Disperata, accettò di sposare il figlio ricco dell’uomo che non poteva camminare… E un mese dopo notò…

**Diario Personale**
Per disperazione, accettò di sposare il figlio di un uomo ricco che non poteva camminare… E un mese dopo si accorse…
“Devi scherzare,” disse Elisabetta, fissando Filippo Romano con gli occhi sgranati.
Lui scosse la testa.
“No, non scherzo. Ma ti darò tempo per riflettere. Lofferta, lo ammetto, non è delle più comuni. Immagino già cosa stai pensando. Valuta tutto, pensaci benetornerò tra una settimana.”
Elisabetta lo guardò andarsene, sconcertata. Le sue parole non riuscivano a trovare posto nella sua mente.
Conosceva Filippo da tre anni. Possedeva una catena di stazioni di servizio e altri affari. Lei lavorava part-time come addetta alle pulizie in una di quelle stazioni. Lui era sempre gentile con il personale, parlando con calore. Insomma, un uomo per bene.
Lo stipendio era decente, quindi non mancavano i candidati per quel lavoro. Due mesi prima, dopo aver finito di pulire, Elisabetta si era seduta fuoriil turno stava per finire e aveva un po di tempo libero.
Allimprovviso la porta si aprì e apparve Filippo.
“Posso sedermi?”
Elisabetta balzò in piedi.
“Certoperché chiedere?”
“Perché ti alzi? Siediti, non mordo. Bella giornata.”
Sorrise e si risedette.
“Sì, in primavera sembra sempre che il tempo sia bello.”
“Perché tutti sono stanchi dellinverno.”
“Forse hai ragione.”
“Volevo chiederti: perché lavori come addetta alle pulizie? Lucia ti aveva proposto di passare a cassiera, no? Stipendio migliore, lavoro più facile.”
“Mi piacerebbe. Ma gli orari non coincidonomia figlia è piccola e si ammala spesso. Quando sta bene, la vicina la guarda. Ma quando peggiora, devo esserci io. Quindi Lucia e ci scambiamo i turni quando serve. Lei mi aiuta sempre.”
“Capisco… Cosa ha la bambina?”
“Oh, non chiedere… I medici non capiscono bene. Ha crisinon respira, si agita, tante cose. Gli esami approfonditi sono tutti privati. Dicono di aspettare, che forse passerà. Ma io non posso solo aspettare…”
“Resisti. Andrà tutto bene.”
Elisabetta lo ringraziò. Quella sera scoprì che Filippo le aveva dato un bonussenza spiegazioni, glielaveva semplicemente consegnato.
Non lo rivide più fino a quel giorno, quando si presentò a casa sua.
Quando lo vide, il cuore le si fermò. E quando sentì la propostapeggio ancora.
Filippo aveva un figlioMatteo, quasi trentanni. Sette di quelli li aveva passati su una sedia a rotelle dopo un incidente. I medici avevano fatto il possibile, ma non si era più ripreso. Depressione, isolamento, rifiuto di parlarepersino con suo padre.
Così Filippo ebbe unidea: far sposare suo figlio. Davvero. Perché avesse di nuovo uno scopo, voglia di vivere, di lottare. Non era sicuro che avrebbe funzionato, ma voleva provare. E a lui sembrava che Elisabetta fosse la persona perfetta.
“Elisabetta, avrai tutto quello che ti serve. Tua figlia avrà tutti gli esami, tutte le cure necessarie. Ti propongo un contratto di un anno. Dopo un anno te ne andraiin ogni caso. Se Matteo miglioreràbenissimo. Altrimentisarai ricompensata.”
Elisabetta non riuscì a dire una parolalindignazione la paralizzò.
Come se leggesse i suoi pensieri, Filippo aggiunse piano:
“Elisabetta, ti prego, aiutami. È un vantaggio per entrambi. Non sono nemmeno sicuro che mio figlio ti toccherà. E per te sarà più facilesarai rispettata, ufficialmente sposata. Immagina di sposarti non per amore, ma per necessità. Ti chiedo solo: non dire niente a nessuno di questa conversazione.”
“Aspetta, Filippo… E Matteoè daccordo?”
Luomo sorrise triste.
“Dice che non gli importa. Gli dirò che ho problemicon gli affari, con la salute… Limportante è che sia sposato. Per davvero. Si è sempre fidato di me. Quindi questa è… una bugia per il bene maggiore.”
Filippo se ne andò, ed Elisabetta rimase a lungo immobile, intorpidita. Dentro di lei ribolliva la rabbia. Ma le sue parole sincere attenuarono un po lassurdità della proposta.
E se ci pensava… Cosa non avrebbe fatto per la piccola Sofia?
Qualsiasi cosa.
E lui? Era un padre anche lui. Amava suo figlio.
Il turno non era nemmeno finito quando il telefono squillò:
“Elisa, vieni subito! Sofia sta avendo una crisi! Forte!”
“Arrivo! Chiama unambulanza!”
Arrivò proprio quando lambulanza raggiungeva il cancello.
“Doveri, mamma?” chiese il medico severo.
“Al lavoro…”
La crisi era davvero grave.
“Forse dovremmo andare in ospedale?” chiese timidamente Elisabetta.
Il medico, che era lì per la prima volta, fece un gesto stanco.
“A che serve? Lì non possono aiutare. Agiterebbero solo la bambina. Dovresti portarla nella capitalein una buona clinica, da veri specialisti.”
Quaranta minuti dopo i medici se ne andarono.
Elisabetta prese il telefono e chiamò Filippo.
“Accetto. Sofia ha avuto unaltra crisi.”
Il giorno dopo partirono.
Filippo in persona venne a prenderleaccompagnato da un giovane rasato.
“Elisabetta, porta solo lessenziale. Comp

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