La Ricetta di Famiglia
“Vuoi davvero sposare una persona che hai conosciuto su internet?” chiese Lucrezia Mancini, scrutando la futura nuora con sguardo sospettoso, come se potesse nascondere una banconota falsa. I suoi occhi, pesanti e giudicanti, scorsero l’acconciatura semplice di Beatrice, il suo vestito modesto. Non vi conoscete nemmeno bene!
Beatrice sentì un brivido lungo la schiena. Erano sedute nella cucina del vecchio appartamento dove era cresciuto Luca. La stanza era piccola ma accogliente, lucida e profumata di vaniglia e legno antico.
“Mamma, basta,” intervenne Luca, cingendo le spalle di Beatrice con un braccio. Non ci siamo conosciuti su internet, ma in un club del libro. Abbiamo solo parlato online prima. Sei mesi! E Beatrice è fantastica!
La loro storia era cominciata così: Beatrice teneva un piccolo blog su libri dimenticati. Luca, un ingegnere informatico con una passione discreta per i classici, si era imbattuto in un suo post su “I Fratelli Karamazov”. La loro discussione era sfociata in messaggi privati, poi in lunghe telefonate. Scoprirono di ridere delle stesse battute, di amare le stesse cose il silenzio, l’onestà, l’odore della carta vecchia. Il primo incontro, davanti alla statua di Dante, non era stato un appuntamento ma la continuazione di un dialogo. Con lei, Luca si sentiva a casa. Lei, invece, vedeva in lui un uomo timido ma con un mondo interiore profondo.
“Fantastica…” sbuffò Lucrezia, agitando rumorosamente il cucchiaino nella tazza di porcellana. Eppure viene da un’altra città, non ha lavoro qui, e poi chi sa cosa le passa per la testa… Ho cresciuto mio figlio, lho educato, e ora arriva una sconosciuta…
Beatrice serrò i denti ma non rispose. Aveva capito: per la suocera non era una persona, ma una minaccia unestranea che voleva portarle via il figlio. Lucrezia era una donna di regole ferree, che dopo la morte del marito cinque anni prima aveva stretto ancora di più il cerchio attorno a Luca.
I primi tentativi di avvicinarsi erano falliti.
Quando Beatrice, mettendocela tutta, aveva preparato una crostata di mele con cannella e anice, “come faceva sua nonna”, Lucrezia ne prese un pezzettino e borbottò:
“Troppo dolce. Da noi non si fa così.”
Quando offrì aiuto per le pulizie, la risposta fu secca:
“Non serve, so io dove sta tutto. Poi ci metto mesi a ritrovare le cose.”
Da solo con Beatrice nella sua stanza, piena di modellini di navi e libri di fisica, Luca si limitò ad alzare le spalle:
“Non prenderla a cuore. Mia madre è così. Familiare ma spinosa, come un riccio.”
“Ci sto provando,” sussurrò Beatrice, guardando i balconi tutti uguali fuori dalla finestra. Vivere in una guerra fredda è difficile, e andarcene non sarà possibile ancora per un po.
Ma Beatrice non si arrese. Credeva che ogni fortezza avesse una porta segreta.
Una mattina di sabato, Lucrezia sfogliava un vecchio album mentre puliva gli scaffali. Beatrice le si avvicinò e notò che la suocera si era fermata su una foto ingiallita: una donna giovane e sorridente accanto a un uomo alto e dai capelli scuri.
“Chi è?” chiese con delicatezza.
Lucrezia trasalì, come colta in fallo.
“Mio fratello, Marco,” sospirò, e per la prima volta la sua voce non era pungente, ma stanca di tristezza. Litigammo… ventanni fa, forse più.”
“Per cosa?” osò Beatrice, temendo di rompere il momento.
“Per una stupidaggine. Leredità di un pezzo di terra. Entrambi testardi come muli. Lui mi disse parole brutte, io risposi male. E basta. Viviamo nella stessa città ma come su pianeti diversi.”
Beatrice tacque, ma nella sua mente stava già nascendo un piano. Ricordò che Luca aveva accennato a come la madre si fosse chiusa ancora di più dopo quel litigio.
Una settimana dopo, parlando con la chiacchierona vicina, zia Pina, Beatrice “casualmente” toccò largomento.
“Ah, Lucrezia e Marco!” esclamò la donna. Erano inseparabili! Marco abita nel nuovo quartiere, lì vicino alla piazza. Lanno scorso è stato male, unoperazione al cuore. I figli sono a Milano, poveretto, è solo.”
Quella sera, mentre Luca leggeva e Lucrezia lavorava a maglia, Beatrice iniziò con cautela:
“Lucrezia, sapeva che suo fratello lanno scorso ha avuto un intervento al cuore?”
I ferri si fermarono. La suocera impallidì:
“Cosa?! Come lo sai?”
“Me lha detto zia Pina oggi. Dice che è solo, i figli lontani, che aveva bisogno di aiuto…”
Lucrezia non rispose. Andò in camera sua senza una parola. Beatrice la sentì camminare avanti e indietro. La serata trascorse in un silenzio pesante.
Il mattino dopo, la suocera, di solito pigra ad alzarsi, era già pronta.
“Vado da unamica,” borbottò, indossando il cappotto migliore.
Tornò a sera. Gli occhi rossi, ma non più freddi. Il viso era diverso, smarrito e più dolce. Vedendo Beatrice in cucina, si fermò sulla porta:
“Grazie,” disse brevemente, la voce strozzata. Poi se ne andò, incapace di aggiungere altro.
Scoprirono poi che aveva preso lautobus ed era andata a casa di Marco. Aveva aspettato mezza ora davanti al portone prima di suonare. Quando lui aprì, si guardarono in silenzio, due caparbi ingrigiti, poi si abbracciarono, piangendo, ridendo di quanto fossero stati sciocchi a perdere ventanni per un pezzo di terra.
“Hai ragione,” disse Lucrezia alcuni giorni dopo, mentre bevevano il tè. Parlava piano, fissando il vapore della tazza. A volte basta fare un passo. Ventanni di silenzio per nulla… Che stupidaggine.”
Da allora, Lucrezia divenne più gentile con Beatrice. Non più unospite sgradita, ma di famiglia. Una volta, mentre sistemavano la dispensa, chiese a bassa voce:
“Bea, quella crostata… con lanice. Me la insegni? A Luca è piaciuta tanto.”
Con mani che cercavano di non tremare, Beatrice prese la farina. Lavorarono insieme nella cucina stretta, Lucrezia per una volta senza correzioni. Tagliarono le mele, prepararono limpasto e infornarono la crostata.
“Sai,” disse Lucrezia, asciugandosi le mani sul grembiule, mio fratello… è contento che ci siamo riconciliati. Ha chiesto chi mi avesse spinto a venire.”
Beatrice sorrise senza rispondere.
“Allora,” disse Luca tornando dal lavoro, trovandole insieme in cucina. Sembra che abbiate preparato qualcosa insieme?”
Beatrice gli si appoggiò alla spalla e annuì. Sapeva che, a volte, per riconciliare tutti, bastava ricordare loro lamore che cera già prima di te. Bisognava solo trovare il filo giusto.





