai per diventare nonno!»
Rimasi immobile, incapace di assimilare quelle parole. «Nonno?» ripetei, come se mi fossi perso un pezzo del discorso.
La voce mi tremava leggermente. Era lultima cosa che mi aspettavo.
Lei scoppiò a ridere, gli occhi pieni di quella stessa energia nervosa di prima. Ma ora tutto aveva un senso. «Sì! Volevo farti una sorpresa,» disse, avvicinandosi con la torta. Era bianca, glassata dazzurro e rosa, e sopra cera scritto a lettere cubitali: «Auguri, nonno!»
Sbatté di nuovo le palpebre, cercando di metabolizzare. «Aspetta hai organizzato tutto questo?»
Annui, i palloncini ondeggiavano lievi. «Sì! Ho preparato tutto con il cameriere. Volevo che fosse speciale. È per questo che sparivo. Non ti ho mollato, te lo giuro. Volevo solo regalarti la sorpresa della tua vita.»
Sentii qualcosa sciogliersi dentro di me. Non era rabbia, non era delusione. Era altro. Qualcosa di caldo.
Guardai la torta, poi il viso di Fiorella, e tutto divenne chiaro. «Hai fatto tutto questo per me?» chiesi a bassa voce, ancora incredulo.
«Certo, Renzo,» rispose dolcemente. «So che non è sempre stato facile tra noi, ma volevo che fossi parte di questo. Stai per diventare nonno.»






