Mio Marito Mi Ha Abbandonata in un Vecchio Borgo con Tre Figli, e una Settimana Dopo Ho Scoperto Qualcosa che Mi Ha Cambiato la Vita per Sempre

**Mio marito mi ha lasciato in un vecchio villaggio con tre figli, e una settimana dopo ho trovato qualcosa che mi ha cambiato la vita per sempre.**

“Cosa hai detto?” Giulia si bloccò, sentendo un brivido gelido dentro di sé. Marco era sulla porta, stringendo con forza un mazzo di chiavi. Il suo volto, solitamente vivace, era diventato una maschera di irritazione.

“Non posso più vivere così,” ripeté con un tono privo di emozione. “Né io né mia madre. Fai le valigie e porta i bambini a Monteloro. La casa della nonna è ancora in piedi, il tetto regge. Sopravvivrete in qualche modo.”

Giulia lo guardò come se fosse un estraneo. Dieci anni insieme, tre figli, e quella era la sua decisione. Un villaggio morente, con poche case rimaste, senza negozi e con strade dissestate.

“Perché…” iniziò, ma lui la interruppe.

“Perché sono stanco,” disse Marco, distogliendo lo sguardo. “Delle continue lamentele, dei piagnistei, di te che stai sempre a casa con i bambini. Mia madre ha ragione: sei diventata una gallina. Non riconosco più la donna che ho sposato.”

Le lacrime le salirono in gola, ma Giulia le trattenne. Dietro la parete, i bambini dormivanoSofia e Lorenzo, mentre il più grande, Matteo, probabilmente aveva sentito tutto.

“Dove lavorerò? Con cosa vivremo?” la sua voce era appena un sussurro. Marco gettò una busta sul tavolo.

“Ci sono dei soldi per il momento. E i documenti della casasono a tuo nome da tempo. Se sei così indipendente, dimostralo ora.”

Si voltò e, senza aggiungere altro, lasciò la stanza. Un minuto dopo, la porta d’ingresso sbatté.

Giulia si lasciò cadere su una sedia. Un ricordo assurdo le attraversò la mente: “Ho preparato la sua crostata di mele preferita. Per colazione.”

La casa li accolse con un freddo umido. Giulia entrò, tenendo in braccio Sofia assonnata, e sentì il cuore stringersi. Qui aveva passato la sua infanziaestati dalla nonna, il profumo del pane fresco, le erbe aromatiche in soffitta, le mele in cantina. Adesso cerano solo polvere, ragnatele e un senso di abbandono.

Matteo, serio più della sua età, entrò e aprì le imposte. Attraverso i vetri sporchi, i raggi del sole di aprile illuminarono le particelle di polvere sospese nellaria.

“Fa freddo qui,” si lamentò Lorenzo, stringendosi le braccia.

“Accenderemo la stufa, poi si scalderà,” disse Giulia, cercando di sembrare sicura. “Matteo, mi dai una mano?” Il ragazzo annuì, senza guardarla. Era rimasto in silenzio per tutto il viaggio, dopo aver sentito lultima discussione dei suoi genitori.

Fortunatamente, la vecchia stufa funzionava ancora. Mentre le fiamme iniziavano a lambire la legna e la stanza si riempiva di calore, Giulia si sentì un po più tranquilla.

“Mamma, resteremo qui per tanto?” chiese Lorenzo, esaminando le vecchie foto appese al muro.

“Non lo so, tesoro,” rispose con onestà. “Prima sistemiamoci, poi decideremo.”

Passarono la prima notte tutti insieme nel letto grande della nonna. I bambini si addormentarono subito, sfiniti dal viaggio. Giulia invece rimase sveglia, fissando il soffitto, chiedendosi cosa lavesse portata a quel punto.

La mattina seguente, liberandosi dallabbraccio dei bambini addormentati, uscì in cortile. Il terreno era invaso da erbacce. I meli, un tempo carichi di frutti, ora erano nodosi, con i rami spezzati. Il vecchio fienile stava per crollare, e il pozzo era coperto di muschio.

Giulia osservò il suo nuovo dominio e, inaspettatamente, rise amaramente. Ecco la sua eredità. Il suo nuovo inizio.

I primi giorni a Monteloro sembrarono un incubo. Ogni mattina si svegliava sperando di trovarsi ancora nel appartamento, di sentire il rumore della macchina del caffè e la voce di Marco.

“Mamma, quando viene papà a prenderci?” chiese Sofia, abituata alle passeggiate domenicali con il padre.

“Presto, piccola,” rispose Giulia, senza sapere come spiegare ciò che nemmeno lei capiva.

Il telefono rimaneva muto. Marco ignorava le sue chiamate. Una volta arrivò un messaggio: “Hai tutto quello che ti serve. Dammi tempo.”

Tempo. Cosa sperava? Che si sarebbe reso conto di quanto fosse difficile senza di loro? O che li avrebbe cancellati dalla sua vita?

Alla fine della prima settimana, era chiaro che i soldi lasciati da Marco non sarebbero durati a lungo. La stufa aveva bisogno di riparazioni, il tetto perdeva, e il cibo andava comprato. Ma la scoperta peggiore fu che nel villaggio non cera lavoro.

“Perché non tornate in città?” suggerì una delle poche vicine, la signora Rosaria.

Giulia scosse la testa: “Non abbiamo nessun posto dove tornare. Ma qui almeno abbiamo un tetto.”

Quel giorno decise di ripulire lorto. La terra, trascurata per anni, era coperta di erbacce, ma Giulia ricordava quanto generoso fosse stato il giardino della nonna.

“Matteo, mi aiuti?” chiese al figlio maggiore. Il ragazzo annuì, ancora silenzioso e distante.

Lavorarono insieme, strappando radici e rivoltando zolle pesanti. Le sue mani, abituate alle faccende di casa e alla tastiera del computer, si riempirono presto di calli. Alla sera, le faceva male la schiena, ma avevano ripulito solo un piccolo pezzo di terra.

“Mamma,” improvvisamente Matteo ruppe il silenzio. “Perché lo stiamo facendo?”

“Per piantare verdure: patate, carote, pomodori,” spiegò Giulia.

“No, intendo un’altra cosa,” lo interruppe lui. “Perché siamo qui? Perché non torniamo a casa? Cosa è successo tra te e papà?”

Giulia si raddrizzò, asciugandosi il sudore con il dorso della mano. Come spiegare la verità a un bambino? Ammettere che suo padre li aveva abbandonati? Parlargli delle critiche della suocera, che laveva sempre considerata inadatta? O dirgli che forse cera unaltra donna?

“Abbiamo bisogno di tempo per capire,” rispose con cautela. “A volte gli adulti devono stare separati per…”

“Per capire se si vogliono ancora bene,” completò Matteo. La sua voce era carica di amarezza. “È per quella signora? Quella che era alla nostra festa?”

Giulia si bloccò. Valentinaalta, elegante, la collega di Marco. “Solo unamica,” aveva detto quando lei aveva sospettato che tornasse tardi a casa.

“Forse,” ammise. “Ma ricordati: tuo padre vi vuole bene. E io… farò di tutto per stare bene, anche qui.”

Matteo la guardò intensamente, poi allimprovviso le si avvicinò e labbracciò.

“Ce la faremo, mamma,” disse con sicurezza. “Io e te. E cresceremo bene anche i piccoli.”

Quella notte, dopo che i bambini si addormentarono, Giulia rimase a lungo alla finestra, guardando le stellegrandi, luminose, così diverse da quelle della città. Per la prima volta da quando era arrivata a Monteloro, non sentì disperazione, ma una strana pace interiore.

Da quel giorno, lavorò ogni giorno nellorto, aiutata da Lorenzo e Sofia. I bambini, prima capricciosi, si entusiasmarono allidea di creare un “raccolto speciale

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