Pensavo che mio marito fosse solo di cattivo umore, finché non ho trovato i documenti del divorcio nel suo cassetto.
«Dovè la mia camicia a righe, quella blu?» Vittorio era in piedi in mezzo alla camera da letto, in pantaloni e nientaltro, rovistando irritato nellarmadio.
«È in lavatrice,» risposi dal bagno, mentre mi arricciavo i capelli. «Prendi quella azzurra, ti sta bene uguale.»
«Non voglio quella azzurra, voglio la blu! Quante volte devo dirtelo? Devi lavare le cose al momento giusto!»
«Vittorio, lhai indossata due giorni fa. Lho lavata ieri.»
«E allora? Se sapevi che mi serviva per la riunione, potevi asciugarla in tempo!»
Uscì dal bagno e lo fissai. Ultimamente perdeva la pazienza per qualsiasi cosa. La minestra troppo salata, la polvere sulla tv, la camicia sbagliata.
«Vuoi che ti stiri quella bianca? Ti dona molto.»
«Non serve stirare niente! Me la cavo da solo!»
Afferrò la prima camicia che trovò, se la infilò, abbottonandola con le mani che tremavano di rabbia.
«Vittorio, cosa ti succede? Non sei più lo stesso da una settimana.»
«Non succede niente. Sono solo stanco. Ho un casino al lavoro.»
«Forse dovresti andare dal dottore? Controllare la pressione?»
«Maria, lasciami stare! Non sono malato!»
Afferrò la giacca, la borsa e sbatté la porta. Rimasi in piedi in mezzo alla stanza, con un nodo allo stomaco. Vittorio non alzava mai la voce. In ventanni di matrimonio, le liti si contavano sulle dita di una mano. E ora ogni mattina iniziava con un rimprovero.
In cucina, la colazione si raffreddava. Frittata, toast, caffè tutto come piaceva a lui. Ma ultimamente Vittorio usciva senza mangiare. Diceva di non avere fame.
Mi sedetti, versandomi un tè. Dovevo parlargli stasera, con calma, senza accuse. Forse erano davvero problemi di lavoro? O di salute?
Squillò il telefono. Era la mia amica Silvia.
«Ciao! Allora, vieni a yoga oggi?»
«Non so, Silvia. Non ne ho voglia.»
«Che cè?»
«Vittorio è strano. È sempre arrabbiato, critica tutto.»
«Forse è la crisi di mezzetà? Anche il mio lha avuta. Si è comprato una moto e si è calmato.»
«Non credo. Vittorio non è il tipo. È conservatore, odia i cambiamenti.»
«Allora sarà il lavoro. Non pensarci. Passerà.»
Riattaccai. Silvia aveva ragione, non dovevo farmi paranoie. Tutte le coppie passano momenti così.
Feci le pulizie, preparai il pranzo. Minestrone il piatto preferito di Vittorio. Forse un buon pasto gli avrebbe migliorato lumore.
Al supermercato incontrai la vicina, signora Lucia.
«Maria! Come stai? È un po che non vedo Vittorio.»
«Lavora tanto. Esce presto e torna tardi.»
«Bravo, lavoratore. Non come il mio pigrone, che ha già segnato il divano.»
Sorrisi, ma dentro ero inquieta. Vittorio ultimamente tornava davvero tardi. Prima mi avvisava sempre. Adesso rientrava in silenzio, cenava e andava a letto.
A casa, decisi di riordinare lo studio di Vittorio. Lo volevo fare da tempo, ma a lui non piaceva che toccassi le sue cose. Oggi sarebbe tornato tardi potevo sistemare in pace.
Lo studio era piccolo ma accogliente. Librerie, scrivania, poltrona. Sulla parete, la nostra foto di matrimonio. Giovani, felici, con gli occhi pieni damore.
Spolverai gli scaffali, scopai il pavimento. Non toccai la scrivania cerano i suoi documenti di lavoro. Ma il cassetto superiore era socchiuso, e sporgeva un angolo di cartella.
Volevo solo richiuderlo, ma la cartella era di traverso. La tirai fuori per rimetterla a posto.
Sopra cera scritto “Personale”. Mi bloccai. Personale? Quali segreti poteva avere Vittorio da me?
La curiosità vinse. Aprii la cartella.
In cima cera un biglietto da visita. “Avvocato Marco Bianchi, diritto di famiglia”. Poi, una stampa da un sito: “Come avviare la pratica di divorzio”. E infine, una domanda per lufficio anagrafe. Compilata. Firmata da Vittorio.
Mi sedetti sulla poltrona. La vista si annebbiò. Divorzio? Vittorio voleva divorziare?
Con mani tremanti, sfogliai le carte. Elenco dei beni. Divisione dellappartamento. Conti bancari. Tutto pianificato, tutto organizzato.
In fondo, un foglietto con appunti a mano. La scrittura di Vittorio. “Parlerò dopo Capodanno. Casa a metà. Macchina a me. Casa al mare a lei.”
Fissai il foglietto. Due settimane. Aveva già deciso tutto. E io cucinavo il minestrone e stiravo le camicie.
La porta sbatté. Vittorio era tornato. Prima del solito.
«Maria! Sei a casa?»
Rimisi in fretta i documenti nella cartella, richiusi il cassetto. Uscii dallo studio, cercando di sembrare calma.
«Sì, sono qui. Sei tornato presto.»
«Hanno cancellato la riunione.»
Entrò in cucina, guardò nella pentola.
«Minestrone? Bene.»
Si servì un piatto. Io lo osservai mentre mangiava. Lo stesso uomo con cui avevo condiviso ventanni. Le stesse mani, gli stessi gesti. Ma ormai un estraneo. Che aveva già deciso tutto senza di me.
«Vittorio, dobbiamo parlare.»
«Di cosa?» Non alzò gli occhi dal piatto.
«Di noi. Cosa sta succedendo? Sei cambiato.»
«Non cominciare, Maria. Sono stanco, ho fame.»
«Ma non parliamo più. Sei sempre arrabbiato.»
«Non sono arrabbiato. È solo che lavoro tanto.»
«Non è il lavoro.»
Vittorio posò il cucchiaio, mi guardò. Nei suoi occhi passò qualcosa simile alla colpa, ma svanì subito.
«Maria, non adesso. Non ho voglia di litigare.»
«Io non voglio litigare. Voglio capire.»
«Cosa cè da capire? Va tutto bene.»
Volevo parlare della cartella. Chiedergli perché fingesse, se tutto era già deciso. Ma non riuscii. La gola si strinse, le parole non vennero.
«Va bene. Come vuoi.»
Mi alzai, andai in camera. Mi stesi sul letto, affondando il viso nel cuscino. Avrei voluto piangere, ma le lacrime non uscivano. Solo vuoto.
Vittorio finì di guardare il telegiornale, venne a letto. Si girò verso il muro. Prima mi abbracciava sempre prima di dormire, mi baciava sulla testa. Adesso, come due sconosciuti.
«Maria, dormi?»
«No.»
«Domani torno tardi. Cè la cena aziendale.»
«Va bene.»
«Non prendertela con me. Davvero, è solo stanchezza accumulata.»
«Lo so.»
Ma non lo sapevo. Non capivo come potesse vivere accanto a me, dormire nello stesso letto, e preparare i documenti per il divorzio. Come potesse mentirmi ogni giorno, guardandomi





