*10 ottobre 2023*
Appena entrata in casa, Beatrice notò subito le scarpe della suocera in mezzo allingresso. Capì che la serata di riposo era andata.
Lucrezia uscì dalla cucina con laria di un giudice pronto a condannare.
«Sei stata di nuovo da quella vecchia rimbambita?» domandò. «E la casa, tuo marito, i bambini tutto può aspettare. Meno male che sono passata, altrimenti sarebbero rimasti a digiuno.»
«Lucrezia, Giovanni sapeva che oggi sarei tornata tardi. Ho preparato la cena, doveva solo riscaldarla. Sarebbe riuscito benissimo senza il tuo aiuto,» rispose Beatrice.
Dopo dieci anni di matrimonio, Beatrice era ormai abituata al carattere scontento della suocera e quasi non reagiva più alle sue parole, come se fossero una radio accesa dal mattino alla sera.
Allinizio, però, era stato difficile. Lucrezia era la sua seconda suocera. La prima, Adelaide, era stata una donna discreta. Mai si era intromessa nella vita del figlio, mai aveva dato consigli non richiesti.
Ma quando cera bisogno, era sempre lì. Beatrice ricordava le notti in cui Adelaide vegliava la piccola Sofia di tre mesi quando la bambina confondeva il giorno con la notte, o quando veniva a prenderla per una passeggiata, dicendole:
«Tu non fare niente, riposati. Quando torna Giovanni, preparerà lui la cena.»
Quando Sofia compì cinque anni, un incidente in fabbrica portò via il marito di Beatrice, lasciandola vedova.
Adelaide, che aveva perso lunico figlio, in quel momento difficile non abbandonò nuora e nipote. Per i primi tre mesi vissero insieme, sostenendosi a vicenda.
Beatrice le propose di continuare così, ma Adelaide si trasferì nel suo appartamento:
«Beatrice, hai solo ventotto anni. Sei giovane, troverai ancora la felicità. E io non voglio intralciarti.»
Tre anni dopo, Beatrice sposò Giovanni. Ma non abbandonò Adelaide. I suoi genitori vivevano lontani, così la prima suocera diventò quasi una madre per lei, e per Sofia, una nonna adorata.
Per questo il comportamento di Lucrezia, che si permetteva di fare la padrona in casa sua, la sconvolgeva.
Dopo la prima visita, chiese a Giovanni di spiegare a sua madre che era solo unospite, e che doveva concordare le visite e comportarsi di conseguenza.
Alle parole di Lucrezia, che diceva di voler solo aiutare, Beatrice rispose:
«Non ho più diciotto anni. Anche allora, quando lasciai i miei genitori per studiare, ero già indipendente.»
«E dopo sette anni di matrimonio, non ho bisogno che mi insegni a cucinare o a pulire. Potrei insegnare io a voi.»
«Se venissi a casa vostra con uno straccio bianco, vi farei una bella revisione.»
Per fortuna, Giovanni la sostenne sempre, e quando la madre «sconfinava», ci pensava lui.
Col tempo, Lucrezia imparò a non intromettersi. Quando, un anno dopo il secondo matrimonio, Beatrice ebbe un figlio, la suocera trattenne i suoi consigli. Ma quanto le sarebbe piaciuto darne!
Il fatto è che Lucrezia aveva unamica che le raccontava sempre come «educava» la moglie del figlio minore.
Le sarebbe piaciuto fare lo stesso, ma non aveva nulla di cui vantarsi. Lunica cosa che poteva lamentarsi era che Beatrice continuava a visitare Adelaide e ad aiutarla.
«Che almeno fosse una parente stretta! Quando Sofia era piccola, Beatrice la mandava dalla nonna destate, e a me andava bene.»
«Ma ora la bambina studia lontano, e Beatrice va da lei due o tre volte a settimana. Sono passati anni!» diceva allamica.
Negli ultimi mesi, Beatrice era andata più spesso da Adelaide. Lucrezia la chiamava «vecchia», anche se era solo sette anni più anziana.
Ma il dolore invecchia, e la malattia non abbellisce. Adelaide era molto debole, e Beatrice la visitava in ospedale o a casa.
«Spendi i soldi di famiglia per unestranea,» la rimproverava Lucrezia.
«Non preoccuparti, Lucrezia. Adelaide, quando si è ammalata, ha venduto la casa al mare. Ha i soldi per curarsi e non chiederà prestiti a te.»
Quando Adelaide peggiorò, Beatrice assunse una badante e prese un permesso per starle accanto mezza giornata, mentre Giovanni era al lavoro e il figlio a scuola.
Ma nemmeno questo bastò. Dopo un po, Adelaide se ne andò.
Fu allora che Lucrezia mostrò un grande interesse per leredità.
«Ha venduto la casa al mare, ma non avrà speso tutto in un anno. E la pensione era buona deve aver lasciato qualcosa.»
«E poi cè lappartamento di due stanze, che andrà agli eredi,» pensava Lucrezia, ma non osava chiedere direttamente.
Lo chiese invece al figlio, e la risposta non la rallegrò.
«A chi sarà il testamento? Certo, a Sofia, è sua nipote.»
«E Beatrice? Ha sprecato tempo con quella vecchia per niente?» esclamò. «Che disdetta! Immagino come piangerà ora!»
«Non preoccuparti per me,» disse Beatrice. «Sapevo che Adelaide avrebbe lasciato tutto a Sofia. Lho accompagnata dal notaio un anno fa.»
«E perché le hai fatto da schiava, sapendo che non ci guadagnavi nulla?» chiese Lucrezia. «Poteva pensarci Sofia.»
«Glielo spiegherei, ma temo che non capirebbe.»
Leredità fu regolarizzata, e Sofia ricevette i documenti dellappartamento e del conto.
Decisero che, finché studiava e viveva in un dormitorio, lappartamento sarebbe stato affittato, e i soldi versati sul suo conto.
Poi, una volta laureata, avrebbe deciso se tornare in città o restare altrove. In quel caso, avrebbe venduto lappartamento per comprarne uno nuovo.
Quando seppe dellaffitto, Lucrezia propose:
«Perché far entrare estranei? Potrebbero rovinare tutto. Lascia che ci viva Claudia.»
Claudia, trentacinquenne, era la figlia minore di Lucrezia e viveva ancora con lei. Era carina, con un buon lavoro e una laurea. Aveva storie occasionali, ma il matrimonio non arrivava.
Lucrezia, ovviamente, si preoccupava.
«Perché Claudia non trova fortuna? Beatrice, vedova e con un figlio, è riuscita a prendersi mio Giovanni!»
Pensava che, se Claudia avesse avuto un appartamento, si sarebbe sposata.
«Be, per ora è di Sofia,» ragionava. «In tre o quattro anni può succedere di tutto magari Sofia trova un uomo con casa, e allora potremo convincerla a regalarlo a Claudia.» Ma per il momento tenne il piano segreto.
La sua delusione fu grande quando Sofia rifiutò di far vivere Claudia nel suo appartamento.
«Non pagherebbe come gli altri inquilini,» disse Sofia. «E io voglio chiedere un mutuo in futuro. Magari mi trasferirò a Roma dopo la laurea. Ho bisogno dei soldi.»
«Che avara che è tua figlia! Proprio come te,» sbottò Lucrezia. «Pensate solo a voi stesse. Claudia forse si sarebbe sposata se avesse avuto una casa.»
«Mamma, tu hai un trilocale. Vendilo, comprane uno più piccolo e dai il resto a Claudia,» suggerì Giovanni.
«Che idea!» si indignò Lucrezia. «Quel trilocale è mio, non avete diritti. E poi, ci ho vissuto tutta la vita, non mi trasferisco ora.»
«Non è Giovanni a essere strano, ma lei,» intervenne Beatrice. «Non vuole sacrificare la sua casa per la figlia, ma pretende quella degli altri.»
Così Claudia






