Oggi ho riflettuto su una cosa che mi ha detto la mia amica Valeria.
“Francesca, hai mai pensato che quando tutto è complicato, le soluzioni più semplici sono spesso le migliori? Quelle che noi donne, forti e indipendenti, evitiamo perché le consideriamo una debolezza.”
“Quali soluzioni semplici?” ho sospirato. “Chiedere aiuto al mio ex marito? Lui o mi ignora o mi fa la predica sulla mia incapacità.”
“Proprio questo intendo. Ma non come fai di solito, con tono da capoufficio che assegna compiti. Per noi, chiedere aiuto, ‘fare la ragazzina indifesa’, sembra umiliante. Non capiamo una cosa fondamentale: gli uomini, invece, ne hanno bisogno.”
Ho sbuffato scettica. Matteo ha bisogno delle mie richieste? Ma certo. Valeria non lo conosce. Se ha bisogno di qualcosa, è solo di essere lasciato in pace. Portava i soldi a casa questo era il suo unico dovere, secondo lui.
***
Ora, a tre anni dal divorzio, vedo tutto con occhi diversi. I problemi erano evidenti fin dall’inizio, ma nessuno voleva ammetterlo.
Ci conoscemmo a una festa tra amici: io, lanima della serata, piena di vita; lui, alto, con un sorriso affascinante, appena promosso. Lui vedeva in me una compagna bella e intelligente; io, in lui, un punto fermo. Il matrimonio fu da favola.
Ma la favola diventò routine e incapacità di affrontare i conflitti.
Io sono cresciuta in una famiglia dove lamore si misurava dai sacrifici. Mia madre, sola dopo la partenza di mio padre, faceva tutto: lavoro, casa, figlia. Il suo mantra era: “Conta solo su te stessa. Gli uomini vanno e vengono, la tua indipendenza è la tua forza.” Ho costruito quella fortezza da adolescente: cucinavo, aggiustavo le prese, sceglievo luniversità. Dentro, però, avevo un desiderio nascosto: trovare qualcuno su cui poter contare. Sognavo un rapporto dove essere fragile senza paura. Cercavo sicurezza, non economica quello lo sapevo fare ma emotiva.
Matteo è cresciuto in una famiglia patriarcale. Suo padre, il capo indiscusso; sua madre, angelo del focolare. I problemi si risolvevano così: lei segnalava, lui pagava o usava le sue conoscenze. Nessuno cercava soluzioni insieme. Matteo imparò un solo modello: luomo porta i soldi, il resto non è affar suo. Nel matrimonio voleva comodità: casa pulita, cena pronta, moglie sorridente.
Non ne parlammo mai. Dalla prima sera, Matteo vide in me la donna forte che non lo avrebbe “caricato” di problemi. Io vidi in lui la roccia sicura. Parlavamo lingue diverse senza saperlo. Discutevamo della luna di miele, dei nomi dei figli, dellarredamento. Ma mai una volta chiedemmo: “Come affronteremo le difficoltà?” o “Come divideremo i compiti?”
Nessuno voleva rovinare lidillio. Io temevo di sembrare debole esprimendo i miei bisogni. Lui dava per scontato che tutto sarebbe stato come a casa sua. Navigavamo verso lo stesso orizzonte, ma vedevamo terre diverse.
Quando nacque Luca, feci come mia madre: lavoro da casa, notti insonni, visite mediche. Matteo esisteva in un mondo paralle






