Tutto è iniziato con un piccolo dettaglio, una cosa che sembrava insignificante. Giulia non avrebbe mai immaginato che quel particolare avrebbe aperto un abisso davanti a lei, un vuoto troppo profondo da guardare senza tremare. Tutto è iniziato con le fragole.
Alessia sua figlia, la sua luce, il suo respiro, i suoi nove anni di vita trascorsi nellamore e nelle cure improvvisamente si è coperta di macchie rosse dopo aver mangiato un dessert dolce. Niente di grave, pensò Giulia. Unallergia, può capitare. Ma quando il medico, senza nemmeno guardare la cartella clinica, disse: «Be, capita a qualcuno di essere allergico alle fragole», qualcosa dentro di lei si spezzò. Nella loro famiglia non cera mai stata allergia. Né in lei, né in suo marito, né nei genitori. Mai.
Poi gli occhi.
Marroni. Profondi come la notte, come il cioccolato, come gli occhi di suo marito. Ma Giulia aveva gli occhi azzurro-grigi, come il cielo del mattino sul mare. Guardava sua figlia e non la riconosceva. Non cera nulla di sé in lei. Nemmeno la curva delle sopracciglia, la linea del mento, nemmeno quel modo di strizzare gli occhi alla luce che lei avrebbe voluto trasmetterle con tutta lanima.
«La genetica è complicata», sorrise il medico, sfogliando le analisi. «Ricombinazioni, mutazioni ereditarie Forse una nonna paterna aveva lo stesso problema?»
Giulia tacque. Non cercava scuse. Non ascoltava con la mente, ma con il cuore. E il cuore di una madre non mente. Batte allunisono con il suo bambino, anche se quel bambino non è suo. E ora non batteva più in sintonia. Si strappava.
Di notte, quando la casa era immersa nel silenzio, quando suo marito dormiva e Alessia riposava sotto le coperte con il suo coniglio di peluche, Giulia aprì una vecchia scatola di cartone impolverata sullarmadio. Dentro cerano i documenti dellospedale una copertina, un braccialetto con il nome, una foto con i fiocchi rosa e il certificato di nascita. Lesse ogni riga come una preghiera. E allimprovviso lo sguardo si fermò sulla firma dellinfermiera.
Scarabocchi illeggibili, come fatti apposta per non essere decifrati. Come se qualcuno sapesse che un giorno qualcuno avrebbe cercato la verità.
E Giulia iniziò a scavare.
Prima piano, poi con la disperazione di una belva braccata, con la rabbia di una madre che ha capito di poter perdere tutto. Trovò sui social le donne che avevano partorito lo stesso giorno, nello stesso ospedale. Rintracciò Federica una donna del quartiere vicino, con una figlia della stessa età e con lo stesso nome: Alessia.
Si incontrarono in un bar. Fuori pioveva, come se il cielo volesse avvertirle. Le bambine ridevano insieme, si passavano patatine. E allimprovviso Giulia vide laltra Alessia, quella che non era sua, la guardò. E sorrise. Esattamente come sorrideva sua figlia. Esattamente come sorrideva lei da piccola.
«Tu sei sua madre?» sussurrò Giulia, sentendo un nodo salirle dalla palla alla gola, le mani tremare, il mondo sfocarsi.
Federica impallidì. Gli occhi le si dilatarono. La guardò come un fantasma del passato. E in quel momento, entrambe capirono: qualcosa era andato storto. Molto storto.
Il test del DNA mise la parola fine. Fredda, nera, come una lapide.
Risultato: «Non è la madre biologica».
Giulia si trovò davanti a una scelta che nessuna madre dovrebbe fare. Tribunale. Scandali. Famiglie distrutte. Bambine strappate via. Oppure il silenzio. Vivere come se niente fosse. Continuare ad amare quella che era cresciuta tra le sue braccia, nel suo cuore.
«Mamma, cosa cè?» la voce della figlia non sua la tirò per la mano. «Stai piangendo?»
«Niente, tesoro» Giulia strinse i denti, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. «È solo il vento.»
Ma ormai lo sapeva: a volte la verità fa più paura della menzogna. Perché la menzogna si può dimenticare. La verità ti si incolla allanima come la ruggine.
Parte 2: «La scelta»
Passarono tre mesi. I risultati del DNA giacevano nel cassetto come una bomba inesplosa. Ogni volta che Giulia lo apriva, le mani le tremavano. Ogni parola «non corrispondenza», «paternità esclusa» le trafiggeva il cuore come un coltello. Li rileggeva, come sperando che il testo cambiasse, che la verità svanisse se la fissava abbastanza.
Incontrò Federica. La prima volta al parco, nella nebbia grigia, con le foglie che cadevano come lacrime. Parlavano piano, come cospiratrici, temendo che gli alberi rivelassero il loro segreto. La seconda volta dallavvocato, in un ufficio che odorava di vecchi libri e caffè.
«Per legge, potete fare causa per lo scambio», disse lui, allargando le mani. «Ma i processi durano anni. E poi cosa volete alla fine? Riprendervi “vostra figlia”? Restituire quella “altrui”?»
Giulia non rispose. Guardò la foto. QuellAlessia quella che era suo sangue, la sua carne, i suoi geni. La bambina con le sue sopracciglia, la sua risata, il suo vizio di attorcigliarsi i capelli quando era nervosa. Quella che per otto anni aveva creduto che Federica fosse sua madre. Quella che si addormentava con lung



