I rimproveri di mia madre per la mia mancanza di aiuto verso mio fratello malato mi spinsero a fuggire dopo la scuola.
Mamma mi accusava di non starle accanto mentre si occupava di mio fratello, ma quel pomeriggio, presi le mie cose e scappai.
Alessandra sedeva su una panchina nel parco di Firenze, osservando le foglie cadere e danzare nel vento freddo dellautunno. Il suo telefono vibrò di nuovoun altro messaggio di sua madre, Lucia: «Ci hai abbandonato, Alessandra! Matteo sta sempre peggio, e tu vivi la tua vita come se niente fosse!» Ogni parola era una coltellata, ma Alessandra non rispondeva. Non poteva. Nel suo cuore si mescolavano colpa, rabbia e dolore, che la trascinavano verso quella casa che aveva lasciato cinque anni prima. A diciotto anni, aveva fatto una scelta che aveva diviso la sua vita in un “prima” e un “dopo”. E ora, a ventitré, si chiedeva ancora se aveva avuto ragione.
Alessandra era cresciuta allombra di suo fratello minore, Matteo. Aveva tre anni quando i medici gli diagnosticarono una forma grave di epilessia. Da quel momento, la loro casa divenne una stanza dospedale. La madre, Lucia, si dedicò completamente a lui: medicine, dottori, esami senza fine. Il padre, invece, aveva fatto le valigie, incapace di sopportare il peso, lasciando Lucia sola con due figli. Alessandra, che allora aveva sette anni, diventò invisibile. La sua infanzia svanì tra le cure costanti per Matteo. «Alessandra, aiutami con tuo fratello», «Alessandra, fai meno rumore, non devi agitarlo», «Alessandra, aspetta un attimo, ora non è il momento». Aveva pazientato, ma ogni anno sentiva i suoi sogni allontanarsi sempre di più.
Da adolescente, Alessandra imparò a essere “pratica”. Cucinava, puliva, badava a Matteo mentre sua madre correva da un ospedale allaltro. Le amiche del liceo la invitavano a uscire, ma rifiutavaa casa avevano sempre bisogno di lei. Lucia la lodava: «Sei la mia roccia, Alessandra», ma quelle parole non la riscaldavano. Alessandra vedeva lo sguardo che sua madre riservava a Matteopieno damore, misto a disperazionee capiva che non avrebbe mai ricevuto lo stesso. Non era una figlia, ma unassistente, il cui compito era alleviare il peso della famiglia. In fondo, amava suo fratello, ma quellamore era macchiato da stanchezza e risentimento.
Allultimo anno di liceo, Alessandra si sentiva unombra. I compagni parlavano di università, di feste, di progetti per il futuro, mentre lei poteva pensare solo alle spese mediche e alle lacrime di sua madre. Un giorno, tornando da scuola, trovò Lucia in preda alla disperazione: «Matteo ha bisogno di una nuova cura, e non abbiamo i soldi! Devi aiutarci, Alessandra, trovati un lavoro dopo la maturità!» In quel momento, qualcosa in lei si spezzò. Guardò sua madre, suo fratello, quelle mura che la soffocavano da sempre, e capì: se fosse rimasta, sarebbe scomparsa per sempre. Ne soffriva, ma non poteva più essere quella che tutti si aspettavano.
Dopo la maturità, Alessandra riempì lo zaino. Lasciò un biglietto: «Mamma, ti voglio bene, ma devo andare. Perdonami.» Con cinquecento euro, messi da parte con lavoretti occasionali, comprò un biglietto per Roma. Quella sera, seduta sul treno, pianse, sentendosi una traditrice. Ma nel petto batteva anche qualcosa di nuovola speranza. Voleva vivere, studiare, respirare, senza dover pensare ai corridoi degli ospedali. A Roma, affittò un letto in una residenza universitaria, diventò cameriera, si iscrisse ai corsi serali. Per la prima volta, si sentì una persona, non un ingranaggio.
Lucia non le perdonò. I primi mesi, chiamava, urlava, supplicava: «Sei egoista! Matteo soffre senza di te!» La sua voce squarciava Alessandra come una lama. Mandava soldi quando poteva, ma non sarebbe tornata. Con il tempo, le chiamate si fecero più rare, ma ogni messaggio traboccava di rimproveri. Alessandra sapeva che Matteo stava male, che sua madre era esausta, ma non poteva più sopportare quel peso. Voleva amare suo fratello da sorella, non da infermiera. Eppure, ogni volta che leggeva le parole di sua madre, si chiedeva: «Se fossi rimasta, chi sarei diventata?»
Oggi, Alessandra vive la sua vita. Ha un lavoro, amici, progetti per la magistrale. Ma il passato la raggiunge. Pensa a Matteo, al suo sorriso nei giorni in cui stava meglio. Ama sua madre, ma non può dimenticare linfanzia rubata. Lucia continua a scrivere, e ogni messaggio è come leco di quella casa da cui è fuggita. Alessandra non sa se un giorno potrà tornare, spiegarsi, riconciliarsi. Ma una cosa è certa: quel giorno, quando il treno la portò lontano da Firenze, salvò se stessa. E quella verità, per quanto amara, le dà la forza di andare avanti.





