Raccontava bugie ai paesani su sua figlia per la vergogna

Nella casa silenziosa e fredda, l’odore della cera e della morte si mescolava nell’aria. Sul tavolo, accanto al letto della defunta, giacevano lettere ingiallite dalla figlia. Gelsomina le prese tra le dita tremanti, le nascose sotto il cuscino di Giuliana. *”Che le porti con sé nella tomba… e tutto quel tormento”*, sussurrò, stringendo le palpebre per fermare le lacrime.
**La vergogna più grande.**
Giuliana aveva sempre creduto nei sogni. Fin da giovane, le ragazze del paese venivano da lei per farseli interpretare. E lei, quasi mai sbagliava. Ma i suoi sogni erano solo per lei. Soprattutto quelli in cui volava. *”Sali sopra i tetti e plani come un gabbiano!”* diceva ridendo. Un sogno, però, si ripeteva: cavalli bianchi macchiati di grigio, una slitta, e lei accanto a Marcello, che stringeva le redini. Partivano al galoppo, poi si alzavano in volo, sempre più in alto, fino a perdere il fiato. Dopo la morte di Marcello, quel sogno tornò, ma lui non prendeva più le redini. Sorrideva, impassibile. *”È un presagio di malattia, forse di morte”*, dicevano le comari. Eppure, non smise mai di aspettarlo.
Quella notte, erano di nuovo nella slitta, senza redini, senza controllo. I cavalli salivano verso le nuvole, e lassù, un angioletto sorridente li osservava. *”Celeste! Mia Celeste!”* gridò Giuliana, svegliandosi di soprassalto.
*”È ora… È ora di prepararsi”*, mormorò, senza disperazione.
La casa era in ordine, come sempre. Aveva lavato i pavimenti, sistemato le tovaglie ricamate, preparato quel fagottino che teneva *”per il giorno della mia fine”*. Scrisse anche le istruzioni: *”Così nessuno dovrà frugare tra le mie cose.”*
Poi, seduta al tavolo, prese un quaderno e una penna.
*”Perdonami, Gelsomina. Sei la mia unica amica, la sorella che non ho mai avuto. Non dire a nessuno, ti prego, la mia vergogna. Ormai non mi farà male, ma ti chiedo lo stesso… Per anni ho mentito, a te e agli altri. Dicevo che mia figlia era amorevole, che non veniva a trovarmi perché malata. Ma la verità è che non so nemmeno se sia viva. Mi ha abbandonato. E io, per non arrossire davanti alla gente, ho continuato a fingere. Non aspettarla, non cercarla. Seppelliscimi accanto a Marcello, nel posto che ho riservato. La casa, e tutto ciò che c’è dentro, è tua. Forse servirà ai tuoi figli. Non sono riuscita a tenermi mia figlia. È la mia vergogna più grande. E che vada con me nella tomba…”*
Accese la stufa, chiuse la saracinesca, e si sdraiò per lultimo sonno.
Gelsomina non aveva notato nulla. Era passata la sera prima, ma la finestra era buia. *”Strana,”* pensò, senza immaginare.
*”Non ha lasciato niente?”* chiese il carabiniere, chiamato per registrare la morte.
*”Niente… Solo la solitudine, quella lha uccisa”*, mentì Gelsomina, stringendo in tasca la lettera.
**La storia di Celeste.**
Celeste era cresciuta bella e intelligente. Lunica figlia, amatissima. Marcello, un agronomo sposato, si era innamorato di Giuliana, una semplice contadina. In altri tempi, lo avrebbero cacciato dal lavoro, ma il sindaco, con le sue *”amicizie”*, aveva fatto in fretta a sistemare le cose. *”Niente bastardi in questo paese!”* aveva sbattuto il pugno sulla scrivania. La prima moglie di Marcello se nera andata, trovandosi un uomo in città. Lui, invece, aveva sposato Giuliana e vivevano felici. Fino a quel giorno.
I cavalli. Quelli veri, non quelli dei sogni. Marcello tornava a casa in bicicletta, al buio. Un carretto gli era venuto in contro, il conducente ubriaco non lo aveva visto. Lo trovarono allalba, già freddo. *”Se solo labbiano trovato prima…”*
Dopo la morte di Marcello, Giuliana viveva solo per Celeste. E Celeste era la sua gioia. A scuola andava benissimo, cantava, ballava, recitava nella filodrammatica del paese. *”Un talento!”* dicevano tutti. E fortunata! Al primo tentativo, era entrata allAccademia di Belle Arti di Roma!
Giuliana non smetteva di vantarne le doti. Le portava cibo, soldi, si faceva chilometri per vederla. Il primo anno, Celeste era felice. Poi, iniziò a cambiare. Diventò scortese, irritabile. *”Non ti voglio qui!”* urlava. A volte, Giuliana arrivava e non la trovava. *”È uscita con il fidanzato,”* dicevano le compagne. Un ragazzo straniero. Presto, la cacciarono dallAccademia. *”Quel ragazzo lha rovinata,”* sussurravano. *”Lha messa sulla droga.”*
Un anno dopo, Celeste scrisse una lettera. *”Dimenticami. Non cercarmi.”*
Giuliana continuava a lavorare nei campi, piegata sui pomodori, piangendo in silenzio.
Poi, un giorno, mentì.
*”Celeste si è sposata!”* annunciò alle donne del paese. *”Un uomo importante, che viaggia per il mondo. Sono stata al matrimonio, ma non lho detto, per non portare sfortuna!”*
E per celebrare, portò salumi, formaggi, dolci che nessuna di loro aveva mai assaggiato. *”Me li ha mandati mio genero!”*
Da allora, ogni tanto *”andava a trovarla”*. In realtà, vagava per Roma, sperando di vederla tra la folla.
Invecchiando, smise di viaggiare. Ma le lettere arrivavano. O meglio, Giuliana le scriveva da sola, poi andava in città a fingere di ritirarle.
*”Siediti, Gelsomina, ti leggo cosa mi ha scritto Celeste!”* esultava, mostrando fogli bianchi. *”Vorrebbe venire, ma è malata Il marito è buono, mi manda regali!”*
E tirava fuori dal frigo salumi pregiati, formaggi francesi, yogurt. Gelsomina, ignara, correva a vantarsene al bar.
*”Avete mai assaggiato il prosciutto di Parma? Io sì! E lo yogurt greco! Giuliana me lha fatto provare!”*
E ogni anno, sul giornale locale, compariva un messaggio per il compleanno di Giuliana. *”Grazie per tutto, mamma!”* firmato Celeste.
Col tempo, nessuno si chiese mai se quella figlia esistesse davvero.
**Lultimo segreto.**
Gelsomina rileggeva la lettera, vergognandosi. *”Mangiavo quei regali, e mai ho pensato che li comprasse con la sua pensione Avrei dovuto capire”*
Si voltò verso la folla in casa. *”La seppelliremo senza la figlia. È malata, non può venire Il marito è allestero.”*
Poi, prese le lettere dal tavolo e le infilò sotto il cuscino. *”Che si porti tutto via tutta la sua vergogna.”*

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