Ragazza, di chi sei?” – ho chiesto.

**Diario personale**

Mentre salivo le scale del mio palazzo a Milano, sentii una vocina timida alle mie spalle.

“Signore, mi scusi”

Mi voltai e vidi una bambina di circa sei anni, con gli occhi grigi pieni di speranza.

“Sto cercando la mamma lha vista?”

Riflettei un attimo. Vivevo in quellappartamento da poco e, per quanto ne sapevo, la casa di fronte era vuota da mesi.

“Piccola, lì non abita nessuno,” risposi gentilmente.

Le sue labbra tremarono e si sedette sui gradini, scoppiando in lacrime.

“Zio, abbiamo bisogno di lei! Solo la mamma può sistemare tutto papà è triste senza di lei.”

Ero confuso. Non avevo figli e non sapevo come aiutare quella creaturina così fragile. Abbracciarla? Invitarla a bere un tè? Ma sarebbe mai entrata in casa di uno sconosciuto? Mentre esitavo, squillò il telefono. Le chiesi di aspettare e corsi a rispondere. Quando tornai, era sparita.

Quella sera non riuscivo a smettere di pensarci. Decisi di chiamare la padrona di casa, la signora Bianchi, per chiedere informazioni sui vicini.

“In quellappartamento non vive nessuno da anni,” disse. “Perché me lo chiedi?”

“Oggi cera una bambina che cercava sua madre”

Un silenzio pesante. Poi, con voce più bassa, aggiunse:

“Devessere la figlia di Elena ma lei non cè più. Il marito è rimasto solo, con una neonata tra le braccia. Non ce la fece a restare in quella casa e se ne andò. Da allora è vuota.”

Mi diede il loro nuovo indirizzo, nel caso la bambina fosse tornata.

Col tempo, il ricordo svanì. Lavoravo tutto il giorno e tornavo a casa tardi.

Poi, una sera dinverno, prima di Natale, sentii bussare piano alla porta. Era lei, ancora lì, con le guance bagnate di pianto.

“Che succede, tesoro? Dovè tuo padre?”

“È a casa ma io voglio trovare la mamma,” sussurrò.

Ricordai il foglietto con lindirizzo e la invitai ad aspettare in salotto mentre lo cercavo. Appena mi voltai, si addormentò sul divano, raggomitolata come un gattino. Chiamai la signora Bianchi.

“La bambina è qui da me. Volevo riportarla a casa, ma si è addormentata. Temo che il padre sia in pensiero”

“Vado io,” rispose. “Abitano vicino.”

Mentre aspettavo, osservai quella creaturina. Le sistemai una ciocca ribelle e mi commossi.

Avevo sempre sognato di essere padre, ma la vita aveva deciso altrimenti. Io e mia moglie, Lucia, eravamo felici. Quando scoprimmo che aspettavamo un bambino, fu la gioia più grande. Ma lo stress del lavoro, le notti insonni persi quel piccolo angelo troppo presto.

Provammo ancora, ma non ci riuscimmo mai. Poi Lucia se ne andò, trovò unaltra famiglia. Io rimasi solo, in affitto, da un appartamento allaltro.

Un colpo alla porta mi strappò dai ricordi. Ad aprirla, trovai un volto che non vedevo da anni.

“Marco? Tu qui?”

“Sono venuto a prendere mia figlia. Abiti in via Verdi 5, vero?”

“Giusto. Allora è tua?” Lo feci entrare. “Dorme, non volevo svegliarla.”

Sedemmo in cucina, il bollitore sul fuoco.

“Mi dispiace disturbarti,” disse. “La sveglio e ce ne andiamo.”

“No, aspetta perché viene qui?”

Marco chiuse gli occhi, esausto, poi iniziò a raccontare.

“Vivevamo qui con Elena. La casa era sua, ereditata dal nonno. Quando rimase incinta, ero al settimo cielo. Ma” La voce gli si incrinò. “Al parto, ci furono complicazioni. Non ce la fece. Mi chiese di prendermi cura della bambina, se qualcosa fosse andato storto.”

Gli posi una mano sulla spalla. Le lacrime non smettevano di scendere.

In quel momento, sentimmo dei passettini.

“Papà?”

Marco la strinse forte.

“Ginevra, perché sei scappata?”

“Voglio trovare la mamma”

“La troveremo, tesoro. Ma ora torniamo a casa.”

Mi lasciò il suo numero. “Se torna, chiamami. Ormai sa la strada.”

“Ma come ha scoperto questo posto?” chiesi.

“Glielho mostrato io,” sospirò. “Dovevo prendere delle cose. Vide le foto di Elena e da allora non fa che sognare di rivederla. Le ho detto che è solo via per un po”

Se ne andarono, ma qualche giorno dopo Marco mi chiamò. Iniziammo a vederci, a passeggiare insieme, a portare Ginevra al parco. Lei si affezionò, e una volta mi chiamò “papà”.

Un giorno, Marco mi prese le mani.

“Luca vieni a vivere con noi. Ginevra ti cerca sempre. E io” Abbassò lo sguardo. “Mi manchi.”

Ora siamo una famiglia. Cresciamo la nostra piccola stella, Ginevra. E ogni giorno ringrazio il cielo per questo dono: essere amato, e poter amare.

Perché a volte, lamore vero arriva quando meno te laspetti.

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Ragazza, di chi sei?” – ho chiesto.