Dove la luce non arriva

**Dove la luce non arriva**
**Prologo**
Nellinverno più crudele, nel cuore gelido e affamato del ghetto di Trieste, una giovane madre ebrea prese una decisione che avrebbe segnato per sempre il destino di suo figlio. La fame era una compagna costante. Le strade odoravano di malattia e terrore. Le deportazioni arrivavano puntualiogni treno, un biglietto senza ritorno. Le mura si stringevano.
Eppure, in quelloscurità soffocante, trovò unultima fessurauna via duscita, non per sé, ma per il suo bambino appena nato.
**I. Il freddo e la paura**
Il vento tagliava come lame mentre la neve cadeva, coprendo macerie e corpi di bianco. Lucia guardò dalla finestra rotta della sua stanza, stringendo al petto il piccolo. Il bambino, Matteo, aveva solo pochi mesi e aveva già imparato a non piangere. Nel ghetto, un lamento poteva significare la morte.
Lucia ricordava tempi migliori: le risate dei genitori, il profumo del pane appena sfornato, la musica del sabato. Tutto svanito, sostituito dalla fame, dalla malattia e dalla paura costante degli stivali che risuonavano nella notte.
Le notizie correvano di bocca in bocca: un nuovo rastrellamento, una nuova lista di nomi. Nessuno sapeva quando sarebbe toccato a loro. Lucia aveva perso il marito, Marco, mesi prima. Se lo erano portato via in una delle prime deportazioni. Da allora, sopravviveva solo per Matteo.
Il ghetto era una trappola. Le mura, prima innalzate per “proteggere”, ora erano sbarre. Ogni giorno, il pane era più scarso, lacqua più sporca, la speranza più lontana. Lucia condivideva una stanza con altre tre donne e i loro figli. Tutte sapevano che la fine era vicina.
Una notte, mentre il freddo faceva scricchiolare i vetri, Lucia sentì un sussurro nelloscurità. Era Anna, la sua vicina, con gli occhi scavati dal pianto.
Ci sono uomini venetidisse a voce bassa. Lavorano nelle fogne. Aiutano a far uscire le famiglie per un prezzo.
Lucia sentì una scintilla di speranza e terrore. Era possibile? E se fosse una trappola? Ma non aveva niente da perdere. Il giorno dopo, cercò gli uomini di cui parlava Anna.
**II. Laccordo**
Lincontro avvenne in una cantina umida, sotto la bottega di un calzolaio. Lì, tra lodore di cuoio e muffa, Lucia conobbe Gianni e Pietro, due operai delle fogne. Uomini duri, con volti segnati dalla fatica e dal rimorso.
Non possiamo far uscire tutti avvertì Gianni, la voce roca. Ci sono pattuglie. Occhi ovunque.
Solo mio figlio sussurrò Lucia. Non chiedo niente per me. Solo salvate lui.
Pietro la guardò con compassione.
Un neonato? Il rischio è grande.
Lo so. Ma se resta, morirà.
Gianni annuì. Avevano aiutato altri prima, mai un bambino così piccolo. Concordarono il piano: una notte, durante il cambio della pattuglia, Lucia avrebbe portato Matteo al punto stabilito. Lo avrebbero calato in un pozzo, nascosto in un secchio di metallo, avvolto in coperte.
Lucia tornò al ghetto con il cuore stretto. Quella notte, non dormì. Guardò suo figlio, così piccolo, così fragile, e pianse in silenzio. Sarebbe stata capace di lasciarlo andare?
**III. Laddio**
La notte scelta arrivò con un gelo che faceva scricchiolare la pietra. Lucia avvolse Matteo nel suo scialle più caldolultimo ricordo di sua madree lo baciò sulla fronte.
Cresci dove io non posso sussurrò, con la voce spezzata.
Camminò per strade deserte, evitando ombre e soldati. Al punto dincontro, Gianni e Pietro laspettavano. Senza parole, Gianni sollevò il coperchio di un tombino. Il fetore era insopportabile, ma Lucia non esitò.
Pose Matteo nel secchio, assicurandosi che fosse ben coperto. Le sue mani tremavano, non per il freddo, ma per il peso di ciò che stava per fare. Si chinò, avvicinando le labbra allorecchio del bambino.
Ti amo. Non dimenticarlo mai.
Pietro calò il secchio lentamente. Lucia trattenne il fiato finché non scomparve nel buio. Non pianse. Non poteva. Se avesse pianto, non sarebbe riuscita a restare.
Non seguì suo figlio. Non poteva. Rimase, accettando la fine che laspettava, sapendo che almeno Matteo aveva una possibilità.
**IV. Sottoterra**
Il secchio scese nelloscurità. Matteo non pianse, come se sentisse la gravità del momento. Pietro lo prese con mani salde e lo strinse al petto, proteggendolo dal freddo e dalla paura.
Le fogne erano un labirinto di ombre e puzzo. Pietro avanzò a tentoni, guidato solo dalla memoria e dallistinto. Ogni passo era un rischio: le pattuglie tedesche, i traditori, il pericolo di perdersi per sempre.
Gianni li raggiunse più avanti. Insieme, avanzarono in tunnel che sembravano senza fine. Lacqua gelida gli arrivava alle ginocchia. Leco dei loro passi era lunico suono, oltre al battito accelerato dei loro cuori.
Finalmente, dopo ore, raggiunsero unuscita nascosta, oltre le mura del ghetto. Lì, una famiglia veneta li aspettava. Era il primo anello di una rete di resistenza.
Abbi cura di lui sussurrò Pietro, consegnando Matteo avvolto nello scialle. Sua madre non è potuta uscire.
La donna, Maria, annuì con le lacrime agli occhi. Da quel momento, Matteo fu anche suo figlio.
**V. La vita in prestito**
Matteo crebbe nella clandestinità. Maria e suo marito, Luca, lo allevarono come loro, anche se sapevano che il pericolo non sarebbe mai svanito. Lo chiamarono Andrea, per proteggerlo. Lo scialle della madre biologica fu la sua unica eredità, custodito come un tesoro.
La guerra continuò, implacabile. Notti di bombardamenti, giorni di fame, mesi di terrore. Ma anche momenti di tenerezza: una ninna nanna, il profumo del pane, il calore di un abbracio.
Andrea imparò a leggere con i libri che Luca salvava da case abbandonate. Maria gli insegnò a pregare in silenzio, a non alzare la voce, a nascondersi al rumore di passi sconosciuti.
Passarono gli anni. La fine della guerra arrivò come un sospiro di sollievo e di lutto. Molti non tornarono. I nomi dei scomparsi fluttuavano nellaria, come fantasmi senza tomba.
Quando Andrea compì dieci anni, Maria gli disse la verità.
Non sei nato qui, figlio. Tua madre era una donna coraggiosa. Ti salvò donandoti a noi.
Andrea pianse per una madre che non ricordava, per un passato che poteva solo immaginare. Ma nel cuore, sapeva che lamore di Maria e Luca era reale quanto quello di quella donna che lo aveva lasciato andare.
**VI. Radici nellombra**
Il dopoguerra portò nuove sfide. Lantisemitismo non svanì con loccupazione. Maria e Luca protessero Andrea dai sussurri, dagli sguardi, dalle domande pericolose.
Lo scialle divenne il suo talismano. A volte, lo tirava fuori di

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

12 − 2 =

Dove la luce non arriva