Famiglia Temporanea: Un Legame Che Unisce per un Momento

La famiglia temporanea

La borsa con le cose era pronta vicino alla porta, chiusa come lultimo tocco prima della partenza. Lucia si aggiustava nervosamente la cintura, lanciando sguardi rapidi alla sorella e al figlio. Nellingresso cera unaria umida: fuori piovigginava e il netturbino spingeva pesanti foglie verso il bordo della strada. Lucia non voleva andarsene, ma spiegarlo a Enrico, di dieci anni, era inutile. Lui stava in silenzio, ostinato, gli occhi fissi sul pavimento. Maria cercava di mostrarsi allegra, anche se dentro le si stringeva tuttoora Enrico avrebbe vissuto con lei.

“Tutto andrà bene,” disse, sforzandosi di sorridere. “La mamma tornerà presto. Intanto ce la caveremo noi due.”

Lucia abbracciò il figlio forte e veloce, come se avesse fretta di andare per non cambiare idea. Poi annuì alla sorella: tu capisci. Un minuto dopo, la porta si chiuse dietro di lei, lasciando nellappartamento un silenzio pesante. Enrico rimase immobile vicino alla parete, stringendo il suo vecchio zaino. Maria improvvisamente si sentì a disagio: il nipote era a casa sua, le sue cose sulla sedia, le sue scarpe accanto ai suoi stivali. Non avevano mai vissuto insieme più di un paio di giorni.

“Vieni in cucina. Il bollitore è già pronto,” disse.

Enrico la seguì senza dire una parola. In cucina faceva caldo: sul tavolo cerano tazze e un piatto con del pane. Maria versò il tè per entrambi, cercando di parlare del tempo, della pioggia, della necessità di comprare nuovi stivali di gomma. Il bambino rispondeva a monosillabi, lo sguardo perso da qualche parteforse verso la finestra appannata dalla pioggia, forse dentro sé stesso.

Quella sera sistemarono insieme le sue cose. Enrico mise con ordine le magliette nel cassetto e accatastò i quaderni vicino ai libri. Maria notò che evitava di toccare i vecchi giocattoli della sua infanzia, come se temesse di turbare lordine di una casa che non era la sua. Decise di non forzarlo a parlare.

I primi giorni furono faticosi. La preparazione per la scuola al mattino era silenziosa: Maria gli ricordava di fare colazione e controllava lo zaino. Enrico mangiava lentamente, quasi senza alzare lo sguardo. La sera faceva i compiti vicino alla finestra o leggeva un libro preso dalla biblioteca della scuola. Accendevano raramente la televisioneil rumore dava fastidio a entrambi.

Maria capiva che per il bambino era difficile abituarsi alla nuova routine e a una casa che non era la sua. Anche lei pensava che tutto sembrasse provvisoriopersino le tazze sul tavolo sembravano aspettare qualcuno. Ma non cera tempo da perdere: tra due giorni avrebbe dovuto formalizzare laffidamento.

Allufficio della pubblica amministrazione lodore di carta e vestiti bagnati riempiva laria. La fila serpeggiava lungo le pareti coperte di avvisi su sussidi e agevolazioni. Maria teneva sotto il braccio una cartella con i documenti: la richiesta di Lucia, la sua dichiarazione di disponibilità, le copie dei documenti didentità e il certificato di nascita di Enrico. Limpiegata dietro il vetro parlò con tono secco:

“Ci serve anche un certificato di residenza del bambino e il consenso dellaltro genitore”

“Non cè da anni. Ho portato la copia dellatto di nascita.”

“Comunque serve un documento ufficiale”

Sfogliava le carte lentamente; ogni osservazione suonava come un rimprovero. Maria sentiva che dietro le formalità si nascondeva diffidenza. Spiegò di nuovo la situazione: il lavoro a turni della sorella, la distanza, mostrò il foglio con gli orari. Alla fine accettarono la richiesta, ma avvertirono: la decisione non sarebbe arrivata prima di una settimana.

A casa, Maria cercava di non mostrare la stanchezza. Accompagnò Enrico a scuola di personaper parlare con la maestra della sua situazione. Nel corridoio, i bambini si spingevano vicino agli armadietti. Linsegnante li accolse con sospetto:

“Lei ora è responsabile per lui? Può mostrare i documenti?”

Maria le passò i fogli. La donna li esaminò a lungo:

“Devo informare la direzione E poi: per qualsiasi problema dovremo rivolgerci a lei?”

“Sì. Sua madre lavora a turni. Ho chiesto laffidamento temporaneo.”

La maestra annuì senza particolare comprensione:

“Limportante è che non salti le lezioni”

Enrico ascoltava la conversazione con unespressione tesa, poi se ne andò in classe senza salutare. Maria notò che a casa diventava sempre più silenzioso, a volte la sera restava a lungo alla finestra. Cercava di farlo parlaregli chiedeva degli amici o dei compiti. Le risposte erano brevi; dietro di esse si sentiva la fatica.

Qualche giorno dopo, arrivò una chiamata dai servizi sociali:

“Verificheremo le condizioni di vita del bambino.”

Maria pulì la casa a fondo; quella sera lei e Enrico spolverarono insieme e riordinarono. Gli propose di scegliere un posto per i suoi libri.

“Tanto poi li riprendo” borbottò lui.

“Non è detto. Puoi sistemarli come vuoi.”

Scrollò le spalle, ma li spostò da solo.

Il giorno stabilito arrivò una donna del servizio sociale. Nel corridoio, il suo telefono squillò; rispose brusca:

“Sì, sì, ora controllo”

Maria la accompagnò nelle stanze. La donna fece domande sulla routine quotidiana, la scuola, lalimentazione. Poi chiese direttamente a Enrico:

“Ti piace stare qui?”

Il bambino strinse le spalle, lo sguardo ostinato.

“Gli manca sua madre Ma cerchiamo di mantenere un ritmo. Fa i compiti in tempo, esce dopo la scuola.”

La donna sbuffò:

“Non ci sono lamentele?”

“No,” rispose Maria con fermezza. “Se ci saranno problemi, può chiamarmi direttamente.”

Quella sera Enrico chiese:

“E se la mamma non potesse tornare?”

Maria si bloccò, poi si sedette accanto a lui:

“Ce la faremo. Te lo prometto.”

Rimase in silenzio a lungo, poi annuì appena. Quella sera, per la prima volta, propose di aiutarla a tagliare il pane per cena.

Il giorno dopo, a scuola ci fu un litigio. La maestra chiamò Maria dopo le lezioni:

“Suo nipote ha avuto una lite con un bambino di unaltra classe Non siamo sicuri che lei riesca a gestire la situazione.”

La voce era fredda; dietro si sentiva diffidenza verso una donna estranea con diritti temporanei. Maria sentì la rabbia salire:

“Se ci sono problemi con il comportamento di Enrico, ne parli direttamente con me. Sono responsabile per lui legalmente; ha visto i documenti. E se serve un sostegno psicologico o lezioni extra, sono pronta a fare la mia parte. Ma la prego di non trarre conclusioni affrettate sulla nostra famiglia.”

La maestra la guardò sorpresa, poi annuì brevemente:

“Va bene Vedremo come si adatterà.”

Sulla strada di casa, Maria camminava accanto a Enrico; il vento tirava il cappuccio della sua giacca. Sentiva la stanchezza, ma ora non aveva più dubbi: non cera modo di tornare indietro.

Quella sera, tornati a casa dopo lincontro a scuola, Maria accese il bollitore e prese silenziosamente il pane dalla credenza. Enrico, senza bisogno

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