Cinque anni fa, il mondo di Leonardo Rossi crollòper poi risorgere dalle ceneri con una luce nuova e abbagliante. Sua figlia Marta, un angelo dai capelli biondi e gli occhi pieni di vita, aveva appena sei anni quando iniziò a perdere le forze. Il suo sorriso, che un tempo illuminava anche le stanze più buie, diventava sempre più raro. I medici, prima cauti, poi freddi come il marmo, gli diedero la sentenza: un tumore al cervello. Una parola che non poteva essere pronunciata senza che il cuore si spezzasse. Ma per Marta non fu una condannafu una sfida che affrontò con la grazia di una regina.
Leonardo e sua moglie Giulia, con i cuori già in frantumi ancor prima di capire che potevano spezzarsi, fecero di tutto per dare a Marta una possibilità. Sognavano che potesse andare a scuola, imparare lalfabeto, leggere una fiaba prima di dormire. Cose semplici per molti, ma per loro, un miracolo.
Assunsero uninsegnante, Daniela Marini, una donna dalle mani gentili e dal cuore saggio. Dopo due settimane, notò qualcosa di strano: Marta aveva mal di testa dopo ogni lezione, ma stringeva i denti e chiedeva di continuare. «Voglio imparare», diceva. «Devo farcela.» Daniela, preoccupata, esortò i genitori a portarla da un medico.
Giulia, con listinto di una madre, sentì che qualcosa non andava. Prenotò una visita nello stesso giorno. Il mattino dopo, la famiglia si recò allospedale di Milano. Leonardo, un uomo daffari abituato al controllo, si ripeteva: «È solo stanchezza. Cresce. Passerà.» Non poteva ammettere che sua figlia fosse malata. Marta era un miracolonata quando avevano ormai perso ogni speranza di avere figli. Ogni mattina ringraziavano Dio per lei. E ora, sembrava che Lui volesse riprendersela.
Tre ore interminabili in ospedale. Il medico fu diretto, glaciale. Il giorno dopo, lasciarono Marta con la nonna e tornarono per i risultati. La stanza era pesante di silenzio.
«Vostra figlia ha un tumore al cervello», disse il dottore. «La prognosi non è buona.»
Giulia vacillò. Il volto di Leonardo si pietrificò. Non poteva essere vero. Corsero da un altro ospedale, poi un altro, un altro ancora. La diagnosi era sempre la stessa.
Iniziò la battaglia. Vendettero lazienda, la casa, lauto. Andarono in America, in Germania, in Israele. Pagarono migliaia di euro per cure sperimentali, per cliniche allavanguardia. Ma la medicina alzò le spalle. Marta si spegneva, lentamente, ma con quel sorriso che non la abbandonava mai.
Una sera, mentre il sole tingeva la stanza doro, Marta sussurrò a Leonardo:
«Papà mi avevi promesso un cagnolino per il mio compleanno. Me lo compri? Voglio giocarci Farò in tempo?»
Il cuore di Leonardo si spezzò. Le strinse la manina e rispose:
«Certo, piccola. Te lo regalerò. E giocherai con lui, lo prometto.»
Giulia pianse tutta la notte. Leonardo fissò il buio dalla finestra e mormorò:
«Perché la prendi? È così buona, così pura Prendi me, invece! Io non servo a nessuno, ma lei sì!»
Il mattino dopo, entrò nella stanza di Marta con un cucciolo di golden retriever tra le braccia. Il cane si divincolò, corse sul letto e le saltò addosso. Marta, per la prima volta da mesi, rise.
«Papà! È bellissimo!» gridò, abbracciandolo. «Lo chiamo Zeus!»
Da quel giorno, non si separarono mai. Zeus divenne la sua ombra, il suo protettore, la sua voce quando le parole non arrivavano più. I medici le diedero sei mesi. Ne visse otto. Forse fu lamore per Zeus a darle la forza. O forse un dono del cieloun dono che non sarebbe morto con lei.
Quando Marta non poté più alzarsi dal letto, sussurrò al cane:
«Presto me ne andrò, Zeus. Per sempre. Forse mi dimenticherai ma voglio che tu mi ricordi. Tieni.»
Tolse un anellino doro dal dito e lo infilò sul collare di Zeus. Le lacrime le rigavano il viso.
«Così non mi dimenticherai. Promettimelo.»
Pochi giorni dopo, Marta se ne andò. Silenziosamente, tra le braccia dei genitori, con Zeus accucciato accanto a lei. Giulia impazzì dal dolore. Leonardo diventò un estraneo a se stesso. E Zeus smise di mangiare, fissando il vuoto, aspettando. Una settimana dopo, sparì. Lo cercarono ovunque: nei parchi, per le strade, nei vicoli. Era lultimo dono di Marta, la sua anima vivente.
Passò un anno. Leonardo aprì un banco dei pegni e una gioielleria. Li chiamò «Zeus». In ogni gioiello, un ricordo. In ogni suono della cassa, uneco della sua risata.
Una mattina, la sua assistente, Sara, gli disse:
«Leonardo, cè una bambina qui fuori. È in lacrime.»
Uscì e si bloccò. Davanti a lui cera una ragazzina di nove anni, vestita di stracci, con gli occhi spaventatie uguali a quelli di Marta. Stessi occhi neri, profondi, pieni di dolore e speranza.
«Che cè, piccola?» le chiese dolcemente.
«Mi chiamo Lucia», sussurrò. «Ho un cane Rex. Lo trovai mesi fa, sporco e affamato. Lho salvato. Gli davo da mangiare come potevo rubavo pure, a volte. Mia zia mi picchiava per questo. Viviamo in una cantina. Rex mi proteggeva»
La voce le tremava.
«Oggi dei ragazzi lhanno avvelenato. Sta morendo. Non ho soldi per il veterinario. Prenda questo anello era sul suo collare. Per favore, aiutatemi.»
Leonardo guardò il palmo della bambina. E sentì la terra mancargli sotto i piedi.
Era lo stesso anellino. Dorato. Piccolo. Con un graffio allinternoil segno di un ditino.
Cadde in ginocchio. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Tutto aveva un senso, ora.
«Mettitelo», sussurrò, restituendole lanello. «La sua padrona sarebbe felice che tu lo ami come lei amava Zeus.»
«Zeus?» chiese Lucia, confusa.
«Te lo racconterò. Ora andiamo. Salviamo Rex.»
Arrivarono a una casa fatiscente. La cantina era buia, umida. Su un materasso logoro, Rex respirava a fatica. Ma quando Leonardo si avvicinò, il cane aprì gli occhi e gli leccò la mano.
«Zeus», mormorò Leonardo. «Sei tornato.»
In clinica, i veterinari lottarono per salvarlo. Lucia pregava. Giulia, arrivata di corsa, abbracciò la bambina:
«Da oggi vieni da noi. Giocherai con Zeus. Ti stava aspettando.»
Unora dopo, Zeus era fuori pericolo. E Lucia ebbe una nuova vita.
Veniva ogni giorno. Giulia la vestiva come una principessa: vestiti, fiocchi, fermagli. Ma un giorno non si presentò. Zeus si agitò, annusando laria.
«È successo qualcosa», disse Giulia.
«Andiamo», rispose Leonardo. «Zeus conosce la strada.»
Arrivarono alla casa. Lingresso puzzava di muffa e disperazione. Al secondo piano, una donna ubriaca li apostrof