**Diario personale**
Ero nel mio posto.
Non voglio andare da papà Zia Lidia dice che papà non mi ama più, Michele si strinse le ginocchia al petto, nascondendo il viso tra di esse, seduto sul letto.
Giovanna rimase immobile. Tutto sembrava normale. Il pigiama sgualcito con le macchinine, lo zaino pieno di giocattoli in un angolo, la giacca sulla sedia. Tutto così familiare e accogliente. Solo che suo figlio non correva per casa come un turbine, ma si era rannicchiato in un angolo, ripiegato su se stesso.
Oggi doveva andare dal padre, ma allimprovviso implorava di restare a casa. Se ci pensava bene, da un po di tempo affrontava queste visite con meno entusiasmo. Giovanna aveva provato a convincerlo, ma Michele le aveva confessato bruscamente che Lidia, la nuova compagna di Marco, lo insultava.
Michele la donna si sedette con delicatezza accanto a lui. Dimmi, per favore, cosè successo?
Tacque. Poi sollevò appena la testa e la guardò dal basso. Non sembrava più un bambino di cinque anni. Nei suoi occhi cera una stanchezza e una tristezza da adulto che nessuno crede.
Stavo solo giocando Lei si è arrabbiata perché il giocattolo faceva rumore. Quellandroide. Ti ricordi? Me lha strappato e mi ha detto che avranno un altro bambino, e che papà mi dimenticherà. E che sono di troppo. E se lo dico a qualcuno, sospirò rumorosamente, crederanno che mento. Perché zia Lidia dirà che non è vero. E lei è grande. Crederanno a lei.
Parlava piano, a singhiozzi, quasi piangendo. Nel cuore di Giovanna divampò un miscuglio di rabbia, paura e colpa per aver lasciato che le cose arrivassero a questo punto. Un nodo pesante le serrava la gola. Michele si girò e cominciò a grattare il lenzuolo con lunghia. Giovanna gli tese la mano.
Ti credo. Sai perché? Perché tu non menti mai. Solo quando nascondi le caramelle.
Sbuffò, ma non sorrise.
Papà ha scelto lei al posto mio
Papà semplicemente non conosce tutta la verità, disse Giovanna, cercando di mantenere un tono fermo. Ma capirà. Ne sono certa.
Quando Giovanna mise Michele a letto, decise di bere una tisana. Nella quiete della notte, le tornò in mente il giorno in cui aveva conosciuto Lidia. Se così si poteva chiamare.
Circa un anno prima, aveva ricevuto un messaggio da un profilo anonimo: *Buongiorno! Non mi presenterò, sappia solo che voglio il suo bene. Se le interessa sapere dove passa le serate suo marito, venga lunedì alle sette di sera al ristorante in via Dante Alighieri, numero 8. Tavolo vicino alla finestra.*
Allora, Giovanna si era chiesta chi si nascondesse dietro la maschera del benefattore. Ora lo sapeva: era Lidia. Una benefattrice con unaria di falsità.
Quella sera, Giovanna aveva visto tutto. Marco, seduto di fronte a Lidia. Le loro mani sul tavolo. Le dita intrecciate. Un bacio sulla guancia. Lui aveva borbottato qualcosa su un incontro di lavoro, su unamica, e alla fine su niente di serio. Ma Giovanna non era disposta a perdonare il tradimento.
Si erano lasciati. Ma Michele era rimasto. Così come Lidia, che non aveva aspettato molto per diventare la moglie di Marco.
La sua immagine era impeccabile: educata, dolce fino alleccesso, brava con i bambini. Tutto insieme. Regalava persino giocattoli a Michele per le feste. Puzzle, set di dinosauri, una volta una grande rana di peluche.
Ma quei regali non erano per il bambino, erano per Marco. Lidia non combatteva per lamore del piccolo, ma per lattenzione delluomo. La sua gentilezza era uno strumento, il sorriso unesca. E ora, che la sua pazienza era finita e allorizzonte si profilava un figlio suo, Lidia aveva cambiato tono.
Aveva sbagliato solo in una cosa: Giovanna poteva rinunciare a un uomo. Ma non ai sentimenti di suo figlio.
Sul frigorifero era appesa una lista di cose da fare, ma a Giovanna non importava. Aveva ancora un compito per oggi. Molto importante. Parlare con Marco.
Fissò lo schermo del telefono a lungo prima di premere il tasto della chiamata. I toni di attesa le sembrarono più lunghi del solito. Quando lex marito rispose, la sua voce aveva una nota di irritazione. Era tardi.
Qualcosa di urgente?
Urgente. Dobbiamo parlare. Di Michele.
Si irrigidì immediatamente. Lo sentiva persino al telefono.
Che succede? È malato?
No. Non vuole più venire da te. Dice che Lidia gli dice cose brutte. Che tu non lo ami più. Che avrai un altro bambino e lo dimenticherai.
Dallaltra parte, silenzio. Poi Marco parlò tagliente, con una certa rabbia, come se fosse lui laccusato di un comportamento meschino.
Giovanna, non esageriamo! Credi davvero che io creda a queste bugie? Ricominci. Ancora una volta provi a intrometterti nella mia vita e nella mia relazione con Lidia usando il bambino!
Non ricomincio. Sono sua madre. E lo ascolto. Tu, a quanto pare, no. la voce di Giovanna era ferma. Aveva paura di dirtelo. E, a quanto pare, aveva ragione.
Lo stai solo usando! esplose lui. Vuoi che non venga più da noi. Che mi senta in colpa e torni da te. Sei impossibile, Giovanna. Semplicemente impossibile.
Non riuscì a rispondere subito, per paura che la discussione degenerasse in litigio. Era difficile controllare la rabbia. Le pulsavano le tempie.
Eccolo, Marco. Non il peggior padre, ma sempre con le stesse abitudini da adolescente: tutti contro di lui. Poteva essere dolce con suo figlio, certo. Ma quando si trattava di Lidia, la sua mente si annebbiava.
Michele allungò la mano per prendere un orsacchiotto di peluche dallo scaffale, e Giovanna e Marco, per la prima volta dopo tanto tempo, si scambiarono uno sguardo dintesa, sapendo che, alla fine, lamore per lui li avrebbe uniti per sempre.






