“Accendere la bambina”
“E non hai mai pensato, Angelica, che quando tutto è difficile, bisogna cercare le soluzioni più semplici? Quelle così semplici che noi donne spesso non riusciamo a considerare, perché le giudichiamo una debolezza?”
“Quali soluzioni semplici?” sospirò Angelica. “Chiedere aiuto allex marito? Lui o mi ignorerebbe, o inizierebbe a farmi la predica sulla mia inadeguatezza.”
“Proprio di ‘chiedere’ parlo. Ma non come fai di solito, con il tono di una capa che assegna un compito a un sottoposto. Per noi, donne forti e indipendenti, le richieste e questo ‘accendere la bambina’ non hanno valore. Lo troviamo umiliante. E non capiamo la cosa più importante: gli uomini, invece, ne hanno davvero bisogno.”
Angelica sbuffò scettica. Matteo aveva bisogno delle sue richieste? Ma certo. La signora Valeria non lo conosceva affatto. Se cera qualcosa di cui aveva bisogno, era che lo lasciassero in pace. Lui portava i soldi a casaassolveva al suo dovere principale e, secondo lui, unico.
***
Ora, tre anni dopo il divorzio, Angelica vedeva il loro rapporto con occhi diversi. Tutte le difficoltà erano state evidenti fin dallinizio, solo che nessuno aveva voluto notarle.
Si erano conosciuti a una festa tra amici: lei, anima della serata, con quel fuoco negli occhi; lui, aitante, con un sorriso affascinante, appena promosso al lavoro. Lui vedeva in lei una compagna bella e intelligente; lei, in lui, un sostegno sicuro. Il matrimonio era stato quello di cui si dice “un sogno che si avvera”.
Ma il sogno si era presto trasformato in routine e nellincapacità di affrontare i conflitti.
Angelica era cresciuta in una famiglia in cui lamore si misurava in cose fatte. Sua madre, sola dopo labbandono del padre, si era caricata di tutto: lavoro, casa, educazione della figlia. Il suo motto era: “Conta solo su te stessa. Gli uomini vanno e vengono, ma la tua indipendenza è la tua fortezza.” Angelica aveva costruito quella fortezza fin da giovane: cucinava da sola, aggiustava le prese elettriche, sceglieva da sola luniversità. Era cresciuta con un desiderio segreto, quasi represso: trovare qualcuno su cui poter finalmente contare. Sognava un rapporto in cui poter essere fragile, senza paura che questo venisse usato contro di lei. La sua aspettativa dal matrimonio era semplice e complessa insieme: sicurezza. Non materialesapeva guadagnarselama emotiva. La possibilità di togliersi, finalmente, larmatura della “ragazza forte”.
Matteo era cresciuto in una famiglia patriarcale classica. Il padre, il capofamiglia, la cui parola era legge. La madre, custode del focolare, ministra perpetua delle faccende domestiche, delle emozioni e delleducazione. I problemi si risolvevano così: la madre segnalava, il padre finanziava o usava le sue conoscenze. Nessuno si sedette mai a un tavolo per cercare soluzioni insieme. Matteo aveva imparato un solo modello: luomo provvede ai soldi e allo status, tutto il resto non è di sua competenza. Nel matrimonio cercava comodità. Voleva una casa pulita, profumata, una moglie bella ad aspettarlo, e i problemi risolti da qualche parte ai margini, senza disturbare la sua pace.
Non ne avevano mai parlato. Fin dal primo incontro, Matteo aveva riconosciuto in Angelica quella ragazza forte e autonoma che non lo avrebbe caricato di piccolezze. Lei, invece, aveva visto in lui quelluomo affidabile che sarebbe stato il suo sostegno. Parlavano lingue diverse, senza saperlo. Discutevano del Paese per la luna di miele, dei nomi dei figli, dello stile dellarredamento. Ma non si erano mai chiesti: “Come affronteremo i problemi quando arriveranno?” e men che meno: “Come divideremo i compiti?”
Nessuno voleva rovinare latmosfera romantica. Angelica aveva paura di sembrare debole ed esigente, esprimendo le sue aspettative più profonde. Matteo dava per scontato che tutto si sarebbe sistemato come nella sua famiglia dorigine. Navigavano luno verso laltra convinti di vedere la stessa riva. Invece, vedevano continenti completamente diversi.
Quando nacque il figlio, Angelica, seguendo lesempio della madre, si caricò di tutto: lavoro da remoto, poppate notturne, visite mediche, corsi per bambini. Matteo esisteva da qualche parte in parallelo. Si immergeva sempre più nel lavoro, e a casa riposavasdraiato sul divano, davanti alla TV. La sua partecipazione alle faccende domestiche si limitava a: “Cosa cè per cena?” e a rari momenti di gioco col figlio, quando questi era felice e pulito.
Alessandro aveva nove mesi quando, per la prima volta, la febbre gli salì a 39. Angelica, nel panico, svegliò il marito alle tre di notte: “Matteo, aiutami, non so cosa fare! Chiamiamo lambulanza?” Lui, senza aprire gli occhi, borbottò: “Sei la madre, arrangiati. Non disturbarmi, domani ho un incontro importante.” Quella notte, Angelica se la sarebbe ricordata spesso: come aveva cullato il figlio da sola, piangendo per limpotenza.
Poi vennero altre cose. Banali, come per molti. Matteo metteva sempre al primo posto i suoi bisogni; Angelica teneva la contabilità delle offese. Una volta, Matteo non andò alla recita dellasilo. Alessandro aveva tre anni e aveva imparato la sua prima poesia. Angelica aveva chiesto al marito di liberarsi la mattina con una settimana di anticipo. “Certo, amore”, aveva risposto. Quella mattina, mentre legava il fiocchetto al collo di Alessandro, squillò il telefono. “Angelica, scusa, chiamata urgente di un cliente. Senza di me non si può fare. Filma col telefono, guarderò dopo.” Quel “dopo” non arrivò mai. Per Matteo era una situazione di lavoro normale. Per Angelica, un altro chiodo nella bara del loro matrimonio.
Quellinverno, Angelica, presa dallinfluenza con 38 di febbre, chiese a Matteo di comprare almeno qualcosa di semplice: latte, pane, medicine. Lui accettò. Tornò a casa alle nove di sera con una bottiglia di whisky costoso e una scatola di cioccolatini per la segretaria, che festeggiava il compleanno. “Mi sono scordato della spesa, scusa. Arrangiati.” Proprio quella sera, guardando il whisky e sentendo il gelo della febbre, Angelica capì: non era solo stanca, stava morendo lentamente in un vuoto emotivo.
Angelica lasciò il marito allimprovviso. Con una calma glaciale, sotto cui si nascondeva una stanchezza accumulata in anni. Mentre Matteo era in viaggio di lavoro, fece le valigie e se ne andò. Un messaggio breve: “Basta. Sono stanca di fare tutto da sola. Io e Alessandro vivremo separati.”
Per Matteo fu un colpo basso. Non capiva il perché. Lui manteneva la famiglia! Che altro le serviva? Il suo risentimento e la sua incomprensione erano grandi quanto la sua stanchezza.
***
Allinizio, Angelica andò a vivere dalla madre. Poi trovò un secondo lavoro e affittò un minuscolo appartamento. Si iscrisse in palestra per sfogare lo stress. Piano piano, la vita si sistemò, tornò a sentirsi viva. Ma cera un problema che né la forza di volontà né i nuovi interessi risolvevano: la cronica mancanza di soldi. Mantenere un figlio, anche con gli alimenti, costava caro.
Una volta, sorseggiando un caffè con una collega





