Tua madre pensa che io sia la sua domestica? mia moglie si rifiutò di esaudire le richieste della suocera
Capita quel momento in cui la pazienza si spezza, come se qualcuno tracciasse una linea invisibile: basta, non ce la fai più. Per me arrivò una sera qualunque, mentre friggevo le patate.
La giornata era stata un incubo. Al lavoro il capo mi aveva tormentato con i suoi rapporti, e poi la chiamata di Luca: “Gioia, mamma passerà da noi, è stata in centro”. Ma certo. Quando mai la signora Antonella passava senza motivo? Sceglieva sempre il momento in cui tornavo dal lavoro, sfiancata.
Stavo ai fornelli, rigirando quelle patate maledette. Le tempie mi pulsavano, i piedi mi dolevano dopo tutto il giorno sui tacchi, e le mani muovevano il mestolo meccanicamente. Avanti e indietro, avanti e indietro. Avrei voluto sedermi, accendere la tv, spegnere il telefono…
“Gioia!” la voce arrivò dall’ingresso. “Dove sei?”
Eccola. Non mi voltai nemmenosapevo che sarebbe scivolata lungo il corridoio con quelle sue scarpe eleganti, sbirciando in cucina…
“Ah, eccoti,” la signora Antonella si accomodò a tavola con aria di superiorità. Tirò fuori il telefono, fissando lo schermo. “Fammi un tè e preparami un panino. Sono stanca.”
Mi bloccai. Qualcosa scattò nella mia mente. Tre anni. Tre anni di ordini, di “portami”, “fammi”, “preparami”. Come se fossi la badante invece che la nuora.
“La pentola è sul fuoco,” dissi con una calma che mi sorprese. “Il pane è nell’armadio.”
Silenzio. Quello tagliente, che graffia l’aria. Con la coda dellocchio la vidi alzare lo sguardo dallo schermo, lentamente, come se non credesse alle sue orecchie.
“Come hai detto?” la sua voce si fece gelida. “Ti pare il modo di rispondere?”
Spensi il fuoco. Mi asciugai le mani con quel strofinaccio con i girasoli che lei aveva portato quando ci trasferimmo. “Per rendere tutto più accogliente,” aveva detto allora. Mi girai verso di lei.
“Mi permetto di essere una persona, non una serva,” sussurrai. “Anchio sono stanca. Anchio ho avuto una giornata pesante. Se hai bisogno daiuto, chiedilo con rispetto.”
E come per magia, Luca entrò in cucina. Si fermò sulla soglia, gli occhi smarriti. Guardò me, poi sua madre, poi di nuovo me. Ovviamente, lui odiava i conflitti.
“Lucino!” esclamò la signora Antonella. “Guarda come mi risponde tua moglie! Io che chiedo solo…”
Non la lasciai finire. Mi girai verso mio marito:
“Luca,” dissi. “Tu almeno mi rispetti?”
Fuori le macchine rombavano, le patate si raffreddavano, e noi tre eravamo pietrificati in quella cucina. Eppure, dentro di me, un senso di pace. Come se un peso mi fosse stato toltoquello che portavo da tre anni. Basta. Basta essere compiacente, remissiva, invisibile. Luca guardava me, poi sua madre, e vidi lo shock nei suoi occhi. Per la prima volta in tutti quegli anni, la moglie silenziosa aveva mostrato i denti. Ora toccava a lui.
Passò una settimana dopo quella discussione. Una settimana di guerra fredda: la signora Antonella mi ignorava, sospirando ogni volta che mi incrociava. Luca correva avanti e indietro, fingendo che tutto fosse normale. Io… per la prima volta mi sentivo una persona.
Quella sera ero rannicchiata nella nostra piccola sala, avvolta nella vecchia poltrona di suo padrelunica cosa che Luca riuscì a portare via dopo la sua morte. La signora Antonella aveva protestato: “Portare via i ricordi di tuo padre!” Ma io sapevo che non voleva lasciarlo andare, nemmeno simbolicamente.
Stavo leggendo un romanzo rosamia madre dice che aiutano a distrarsima le parole danzavano davanti ai miei occhi. Perché doveva essere così difficile? Perché non potevamo essere una famiglia normale, senza interferenze, senza ordini…
“Gio.”
Mi voltai di scatto. Luca era sulla sogliascompigliato, perso. Il mio ragazzo, che non era mai diventato un uomo.
“Perché non dormi?” chiese, spostando il peso da un piede allaltro.
“E tu?” posai il libro.
“Sto… pensando.”
“A cosa?”
Entrò, sedendosi pesantemente sul divano. Rimase in silenzio, fissandosi le mani.
“Sei… diversa ultimamente. Mamma dice…”
“Parliamo noi due, senza tua madre,” lo interruppi. “Luca, hai mai pensato al perché ti ho sposato?”
Mi guardò stupito:
“Perché mi ami?”
“Perché mi innamorai di un ragazzo forte, che prendeva decisioni. Ricordi quando mi hai chiesto di sposarti? In piazza, davanti a tutti. Tua madre era contraria…”
“Sì,” sorrise debolmente. “Fu la prima volta che non la ascoltai.”
“E avevi ragione. E ora? Ora in casa nostra decide tua madre? Luca,” mi chinai verso di lui, “tu sei cresciuto con una madre che faceva tutto per te. Ma nella nostra casa non sarà così. Non sarò una servané per te, né per lei. Voglio essere tua moglie. La tua compagna. Capisci?”
Nella stanza cera solo il ticchettio dellorologio anticoaltro regalo di sua madre.
“Se per te la moglie è una domestica, forse dobbiamo capire che famiglia vogliamo.”
Luca sussultò:
“Mi stai minacciando?”
“No, amore. Sono stanca di fare da madre a un uomo adulto. Sai,” sorrisi amaramente, “tua madre ha torto su molte cose, ma almeno è sincera. Lei comanda. Tu… ti nascondi dietro di lei per decidere, e dietro di me per le faccende.”
Tacque a lungo. Vidi la tensione sulla sua mascella, lo sguardo fisso sul pavimento. Poi, improvvisamente:
“Ricordi come ci siamo conosciuti?”
“Al parco,” sorrisi. “Stavi passeggiando con il cane.”
“Esatto. Ti travolse. Io… ebbi paura che ti arrabbiassi. Invece ridesti e cominciasti a giocare con lui.”
“Dove vuoi arrivare?”
Alzò lo sguardo: “Penso… tu sei forte. Io… forse ne ho approfittato, no?”
Qualcosa si mosse dentro di me. Lo guardaiscompigliato, confuso, ma diverso. Come se stesse cambiando in quel preciso istante.
“Luca,” sussurrai, “dobbiamo decidere. Non posso continuare così.”
La mattina dopo era insolitamente tranquilla. Mi svegliai con il sole che entrava dalla finestrami ero dimenticata di chiudere le tende. Luca non cera, ma dalla cucina provenivano rumori. Strano, di solito dormiva fino a mezzogiorno…
Mi avvolsi nella vestaglia e uscii. E mi bloccai sulla soglia della cucina.
La signora Antonella stava preparando la valigiaquella vecchia con cui era arrivata tre settimane prima. Luca vi infilava barattoli, pacchetti…
“Buongiorno,” dissi piano.
Lei si voltò. Stringendo le labbra, annuì. In altri momenti mi sarei sentita a disagio, avrei offerto il caffè… Ma non quella mattina.
“Ho chiamato un taxi per mamma,” disse Luca, senza guardarmi. “Arriva tra mezzora.”
Mi av






