Nostro anniversario d’oro: mio marito ha confessato di aver amato un’altra per tutta la vita

Nel giorno del nostro anniversario di nozze doro, mio marito mi confessò di aver amato unaltra per tutta la vita.

Non quella, Carlo, non quella! Te lho detto cento volte!

Anna Maria agitò la mano con irritazione verso il vecchio giradischi. Carlo, suo marito, scrollò le spalle con aria colpevole e tornò a sfogliare i dischi impilati con cura sul comò intagliato.

Quale allora? Questa? «Volare»? chiese, guardandola incerto.

Ma che «Volare»! «Nel blu dipinto di blu», ti ho chiesto! I bambini arriveranno tra poco, gli ospiti saranno qui, e qui sembra un funerale. È il nostro anniversario doro, Carlo! Cinquantanni! Hai idea di cosa significhi?

Carlo sospirò, le spalle curve che sembravano piegarsi ancora di più. Era sempre stato un uomo di poche parole, e con gli anni si era chiuso ancora di più. Anna si era abituata al suo silenzio, a quello sguardo assente che sembrava sempre andare oltre lei, attraverso le pareti del loro accogliente bilocale nel quartiere di Trastevere. Lo attribuiva alla stanchezza, alletà, al carattere. Cinquantanni non sono uno scherzo. Ci si abitua a tutto.

Finalmente partì la melodia familiare. Anna Maria si ammorbidì allistante, lisciò le pieghe del vestito nuovo color champagne che le aveva regalato la figlia Lucia. Nellaria si mischiavano il profumo delle torte e della vaniglia. Sulla grande tavola rotonda, coperta da una tovaglia bianchissima, luccicavano i bicchieri di cristallo alla luce del tramonto. Tutto era pronto per la festa. La loro festa.

Ecco, molto meglio, borbottò più per abitudine che per rabbia. Almeno mettiti una camicia decente, non farmi fare brutta figura con i nipotini.

Lui annuì in silenzio e uscì dalla stanza. Anna rimase sola. Guardò intorno i frutti delle sue fatiche: il parquet lucido, le tende inamidate, le foto incorniciate alle pareti. Eccoli lì, giovani, in bianco e nero, il giorno del loro matrimonio. Lei, magrolina, sorridente, con una coroncina di margherite tra i capelli. Lui, serio, in un abito severo, lo sguardo fisso nellobiettivo. Poi la foto con il piccolo Matteo in braccio. E ancora, tutti e quattro, con Matteo e Lucia ormai cresciuti, in vacanza al mare. Una vita intera. Cinquantanni.

Le sembrava ieri. Come lei, ragazza di città, fosse arrivata in un paesino della campagna toscana per insegnare a scuola. Come avesse conosciuto lui, lingegnere del posto, timido e un po goffo. Non diceva parole dolci, non portava mazzi di rose. Era semplicemente lì. Le riparava il rubinetto che perdeva, la aspettava dopo il lavoro nelle sere di tramontana, le portava i vasetti di funghi sottolio che preparava sua madre. La sua affidabilità laveva conquistata più di qualsiasi corteggiamento. E quando le aveva chiesto di sposarlo, lei aveva detto di sì senza esitare.

Il campanello la strappò dai ricordi. Sulla porta cerano i figli con enormi mazzi di fiori e i nipotini scalmanati. La casa si riempì di risate, chiacchiere, trambusto. Matteo, il figlio serio diventato medico, consegnò ai genitori con imbarazzo un biglietto per una settimana alle terme. Lucia, la figlia chiacchierona, con gli occhi lucidi recitò una poesia che aveva scritto per loccasione. I nipoti le regalarono i loro disegni maldestri.

Anna Maria era raggiante. Seduta a capotavola accanto a Carlo, si sentiva una regina. La sua vita era riuscita. Aveva un marito meraviglioso, figli splendidi, una casa piena damore. Cosa poteva desiderare di più? Lo guardò con tenerezza. Lui sedeva dritto, nella sua camicia migliore, e sorrideva. Ma il sorriso era tirato, e gli occhi guardavano lontano.

La serata volò. Gli ospiti se ne andarono, i figli, dopo aver messo a letto i nipoti esausti, ripartirono. In casa tornò il silenzio. Solo la musica del giradischi suonava piano.

È stata una bella serata, vero? disse Anna, sparecchiando. I nostri figli sono fantastici. E i nipoti

Carlo non rispose. Era alla finestra, a guardare la città di notte. Anna gli si avvicinò, gli mise una mano sulla spalla.

Che hai, Carlo? Sei stanco?

Si scosse al suo tocco, si voltò lentamente. Nella luce fioca della lucina da comodino, il suo viso le parve quello di un estraneo, affranto.

Anna, cominciò a bassa voce, e la sua voce tremò. Anna, io

Che cè? si preoccupò lei. Ti senti male? La pressione?

No, scosse la testa. Devo dirti una cosa. Non posso più tenerla dentro. Cinquantanni è troppo tempo.

Anna Maria si irrigidì, le mani le caddero lungo i fianchi. Un brutto presentimento le gelò il petto.

Dimmi, Carlo. Non mi spaventare.

Lui respirò profondamente, distolse lo sguardo. Le sue dita tormentavano il bordo della tovaglia.

Nel giorno del nostro anniversario doro forse è giusto. Per essere onesto, almeno una volta.

Si fermò, cercando il coraggio. La stanza era immersa in un silenzio irreale, rotto solo dal ticchettio dellorologio a muro.

Ho amato unaltra per tutta la vita, Anna.

Le parole caddero nel vuoto come sassi in un pozzo profondo. Anna lo fissò senza comprendere. Le sembrava di aver sentito male. Non poteva essere vero. Era uno scherzo crudele, assurdo.

Cosa? sussurrò. Chi?

Lidia, sospirò, e quel nome solo, pronunciato con una tenerezza repressa, la bruciò più di uno schiaffo. Lidia Mancini. La ricordi? Andavamo insieme a scuola.

Lidia Mancini. Certo che la ricordava. Una ragazza vivace, chiassosa, con una lunga treccia bionda e fossette sulle guance. La più bella della scuola. Tutti i ragazzi sospiravano per lei. Ma poi aveva sposato un militare ed era partita subito dopo il diploma. Anna non laveva più vista.

Ma era al liceo, balbettò, aggrappandosi a quel pensiero come un naufrago a un legno. Uninfatuazione da ragazzini

No, Anna, sorrise amaramente. Non da ragazzini. Stavo per chiederle di sposarmi dopo il servizio militare. Le scrivevo lettere. Quando sono tornato era già sposata. Un mese dopo partiva con il marito per il Nord.

Mentre parlava, il mondo di Anna crollava. Quei cinquantanni di felicità coniugale si riducevano a una grande menzogna.

Perché perché allora mi hai sposato? la sua voce si spezzò. Lacrime che non sentiva le rigarono le guance.

Ero distrutto, disse piano, come tra sé. Mia madre mi diceva: «Basta piangerti addosso, la vita continua. Guarda, la piccola Anna, che brava ragazza. Intelligente, perbene». E io ho pensato perché no? Eri una brava persona. Pensavo che col tempo mi sarei dimenticato di lei.

E allora? Lhai dimenticata? urlò, e

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