“No, mamma. Non verrai più a trovarci. Non oggi, non domani e nemmeno lanno prossimo” una storia sulla pazienza finita per sempre.
Ho riflettuto a lungo su come iniziare questo racconto, ma nella mia mente tornavano sempre due parole: sfrontatezza e silenzioso consenso. La prima della suocera, il secondo del marito. E in mezzo io. Una donna che cercava di essere buona, discreta e gentile. Finché un giorno ho capito che, se avessi continuato a tacere, della “nostra” casa sarebbe rimasto solo un guscio vuoto.
Non riuscivo a comprendere come qualcuno potesse entrare in una casa che non era la sua e prendersi ciò che non gli apparteneva, come se tutto fosse suo diritto. Mia suocera agiva proprio così. E tutto per sua figlia. La sorella di mio marito.
Ogni sua visita si concludeva con la scomparsa di carne dal congelatore, di una pentola di polpette dai fornelli o persino del mio nuovo ferro per capelli. Non lavevo nemmeno usato lei lo ha preso e portato via. Perché, come poi ha spiegato, “i capelli di Carlotta sono così ricci, e tu tanto resti sempre a casa”.
Ho sopportato. Fino allultima goccia, poco prima del nostro quinto anniversario di matrimonio. Volevamo festeggiare in modo speciale al ristorante, come ai vecchi tempi. Avevo già scelto il vestito, ma mancavano le scarpe giuste. Così le ho comprate. Belle, costose, quelle che sognavo dallestate scorsa. Le ho lasciate nella scatola in camera da letto, pronte per il giorno della festa.
Ma tutto è andato storto.
Quel giorno ho dovuto lavorare più a lungo e ho chiesto a mio marito di prendere nostra figlia allasilo. Lui ha accettato. Poi, però, ha avuto un impegno e ha chiamato sua madre. Le ha dato le chiavi di casa così poteva prendere Sofia e aspettare da noi.
Quando sono tornata, sono andata subito in camera e mi sono bloccata. La scatola delle scarpe non cera più.
“Luca, dove sono le mie scarpe nuove?”, ho chiesto, già intuendo la risposta.
“E io che ne so?”, ha scrollato le spalle.
“È venuta tua madre?”
“Sì, è passata a prendere Sofia ed è rimasta un po qui.”
“E le chiavi?” Cercavo di mantenere la calma.
“Gliele ho date io. Che altro potevo fare?”
Ho preso il telefono e lho chiamata. Ha risposto subito.
“Buonasera”, ho iniziato con fermezza. “Sono certa che sa perché la chiamo.”
“No, non lo so”, ha risposto senza un briciolo di vergogna.
“Dove sono le mie scarpe nuove?”
“Le ho date a Carlottina. Tanto tu hai già troppe scarpe. E lei non aveva niente per il ballo di fine anno.”
Dopo queste parole, ha semplicemente riattaccato. Senza rimorsi. Senza scuse. Solo clic.
Mio marito, come sempre, ha detto: “Ti compriamo altre scarpe, non ti arrabbiare. È solo mamma.”
Mi sono alzata, lho preso per il braccio e siamo andati al centro commerciale. Lì, davanti alla vetrina, ho indicato proprio quel paio che guardavo da mesi solo online scarpe il cui prezzo gli ha quasi fatto venire un infarto.
“Giulia, è metà del mio stipendio!”, ha esclamato vedendo letichetta.
“Hai detto che ne compriamo un altro paio. E allora compriamole”, ho risposto con calma.
Le ha comprate. Ha pagato, in un certo senso, il prezzo del suo silenzio.
Ma la storia non finisce qui. Mentre tornavamo a casa, ha ricevuto un messaggio da sua madre:
“Passo oggi da voi. Ho delle buste con verdure, nel congelatore non ho più spazio. Le lascio da voi, le prendo tra un paio di mesi.”
Lho visto fissare lo schermo, stringere le labbra. Poi, per la prima volta in assoluto, ha composto il suo numero e ha detto con fermezza:
“Mamma, non verrai più da noi. Non oggi, non domani, non tra un anno. Perché il tuo ultimo favore ci è costato troppo.”
Ha riattaccato. E quando lho guardato, ho sentito per la prima volta dopo tanto tempo che eravamo davvero una famiglia. Una famiglia le cui porte non erano aperte ai ladri, ma solo a chi meritava rispetto.




