La suocera chiede aiuto ogni fine settimana – fino a quando non dico basta. Non sono una domestica e nessuno potrà decidere il mio tempo.

Mogliesuocera pretende aiuto ogni fine settimana finché non ho detto basta. Non sono una domestica e nessuno può dettare i miei impegni.
Fin dal giorno del matrimonio ho fatto di tutto per andare daccordo con la suocera. Per otto anni ho tenuto la bocca chiusa, sopportando pazientemente le richieste. Quando io e mio marito ci siamo trasferiti dalla campagna a Lione, sua madre JacquelineBertrand ci chiamava settimanalmente con la stessa frase: «Venite questo weekend, ci serve una mano!». A volte per selezionare le patate, altre per vangare il giardino, o ancora per assistere la figlia più giovane nella posa della carta da parati. E noi ci presentavamo, come burattini.
Io non ho più ventanni e la mia vita non è un fiume tranquillo. Lavoro cinque giorni su sette, allotto due bambini e mi occupo della casa. Anchio ho diritto a una pausa anche solo una domenica per respirare.
Per Jacqueline, però, eravamo una manodopera gratuita. Al minimo segno di stanchezza, rispondeva: «Chi lo farà se non tu?». Va bene, ma non era mai una vera emergenza. Un giorno mi ha chiesto di non andare a casa sua per mandarmi a dare una mano a sua figlia Élodie nella tinteggiatura del salotto. Sono andata, sciocamente. E indovinate? Mentre correvo con metro e pennello, la principessa Élodie si pavoneggiava davanti allo specchio, ammirando la nuova manicure e facendo bollire lacqua per lennesima volta.
Mio marito osservava tutto. Non era stupido, capiva che ci stavano sfruttando. Ma non apriva bocca dopotutto era sua madre. Così ho tenuto a freno i denti. Finché un giorno
Un sabato ho semplicemente smesso di accompagnarla a casa sua. Niente dramma, nessuna spiegazione. Sono rimasta a casa, dicendo di avere altri impegni.
Ovviamente Jacqueline non ha gradito. Ha subito interrogato suo figlio: perché ero diventata così ingrata? Mio marito mi ha implorato di andare, anche solo per farlo contento. Ma ne avevo abbastanza di quel teatro.
Avevo trentacinque anni. Il diritto di riposarmi, non di servire chi non alza neanche un dito. Non vedevo da loro né gratitudine né rispetto, solo pretese.
Quel fine settimana ho finalmente messo ordine nella mia casa. Ho lavato il bucato accumulato, preparato un vero pranzo, e la domenica mi sono concessa un libro, sdraiata sul divano. Una gioia pura. Finché non hanno suonato alla porta.
Élodie.
Senza un saluto, senza cortesia, mi ha scaricato la sua rabbia: egoista, maleducata, traditrice della famiglia. Mi ha ricordato il mio dovere perché ne faccio parte.
Lho ascoltata, le ho augurato una buona giornata e ho chiuso la porta.
Ma non è finita lì. La stessa sera Jacqueline è comparsa a casa mia. Appena entrata, mi ha accusata di ingratitudine e di disprezzo, sostenendo di aver dato tutto. Lho guardata, e tutti quegli ore passate a cucinare, pulire, curare il giardino mi sono tornate in mente.
E lì, davanti a me, osava predicarmi.
Era troppo.
Senza dire una parola, ho aperto la porta e le ho indicato luscita. Sconvolta, ha borbottato prima di andare via. Sono tornata al mio libro e, per la prima volta dopo anni, ho respirato.
Non era rabbia. Era libertà. La certezza che il mio tempo appartiene solo a me. E se devo qualcosa è a me stessa e ai miei figli.
Quella notte mi sono addormentata con il cuore leggero. Finalmente libera.

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La suocera chiede aiuto ogni fine settimana – fino a quando non dico basta. Non sono una domestica e nessuno potrà decidere il mio tempo.