La neve scendeva come aghi gelati dal cielo grigio, ricoprendo l’asfalto sconnesso della strada secondaria con uno strato sempre più spesso.

La neve cadeva a fiocchi gelati dal cielo grigio, ricoprendo l’asfalto sconnesso di una strada secondaria con uno strato sempre più spesso. In quel bianco infinito, una figurina esile avanzava a fatica, barcollante come un’ombra pronta a svanire.
Alessia aveva appena cinque anni.
Il suo corpicino, troppo piccolo e magro per affrontare un temporale invernale, si piegava su due fagotti avvolti in coperte sfilacciate. Erano i suoi fratellini appena nati, Matteo e Martina. Le loro guance erano rosse per il freddo, le labbra quasi immobili nel sonno. Non sapevano che la morte camminava accanto a loro.
Alessia lo sapeva.
Ogni passo le faceva male. I suoi piedi, coperti da calzini strappati e pantofole consunte, non sentivano più il terreno. Ma lei andava avanti, perché doveva proteggerli. Lo aveva promesso alla sua mamma.
«Prenditi cura di loro. Qualsiasi cosa accada, non lasciarli soli.»
Queste furono le ultime parole che udì dalla madre prima che un’ambulanza se la portasse via nel cuore della notte. E non tornò mai più.
Poche ore prima, nell’orfanotrofio Santa Maria, Alessia aveva sentito la signora Rossetti la direttrice parlare con voce tagliente:
«Domani li separeremo. La bambina andrà a una famiglia a Bologna. Il maschietto, a Firenze.»
Alessia, nascosta dietro la scala, sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi.
«No! Non potete separarli! Sono piccolissimi. Sono la mia famiglia.»
Quella notte, mentre gli altri dormivano, si avvicinò alla culla dove riposavano i gemelli. Li avvolse nelle coperte più spesse che trovò e, con fatica, li sollevò. Uscì dalla porta sul retro, quella che i cuochi dimenticavano sempre di chiudere bene.
Scivolò via senza una meta.
Ora, in mezzo alla strada ghiacciata, Alessia riusciva a malapena a stare in piedi. Il pezzo di pane che aveva messo da parte dalla colazione l’aveva dato a Martina ore prima. Da allora non aveva mangiato nulla. Il vento le mordeva la pelle. Le lacrime le si congelavano prima di toccare il mento.
«Non preoccupate» sussurrava. «Andrà tutto bene.»
Lo ripeteva come un mantra, quasi credendo che le parole potessero trasformarsi in realtà.
All’improvviso, dei fari lontani squarciarono la nebbia. Un’auto nera, elegante, si avvicinò lentamente. Alessia, con le ultime forze, si mise in mezzo alla strada, alzando un braccio tremante.
L’auto frenò di colpo.
Dal vehículo scese un uomo alto, giovane, ben vestito. Si chiamava Leonardo Conti. Imprenditore. Erede di una fortuna. Tornava da un affare a Milano e, per un presentimento, aveva scelto una strada alternativa.
Mai avrebbe immaginato cosa avrebbe trovato.
«Ma cosa?»
Corse verso la bambina. Alessia cadde in ginocchio proprio mentre lui arrivava.
«Piccola! Cosa ci fai qui? Sei sola?»
Leonardo notò i fagotti. Due faccine minuscole, appena coperte. Dei neonati. Erano pallidi.
«Santo cielo!» esclamò.
Senza perdere tempo, prese i gemelli tra le braccia e sollevò anche Alessia come poté. Li sistemò sul sedile posteriore, alzò il riscaldamento al massimo e chiamò il suo medico privato.
«Sto arrivando. Ho tre bambini, uno di loro non reagisce. Prepara tutto. Sono a quindici minuti.»
Nello studio medico, la dottoressa Ferrari li accolse d’urgenza. I gemelli furono messi in culle termiche improvvisate. Alessia, su una barella riscaldata.
«Che è successo, Leonardo?» chiese la dottoressa.
«Li ho trovati in mezzo alla strada. Lei li proteggeva con il suo corpo. Aveva la febbre! È denutrita. Possono salvarsi?»
«Faremo il possibile. Ma la bambina è al limite.»
Mentre i medici agivano, Leonardo rimase solo in sala d’attesa. Qualcosa in quella bambina gli aveva toccato l’anima. Non era solo il gesto eroico. Era il suo sguardo. Una miscela di paura e coraggio, come se avesse combattuto una vita intera.
All’alba, la dottoressa uscì con un’espressione seria.
«I gemelli sono stabili. E la bambina anche. Ma devo sapere chi sono. Questa situazione non è normale.»
Leonardo annuì. Quando Alessia si svegliò, fu il primo ad avvicinarsi.
«Ciao, sono Leonardo. Ti ho trovata sulla strada. Come ti chiami?»
«Alessia» rispose con voce flebile. «Loro sono Matteo e Martina. I miei fratellini.»
«Dove sono i tuoi genitori?»
«La mamma è morta. Il papà non lho mai conosciuto.»
«E perché eri sola con loro?»
Alessia deglutì. Esitò. Poi gli raccontò tutto.
L’orfanotrofio. La separazione. La promessa.
Leonardo l’ascoltò in silenzio. Quando finì, aveva gli occhi lucidi.
«Sei coraggiosissima, Alessia.»
Due giorni dopo, Leonardo prese una decisione radicale.
«Li adotto tutti e tre.»
«Sei sicuro?» gli chiese la dottoressa. «Sei single. Non hai mai avuto figli.»
«Loro hanno bisogno di me. E io ho bisogno di loro.»
La notizia fece il giro della città. «Giovane milionario adotta tre orfani dopo averli trovati nella neve.» I social si riempirono di messaggi. Alcuni lo definirono un eroe. Altri, un pazzo.
Ma a Leonardo non importavano i titoli.
L’unica cosa che contava era vedere il sorriso di Alessia quando entrava nella stanza e lei correva ad abbracciarlo.
«Grazie per averci salvato, papà» gli disse un giorno, per la prima volta.
E lui, commosso, la strinse forte al petto.
«No, piccola mia grazie a te per avermi insegnato cos’è una famiglia.»
Epilogo:
Mesi dopo, Leonardo fondò un centro di accoglienza per bambini orfani: Casa della Speranza Alessia. Lì, centinaia di piccoli trovarono un nuovo inizio.
Alessia, ormai sei anni compiuti, passeggiava tra di loro come una piccola guida, con i fratellini per mano.
E quando qualcuno le chiedeva perché fosse così coraggiosa, rispondeva con un sorriso:
«Perché una volta, in mezzo alla tempesta, ho promesso di proteggere chi amo e non ho mai rotto quella promessa.»

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