Galina Rossini afferrò la busta con tale veemenza che tutti trasalirono e i cucchiai tintinnarono nei piatti. Le sue unghie, dipinte di un rosso acceso, quasi perforarono la carta. Ma il notaio le posò con fermezza una mano sulla sua.

Galina Petrelli afferrò la busta con tale violenza che tutti trasalirono e i cucchiai tintinnarono nei piatti. Le sue unghie, laccate di rosso acceso, sembravano graffiare la carta. Ma il notaio le posò con fermezza una mano sulla sua.

Mi dispiace, signora disse con freddezza. Questo non le appartiene.

Il salone cadde in un silenzio improvviso. Si udiva solo il ticchettio dellorologio a muro e, da fuori, le voci allegre dei bambini. Orazio si rannicchiò sulla sedia, come se volesse rendersi invisibile; la sua nuova moglie lo guardava con curiosità tesa, senza cogliere la gravità del momento.

Io rimasi immobile. Dieci anni prima avrei tremato, avrei supplicato per evitare lumiliazione. Ora sapevo: non avevano più alcun potere su di me.

Il notaio aprì la busta ed estrasse alcuni fogli. Sul primo cera la firma di mio suocero, Vittorio De Luca. La voce del notaio tagliò laria:

Il testamento fu redatto tre mesi prima della sua morte. Lunica erede Marina Valenti.

I parenti mormorarono. Le zie si scambiarono sguardi, gli zii tossicchiarono, un bambino rise senza capire.

È impossibile! gridò Galina Petrelli. È una menzogna! Lui non avrebbe mai fatto una cosa simile!

Tutto è scritto con chiarezza continuò il notaio. «Lascio tutti i miei beni, compresa la casa e il terreno, alla moglie di mio figlio, che non lasciò la famiglia di sua spontanea volontà, ma che ne fu cacciata.» Vi ha persino allegato una motivazione.

Orazio emise un gemito. La sua nuova moglie si allontanò da lui con disgusto, come se fosse un estraneo.

Respirai a fondo. Sapevo già di quel testamento, ma ascoltarlo in pubblico era unaltra cosa.

Dunque era questo sibilò mia suocera. Ti ha sempre compatita! E ora vuoi portarci via la casa?

Mi alzai in piedi. La mia voce era calma, ma dura come lacciaio:

Non vi porto via nulla. Voi mi avete rubato dieci anni, quando mi cacciaste. Ma vostro marito ha visto tutto. E ha deciso diversamente.

Non osare! urlò lei. Tu non sei nessuno!

Ora sono la proprietaria di questa casa risposi con fermezza.

Un nuovo silenzio scese sulla stanza. Tutti gli sguardi erano puntati su di me.

Però ripresi dopo una breve pausa, non vi caccerò. Ho la mia casa, ho la mia attività. Voglio solo una cosa: giustizia.

Orazio sollevò la testa, sbigottito:

Allora possiamo restare?

Potete restare annuii. Ma la casa, legalmente, è mia. Significa che non avete più il potere di umiliarmi.

Galina Petrelli sembrò affranta. La sua voce si fece appena un sussurro:

Vuoi rovinarci

La guardai dritta negli occhi:

No. Voglio che tu provi cosa si sente a dipendere dalla benevolenza di qualcun altro.

Il notaio richiuse il fascicolo e si alzò.

Tutti i documenti sono in regola. Da oggi, la proprietaria legale è Marina Valenti.

Feci un breve cenno con il capo e uscii sulla veranda. Fuori laria era fresca, il sole tramontava dietro il vecchio pero. Camminai leggera verso il cancello, come se stessi fluttuando.

Rex, il cane, era morto da tempo, ma mi sembrò quasi di sentire ancora il suo debole guaito, come quando mi accompagnava un tempo. Solo che ora non seguiva una donna cacciata via, ma una vincitrice.

Sorrisi e proseguii. Perché nessuno poteva più dire che non ero «nessuno». Ero io stessa. E bastava per riprendermi la dignità e la vita.

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Galina Rossini afferrò la busta con tale veemenza che tutti trasalirono e i cucchiai tintinnarono nei piatti. Le sue unghie, dipinte di un rosso acceso, quasi perforarono la carta. Ma il notaio le posò con fermezza una mano sulla sua.