Mio figliastro sfidò quel vecchio detto: solo le madri vere meritano il primo posto!
Quando sposai mio marido, Davide aveva appena sei anni. Sua madre se nera andata quando lui ne aveva quattrosenza una telefonata, senza una lettera, solo una fuga silenziosa in una fredda notte di febbraio. Mio marito, Marco, era distrutto. Lo conobbi un anno dopo, entrambi in cerca di ricomporre i pezzi delle nostre vite. Quando ci sposammo, non fu solo una promessa tra noi due. Fu una promessa verso Davide.
Non lo avevo partorito, ma dal giorno in cui entrai in quella casa con le scale scricchiolanti e i poster di calcio appesi alle pareti, fui sua. Sì, ero la matrignama ero anche la sua sveglia al mattino, la donna che gli preparava panini con la Nutella, la compagna di progetti scolastici e quella che lo portava al pronto soccorso alle due di notte quando la febbre non scendeva. Non persi una recita scolastica, né una partita, urlando come una pazza dalla tribuna. Rimasi sveglia fino a tardi per aiutarlo a studiare e gli tenni la mano dopo il primo cuore spezzato.
Non cercai mai di rimpiazzare sua madre. Ma feci tutto perché sapesse di potersi fidare di me.
Quando Marco morì improvvisamente per un ictus, poco prima del sedicesimo compleanno di Davide, il dolore mi travolse. Avevo perso il mio compagno, il mio migliore amico. Ma anche nel buio, sapevo una cosa con certezza:
Io non me ne sarei andata.
Da quel momento, crescii Davide da sola. Senza legami di sangue. Senza obblighi. Solo con amore. E fedeltà.
Lo vidi diventare un uomo straordinario. Ero lì quando ricevette la lettera di ammissione alluniversitàentrò in cucina sventolandola come fosse un biglietto doro. Pagai le tasse discrizione, lo aiutai a fare le valigie e piansi a dirotto quando ci salutammo con un abbraccio davanti alla sua stanza nel dormitorio. Lo vidi laurearsi con lode, le stesse lacrime di orgoglio che mi rigavano il viso.
Perciò, quando mi annunciò che avrebbe sposato una ragazza di nome Beatrice, la gioia mi illuminò. Lui sembrava felicepiù leggero di quanto lo avessi visto da anni.
“Mamma,” mi disse (sì, mi chiamava così), “voglio che tu sia parte di tutto. Nella scelta dellabito, alla cena di prova, in ogni momento.”
Non mi aspettavo di essere al centro dellattenzione. Mi bastava esserci.
Arrivai presto il giorno delle nozze. Non volevo creare problemisolo sostenere il mio ragazzo. Indossai un vestito azzurro, il colore che un giorno aveva detto gli ricordasse casa. Nella borsa tenevo una scatolina di velluto.
Dentro cerano due gemelli da polso, incisi con le parole: “Il bambino che ho cresciuto. Luomo che ammiro.”
Non erano costosi, ma portavano tutto il mio cuore.
Appena entrata nel luogo della cerimonia, vidi i fioristi correre, il quartetto darchi accordare gli strumenti, lorganizzatrice controllare nervosamente la lista.
Poi, lei mi venne incontroBeatrice.
Era bellissima. Elegante. Impeccabile. Labito sembrava creato solo per lei. Mi rivolse un sorriso che non raggiunse gli occhi.
“Ciao,” disse dolcemente. “Che bello che tu sia qui.”
Sorrisi. “Non me lo sarei perso per nulla al mondo.”
Esitò. Il suo sguardo scivolò sulle mie mani, poi tornò al mio viso. Poi aggiunse:
“Ti avviso soloi posti davanti sono riservati alle madri naturali. Spero tu capisca.”
Le parole non le elaborai subito. Pensai fosse una tradizione di famiglia o una questione di posti. Ma poi vidila rigidità del sorriso, leducazione calcolata. Intendeva proprio quello.
Solo madri di sangue.
Sentii la terra mancarmi sotto i piedi.
Lorganizzatrice ci osservòaveva sentito. Una delle damigelle si agitò a disagio. Nessuno parlò.
Deglutii a vuoto. “Certo,” dissi forzando un sorriso. “Capisco.”
Raggiunsi lultima fila. Le ginocchia mi tremavano. Mi sedetti, stringendo la scatolina come se potesse tenermi in piedi.
La musica iniziò. Gli ospiti si voltarono. Il corteo nuziale entrò. Tutti sembravano raggianti.
Poi, Davide apparve nel corridoio.
Era così bellocosì adulto, nel suo completo blu scuro, calmo e sereno. Ma mentre avanzava, i suoi occhi cercarono tra i banchi. A destra, a sinistrapoi mi trovarono, in fondo.
Si fermò.
La sua espressione si increspò di confusione. Poidi comprensione. Guardò davanti, dove la madre di Beatrice sedeva fiera accanto al padre, sorridente con un fazzoletto in mano.
Poi, tornò indietro.
Prima pensai avesse dimenticato qualcosa.
Ma poi lo vidi sussurrare al testimone, che subito venne da me.
“Signora Rossi?” disse piano. “Davide insiste che tu venga avanti.”
“Iocosa?” balbettai, stringendo i gemelli. “No, va bene così, non voglio creare problemi.”
“Lui insiste.”
Mi alzai lentamente, le guance in fiamme. Senti tutti gli occhi su di me mentre avanzavo lungo la navata.
Beatrice si voltò, il volto indecifrabile.
Davide ci raggiunse. La guardò, la voce ferma ma gentile. “Lei siede davanti,” disse. “O non ci sarà matrimonio.”
Beatrice sbatté le palpebre. “MaDavide, credevo avessimo deciso”
Lui la interruppe dolcemente. “Hai detto che i posti davanti sono per madri vere. Ed è vero. Per questo lei deve essere lì.”
Poi si rivolse agli ospiti, la voce che riempiva la cappella: “Questa donna mi ha cresciuto. Mi ha tenuto la mano dopo gli incubi. Mi ha aiutato a diventare luomo che sono oggi. Lei è mia madre, anche se non mi ha dato alla luce.”
Poi mi guardò e aggiunse: “Lei è quella che è rimasta.”
Un silenzio scese, profondo come il mondo.
Poi, qualcuno iniziò ad applaudire. Un mormorio prima, poi più forte. Alcuni si alzarono. Lorganizzatrice si asciugò gli occhi.
Beatrice sembrava sbalordita. Ma non disse nulla. Annuì soltanto.
Afferrai il braccio di Davide, le lacrime che mi annebbiavano la vista. Mi condusse davanti, e mi sedetti accanto alla madre di Beatrice.
Lei non mi guardò. Ma non importava. Io non ero lì per lei.
La cerimonia proseguì. Davide e Beatrice scambiarono le promesse, e quando si baciarono, la sala esplose in applausi. Fu un matrimonio bellissimoromantico, commovente, pieno di gioia.
Più tardi, al banchetto, rimasi ai margini della pista da ballo, ancora stordita. Mi sentivo fuori posto. Tremante. Ma profondamente amata.
In un momento di quiete, Beatrice mi si avvicinò.
Sembrava diversa. Mi guardò negli occhi, e per la prima volta vidi lo stesso amore che provava per Davide. E compresi, infine, che eravamo tutte parte della stessa famiglia.




