Me ne vado. Lascerò le chiavi del tuo appartamento sotto lo zerbino – ha scritto mio marito

«Me ne vado. Lascerò le chiavi di casa tua sotto lo zerbino», scrisse lui.

«Eccoci di nuovo, Marina! Ma quando finirà? Ogni centesimo è contato, e tu vuoi un cappotto nuovo. Quello vecchio è davvero così malridotto?»

«Roberto, non è malridotto, è solo vecchio! Ha sette anni. Sette! Sembro uno spaventapasseri quando lo indosso. Tutte al lavoro hanno già rifatto il guardaroba tre volte, io sembro uscita dal secolo scorso. Non merito davvero un misero cappotto?»

«Certo che lo meriti, lo meriti!» Roberto alzò le braccia, il volto contratto in quella solita smorfia dirritazione. «Ma non ora. Lo sai che ho un progetto urgente, tutti i soldi sono investiti. Quando chiuderò il contratto, ti comprerò anche una pelliccia di visone. Intanto, pazienta.»

«Ho pazientato per ventanni, Roberto. Tutta la nostra vita ho pazientato. Prima finché non ti laureavi. Poi finché non compravamo la prima macchina. Poi per questo appartamento, o meglio, per i suoi lavori, perché me lo hanno lasciato i miei genitori. Cè sempre qualcosa di più importante di me.»

Marina stessa si stupì delle sue parole. Di solito taceva, ingoiava il rancore e andava in cucina a prepararsi un tè per calmarsi. Ma oggi qualcosa si era rotto. Si era accumulato troppo. Guardò il marito con stanchezzaquelluomo un tempo amato, familiare, e ora quasi estraneo, con quel volto perennemente scontento e gli occhi spenti.

«Ecco, comincia», borbottò lui, prendendo la giacca dallattaccapanni. «Il solito spettacolo. Basta, non ho voglia di ascoltare. Devo andare a un incontro.»

«Quale incontro alle nove di sera?» chiese piano Marina, anche se già conosceva la risposta. Quegli “incontri” erano diventati troppo frequenti negli ultimi sei mesi.

«Di lavoro, Marina, di lavoro! Non tutti possono respirare la polvere in biblioteca fino alle sei. Cè chi lavora per permettere a gente come te di sognare un cappotto!»

Sbatté la porta così forte che i bicchieri nel vecchio mobile tremolarono. Marina trasalì e rimase immobile nellingresso. Il silenzio che seguì fu assordante, denso come la panna. Lentamente si avviò in cucina, mise la pentola sul fuoco con gesto meccanico. Le mani le tremavano. Non per la rabbia, ma per un vuoto lancinante dentro di sé. Sapeva che non era a un incontro. Sapeva che cera unaltra donnagiovane, vivace, una sua collega. Non voleva crederci, scacciava il pensiero, ma tornava incessante, come una mosca molesta.

Il telefono vibrò nella tasca del suo accappatoio. Forse si scusava, come al solito. Le avrebbe scritto qualcosa tipo «Scusa, ho esagerato. Quando torno ne parliamo.» Marina tirò fuori il cellulare. Il messaggio era di Roberto. Ma le parole erano ben diverse.

«Me ne vado. Lascerò le chiavi di casa tua sotto lo zerbino.»

Solo otto parole. Brevi, taglienti, come colpi dascia. Marina le rilesse una, due, tre volte. Le lettere danzavano davanti ai suoi occhi, rifiutandosi di comporre un senso. Non può essere. È uno scherzo crudele. Non può averlo fatto. Dopo ventanni di matrimonio. Andarsene così, con un messaggio.

Corse in camera da letto. Aprì larmadio. La sua metà era quasi vuota. Mancavano i migliori abiti, le camicie, i maglioni. Sul ripiano, solitario, giaceva una cravatta dimenticata. Sul comodino non cerano più lorologio né il caricabatterie. Si era preparato da tempo. Quella litigata per il cappotto era solo un pretesto. Un modo comodo per andarsene.

Le gambe cedettero e Marina si sedette sul letto. Le mancava il fiato. Guardò lo spazio vuoto nellarmadio, incredula. Ventanni. Tutta la sua vita consapevole. Si erano conosciuti alluniversità, sposati subito dopo la laurea. Vivevano proprio in quellappartamento che i loro genitori le avevano lasciato. Avevano steso insieme la carta da parati, scelto i mobili, sognato i figli che non erano mai arrivati. Lei lavorava in biblioteca, lui gestiva una piccola impresa di infissi. La vita non era stata facile, ma era stata la loro vita. E ora, con un messaggio, aveva cancellato tutto.

La prima cosa che fece fu chiamare Sofia, la sua unica amica.

«Sofia se nè andato», sussurrò nella cornetta, trattenendo a stento i singhiozzi.

«Chi se nè andato? Dove?» Sofia, ancora assonnata, non capiva. «Marì, che succede?»

«Roberto. Se nè andato. Per sempre. Ha scritto che lascia le chiavi.»

Un silenzio pesò nella cornetta per qualche istante.

«Che pezzo di merda!» esclamò Sofia con la sua voce squillante. «Te lavevo detto che quei convegni notturni non finivano bene! Su, niente panico. Tornerà. Si sarà montato la testa, ma tornerà, non ha scelta.»

«No, Sofia. Ha portato via le sue cose.»

«Tutte?»

«Quasi tutte. Ha scritto che lascerà le chiavi sotto lo zerbino.»

«Ah, quello!» Sofia cercò le parole. «Su, resta a casa, non muoverti. Arrivo subito. Compra del vino. O meglio, della grappa. Cureremo il tuo cuore spezzato.»

Sofia arrivò trafelata dopo quaranta minuti con una busta di alimenti e una bottiglia di cognac. Andò decisa in cucina, tirò fuori formaggio, salame e limone.

«Allora, racconta. Cosè successo? Per cosa avete litigato?»

Marina, ormai un po più calma, le parlò del cappotto, della sua irritazione costante, del gelo tra loro negli ultimi mesi.

«Capisco», annuì Sofia, versando il cognac nei bicchierini. «Ha trovato una ragazzina e si crede un latin lover. Tu, con i tuoi cappotti, non combaci con la sua nuova vita luccicante. Una storia vecchia come il mondo. Gli uomini alla sua età impazziscono. Crisi di mezzetà, maledetti.»

Bevvero. Il cognac bruciò la gola, diffondendo un tepore lieve.

«Cosa faccio ora, Sofi? Come vivo?»

«Vivi, Marì, vivi! Prima di tutto, cambia la serratura. Subito. Chiama un fabbro domani stesso. Non si sa mai cosa gli passa per la testa. Poi, chiedi il divorzio e la divisione dei beni. Aveva una ditta, no?»

«Sì ce lha. Piccola, di infissi. Ma tutto è intestato a lui. Anche la macchina.»

«Perfetto. La metà è tua per legge. Non può tenersi tutto. Vediamo se la sua nuova fiamma sarà felice quando si presenterà da lei con una valigia sola.»

Rimasero a parlare fino a notte fonda. Sofia parlava senza sosta, architettava piani di vendetta, insultava Roberto, mentre Marina restava per lo più in silenzio, fissando il vuoto. Non voleva vendetta né divisioni. Voleva tornare indietro, a quella mattina in cui lui era ancora lì, bevevano il caffè insieme e tutto era normale.

Al mattino Sofia andò al lavoro, lasciando Marina sola nellappartamento vuoto. Il silenzio opprimeva. Ogni scricchiolio

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