La felicità inaspettata di Riccardo

Nella piccola cittadina arroccata ai margini della geografia, come un granello di polvere dimenticato sulla mappa, il tempo scorreva non in ore ma in stagioni. Si fermava nei gelidi inverni, si scioglieva con il fango primaverile, sonnecchiava nella calura estiva e si rattristava con le piogge autunnali. In questo flusso lento e pesante, affondava la vita di Luisa, che tutti chiamavano semplicemente Luisa.

Luisa aveva trentanni, e la sua vita sembrava irrimediabilmente impantanata nel fango del suo stesso corpo. Pesava centoventi chili, e non era solo un peso, ma una fortezza innalzata tra lei e il mondo. Una fortezza di carne, stanchezza e quieta disperazione. Sospettava che la radice del male fosse dentro di leiun guasto, una malattia, un disturbo metabolicoma andare da uno specialista era impensabile: troppo lontano, troppo umiliante e, soprattutto, sembrava inutile.

Lavorava come assistente allasilo comunale “Girasole”. Le sue giornate erano piene di profumi di talco per bambini, pappa bollita e pavimenti perennemente bagnati. Le sue mani grandi e incredibilmente gentili sapevano consolare un bimbo in lacrime, rifare una dozzina di lettini e asciugare una pozzanghera senza far sentire il piccolo in colpa. I bambini ladoravano, attratti dalla sua dolcezza e calma affettuosa. Ma lammirazione silenziosa nei loro occhi era una debole ricompensa per la solitudine che laspettava fuori dal cancello dellasilo.

Viveva in un vecchio casermone di otto appartamenti, residuo di tempi ormai sbiaditi. La casa scricchiolava di notte, tremava col vento forte e pareva sul punto di crollare. Due anni prima, sua madre laveva lasciata per sempreuna donna quieta, sfiancata, che aveva sepolto ogni sogno tra quelle stesse madiere. Di suo padre Luisa non ricordava nulla: era evaporato dalla loro vita tanto tempo fa, lasciando solo polvere e una vecchia fotografia.

La sua quotidianità era dura. Acqua fredda che sgocciolava dal rubinetto arrugginito, un bagno esterno che dinverno diventava una grotta di ghiaccio, e destate, un forno soffocante. Ma il vero tiranno era la stufa. In inverno divorava due carichi di legna, prosciugando il suo già modesto stipendio. Luisa passava lunghe serate a fissare il fuoco dietro lo sportello di ghisa, e le sembrava che la stufa divorasse non solo la legna, ma anche i suoi anni, le sue forze, il suo futuroriducendo tutto in cenere fredda.

Poi, una sera, mentre il crepuscolo riempiva la stanza di una malinconia grigia, accadde un miracolo. Non eclatante né pomposo, ma discreto, come le pantofole della vicina Nadia, che bussò alla sua porta.

Nadia, la custode dellospedale locale, una donna dal volto solcato da rughe di preoccupazione, stringeva due banconote.
“Luisa, perdonami, ti prego. Tieni. Duecento euro. Non potevo più sopportare il rimorso,” mormorò, infilandole in mano.

Luisa fissò i soldi, un debito che aveva già dato per perso da due anni.
“Nadia, ma dai Non dovevi preoccuparti.”

“Dovevo!” linterruppe la vicina. “Adesso ho i soldi! Ascolta”

E Nadia, abbassando la voce come per svelare un segreto di Stato, iniziò a raccontare una storia incredibile. Di come fossero arrivati in paese degli stranierimarocchini. Uno di loro, avvicinandosi mentre spazzava la strada, le aveva offerto un lavoro strano e inquietante: millecinquecento euro.
“Hanno bisogno di cittadinanza, subito. Girano così per i nostri paesini, cercano mogli. Finte, per il matrimonio. Ieri mi hanno sposata. Non so come abbiano fatto allanagrafe, avranno pagato qualcuno, ma è tutto velocissimo. Il mio, Rashid, adesso sta da me, per fare presenza, poi se ne va al buio. Mia figlia Silvia ha accettato anche leile serve un piumino nuovo, con linverno alle porte. E tu? Guarda che occasione. Ti servono soldi? E chi ti sposa, qui?”

Lultima frase non era cattiva, ma schietta, amara come la vita. E Luisa, sentendo il solito dolore pungerle il cuore, ci pensò solo un secondo. Nadia aveva ragione. Un vero matrimonio non era in vista. Pretendenti non ce nerano, non ce ne sarebbero mai stati. Il suo mondo si limitava alle madiere dellasilo, del negozio e di quella stanza con la stufa divoratrice. E quisoldi. Millecinquecento euro. Avrebbe comprato legna, avrebbe finalmente tappezzato le pareti, scacciando un po della tristezza di quelle madiere sbiadite.

“Daccordo,” disse piano.

Il giorno dopo Nadia portò il “candidato”. Luisa, aprendo la porta, sussultò e indietreggiò, istintivamente cercando di nascondere la sua figura imponente. Davanti a lei cera un ragazzo. Alto, slanciato, con un volto ancora intatto dalla durezza della vita, occhi grandi, scurissimi e incredibilmente tristi.
“Dio, ma è solo un ragazzino!” le sfuggì.

Il giovane si raddrizzò.
“Ho ventidue anni,” disse chiaro, quasi senza accento, solo con una lieve cadenza melodiosa.

“Ecco,” si affrettò Nadia. “Il mio ne ha quindici meno di me, voi avete solo otto anni di differenza. Lui è nel fiore degli anni!”

In municipio, però, non vollero celebrare il matrimonio subito. Limpiegata, in un tailleur austero, li squadrò con sospetto e annunciò che per legge cera un mese di attesa. “Per riflettere,” aggiunse con tono significativo.

I marocchini, finita la parte burocratica, se ne andarono. Dovevano lavorare. Ma prima di partire, Rashidcosì si chiamava il ragazzochiese a Luisa il numero di telefono.
“È triste stare soli in una città straniera,” spiegò, e nei suoi occhi Luisa vide un sentimento che conosceva bene: lo smarrimento.

Iniziò a chiamare. Ogni sera. Allinizio brevi, imbarazzati. Poi più lunghi. Rashid si rivelò un conversatore straordinario. Parlava delle sue montagne, di un sole diverso da quello italiano, di sua madre, che amava profondamente, di come fosse venuto in Italia per aiutare la sua numerosa famiglia. Chiedeva di lei, del lavoro con i bambini, e Luisa, con sua sorpresa, rispondeva. Non si lamentava, ma raccontavadegli episodi divertenti allasilo, di casa sua, del profumo della terra in primavera. Si sorprendeva a ridere al telefonocon una risata giovane, dimentica del suo peso e degli anni. In quel mese, si conobbero più di quanto molte coppie facessero in anni di matrimonio.

Dopo un mese, Rashid tornò. Luisa, indossando lunico vestito elegante che avevaargenteo, che le modellava le formesi accorse di provare qualcosa di strano: non paura, ma trepidazione. I testimoni erano suoi connazionali, giovani altrettanto seri e composti. La cerimonia fu rapida e distaccata per gli impiegati. Per Luisa, invece, fu un lampo: il luccichio delle fedi, le frasi ufficiali, lirrealtà di quel momento.

Dopo, Rashid laccompagnò a casa. Entrati, le consegnò solennemente la bust

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