**Diario Personale: La Stagione della Fiducia**
Allinizio di maggio, quando lerba era già rigogliosa e la rugiada bagnava ancora i vetri della veranda al mattino, io e Luca abbiamo iniziato a pensare seriamente: perché non affittare la casa al mare da soli, senza intermediari? Lidea è maturata per settimanegli amici raccontavano storie di commissioni elevate, sui forum si leggevano recensioni negative sugli agenti immobiliari. Ma soprattutto, volevamo decidere noi a chi affidare la casa dove avevamo passato quindici estati.
“Una casa al mare non è solo metri quadrati,” disse Luca, potando i rami secchi dei lamponi e lanciandomi unocchiata. “Vogliamo che la trattino con rispetto, non come un hotel.”
Io annuii, asciugandomi le mani su un asciugamano mentre stavo sulla porta. Quellanno saremmo rimasti in città più a lungola nostra figlia aveva un periodo importante a scuola, e dovevo aiutarla. La casa sarebbe rimasta vuota per quasi tutta lestate, e le spese sarebbero continuate. La soluzione sembrava ovvia.
Quella sera, dopo cena, facemmo il giro della casauna routine familiare, ma ora con occhi nuovi: cosa sistemare, cosa mettere via per evitare tentazioni. Libri e foto di famiglia finirono in scatole riposte in soffitta, la biancheria fresca fu lasciata piegata in pile ordinate. In cucina, selezionai solo le stoviglie necessarie.
“Facciamo un inventario,” propose Luca, prendendo il telefono. Scattammo foto di ogni stanza, dei mobili da giardino, persino della vecchia bicicletta accanto al capannoper sicurezza. Io annotai i dettagli: quante pentole, quali coperte sui letti, dove erano le chiavi di riserva.
Qualche giorno dopo, mentre la prima pioggia di maggio formava pozzanghere nel cortile, pubblicammo lannuncio online. Le foto erano luminose: attraverso le finestre si vedevano i pomodori crescere nella serra, e i denti di leone fioriti lungo il sentiero.
Lattesa delle prime risposte era tesa, ma anche emozionantecome prima dellarrivo degli ospiti, quando tutto è pronto ma non si sa chi entrerà. Le chiamate arrivarono subito: chi chiedeva del Wi-Fi e della TV, chi se poteva portare cani o bambini. Rispondevo con onestà, sapendo quanto contano i dettagli quando si cerca una casa.
I primi inquilini arrivarono a fine maggio. Una coppia giovane con un bambino di sette anni e un cane di taglia mediaassicurarono al telefono che lanimale era “tranquillissimo”. Firmammo un contratto semplice, con dati anagrafici e condizioni di pagamento. Ero un po nervosa: non era registrato, ma per una stagione ci sembrava sufficiente.
I primi giorni furono tranquilli. Andavo una volta a settimana a controllare lorto e innaffiare i pomodoriportando anche asciugamani freschi o pane dal paese. Gli inquilini erano gentili: il bambino mi salutava dalla finestra, il cane mi aspettava al cancello.
Ma dopo tre settimane iniziarono i ritardi nei pagamenti. Prima scuse per dimenticanze o errori bancari, poi problemi improvvisi.
“Ecco, proprio quello che ci serviva,” borbottò Luca quella sera, sfogliando i messaggi sul telefono. Il sole tramontava dietro i meli, lasciando strisce dorate sul pavimento.
Provai a essere comprensiva: ricordavo con delicatezza, proponevo di pagare una parte più tardi. Ma la tensione crescevadopo ogni conversazione mi sentivo a disagio e stranamente stanca.
A metà giugno era chiaro: se ne sarebbero andati prima del previsto, lasciando parte del pagamento incompleto. Quando partirono, la casa odorava di sigarette sul portico (nonostante avessimo chiesto di non fumare dentro), cera spazzatura sotto la veranda e macchie di vernice sul tavolo della cucina.
“Ecco il cane ‘tranquillissimo’,” disse Luca, guardando i graffi sulla porta della dispensa.
Passammo la giornata a pulire: raccogliemmo i rifiuti, lavammo i fornelli, portammo gli asciugamani sporchi in lavanderia. Le fragole erano mature; ne raccolsi una manciata, dolci e ancora tiepide dopo la pioggia.
Dopo quellepisodio, discutemmo a lungo: valeva la pena continuare? Forse era meglio rivolgerci a unagenzia? Ma lidea che qualcun altro gestisse la nostra casa o prendesse una percentuale solo per consegnare le chiavi ci sembrava sbagliata.
A metà estate riprovammo, questa volta più cauti: scegliemmo con attenzione gli inquilini, chiedemmo un anticipo di un mese e spiegammo meglio le regole.
Ma la nuova esperienza non fu migliore: una famiglia di due adulti e un adolescente arrivò di sabato sera e subito invitò ospiti “per un paio di giorni”. In realtà, le feste rumorose durarono quasi una settimana: la sera ridevano forte in giardino e facevano grigliate fino a tardi.
Telefonai più volte, chiedendo silenzio dopo le undici; Luca andò a controllare e trovò bottiglie vuote sotto i cespugli di lillà.
Quando se ne andarono, la casa sembrava stanca: il divano era macchiato di succo o vino (impossibile capire), i sacchi della spazzatura erano rimasti accanto al capanno, e sotto il melo cerano mozziconi.
“Quanto ancora dobbiamo sopportare?” borbottò Luca, raccogliendo i resti della grigliata.
Mi sentivo delusa: era ingiusto che la gente trattasse così una casa che non era la loro.
“Forse è colpa nostra. Avremmo dovuto essere più severi sulle regole”
Ad agosto arrivò unaltra richiesta: una coppia senza figli voleva affittare per una settimana. Dopo le esperienze precedenti, fui molto attenta: spiegai tutte le condizioni al telefono, insistetti per foto dello stato della casa allarrivo e chiesi una caparra.
Accettarono senza obiezioni; ci incontrammo al cancello in un pomeriggio afosolaria tremolava sul sentiero, e dalle finestre aperte si sentiva il ronzio degli insetti.
Ma alla fine scoprimmo che avevano rovinato il microonde (riscaldando dellalluminio) e si rifiutarono di pagare.
“Non abbiamo rotto quasi nulla! È stato un incidente!” cercò di giustificarsi la donna.
Per la prima volta quellestate, sentii la rabbia, ma trattenni le parole.
“Risolviamo con calma. Capiamo che può succedere. Troviamo un accordo per la riparazione senza litigare.”
Dopo una breve discussione, trovammo un compromesso: tennero parte della caparra e se ne andarono senza scenate.
Quando il cancello si chiuse e in giardino rimasero solo il caldo e il ronzio dei bombi, provammo un strano sollievo misto a stanchezza.
Avevamo capito: non poteva continuare così.
Quella sera, mentre il caldo persisteva e le ombre del melo si allungavano sul cortile, ci sedemmo in veranda con un taccuino. Lodore di erba e melele annurche già matureriempiva laria. Sfogliai le foto dellultima consegna e segnai con una crocetta tutto ciò che andava sistemato.
“Dobbiamo fare una lista dettagliata,” dissi, senza alzare lo sguardo. “Così tutti sanno cosa fare. Punti chiari: stoviglie, elettrodomestici, biancheria, spazzatura.”
Luca annuì. Era stanco di queste discussioni, ma sapeva che altrimenti sarebbe stato sempre lo stesso. Scrivemmo che le foto si facevano






