«Non sei né chef né cameriera»: come un marito ha posto un ultimatum alla sua famiglia e tutto è cambiato

«Non sei né cuoca né domestica»: come un marito ha imposto un ultimatum alla famiglia e tutto è cambiato
Mio marito Étienne proviene da una famiglia numerosa e rumorosa: tre fratelli e due sorelle. Ognuno aveva già la propria casa, figli e coniugi, ma finivano comunque a capitare da noiinevitabilmente. Non solo per un caffè, ma per veri pranzi e cene. Ogni occasioneun compleanno, una festa, un anniversario di matrimoniosi trasformava in un raduno a casa nostra. Come dicevano loro, «da voi è comodo, la casa è ampia, cè un giardino». Avevamo infatti comprato una grande villa in periferia di Lione, frutto di anni di lavoro e risparmio; una volta che ci furono terrazza, barbecue, un piccolo prato e un posto auto, tutti decisero che quella sarebbe stata la loro «casa vacanze».
Allinizio mi piaceva. Cresciuta senza fratelli né sorelle, avevo trovato gioia nellappartenere, in qualche modo, a una grande famiglia. Mettevamo in tavola, arrostivamo la carne, ridevamo tutti insieme. Poi, però, la situazione divenne insostenibile. Sapete cosa comporta preparare un pasto per più di quindici persone? Nessuno chiedeva mai una mano. Le donne si sedevano subito allombra con un bicchiere di vino, gli uomini accendevano il barbecue, e io, fin dal mattino, ero in cucina a tagliare, rosolare, lavare, sbucciare. Servivo i piatti, portavo via i piatti sporchi. Solo Étienne, con un sorriso colpevole, mi chiedeva: «Ti serve aiuto?» Io, trattenendo lirritazione, scuotevo la testa: «Me la gestisco».
Il vero problema era trovarmi davanti agli invitati, capelli scompigliati, grembiule, senza trucco, mentre loro sempre impeccabili, come se andassero a una serata di gala e non a una casa di campagna. Anche io avrei desiderato indossare un bel vestito, pettinarmi, sorseggiare un bicchiere di vino, ma il tempo non me lo consentiva: ero il personale di servizio.
Dopo ogni festa Étienne si occupava lui stesso della montagna di piatti e mi ordinava di riposare. Capivo che era stanco. Un solo giorno di riposo alla settimana, rovinato dalle urla dei bambini e dal chiacchiericcio continuo. Sognava di rilassarsi, ordinare una pizza, guardare un film, ma non voleva litigare con la sua famiglia. Anchio tacevo, finché un giorno suo fratello chiamò:
«Facciamo festa per il mio compleanno da voi, come al solito».
Étienne chiuse la telefonata, si girò verso di me e disse:
« Domani ti alzi, indossi il tuo vestito più bello, ti pettini e, se vuoi, ti trucchi. Possiamo anche comprarti qualcosa di nuovo. Ma non metti piede in cucina, neanche un dito. È chiaro?».
« Ma come», cominciai a rispondere.
« No. Portate il vostro cibo. Non sei una cuoca né una serva. Anche noi abbiamo diritto al riposo».
Annuii silenziosamente. Era strano, ma piacevole.
Il giorno seguente tutta la famiglia arrivò con sorrisi, scatole di dolci, carne in sacchetti. Ma sulla tavola nulla. Si scambiarono sguardi perplessi: dove erano gli antipasti, le insalate, la padrona di casa? Étienne allora intervenne con tranquillità:
« Nuove regole: se volete una festa, partecipate. Io e mia moglie siamo stanchi. Non devo servirvi. O ognuno porta qualcosa o trovate un altro posto dove festeggiare».
Un silenzio calò. Mangiarono, ma senza lenergia di prima; le conversazioni faticarono a decollare. La volta successiva, per la prima volta dopo molti anni, una delle sorelle invitò tutti a casa sua.
A quanto pare, erano capaci di farlo, quando lo desideravano.

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