La madre ottiene la libertà condizionale dopo aver scontato la pena al posto del figlio, che ha venduto la casa negandole persino l’ingresso

Oggi la madre è stata rilasciata in libertà condizionale dopo aver scontato la pena al posto di suo figlio. Lui, però, ha venduto la casa e non le ha nemmeno permesso di metterci piede.

Mi sono fermata davanti al cancello di casa, la schiena appoggiata alla staccionata di legno. Avevo corso come una pazza dallautobus e non mi rimaneva più fiato. Quando ho visto il fumo grigio-azzurro salire dal camino, ho portato una mano al petto: il cuore mi batteva così forte da sembrare volermi spezzare le costole. Nonostante il fresco dellaria, la fronte era bagnata di sudore. Lho asciugata con un gesto rapido e poi ho spinto il cancelletto con decisione.

Ho notato subito che la rimessa era stata riparata. Mio figlio non mi scriveva più, ma almeno non aveva mentito: la casa era ancora in piedi, proprio come aveva promesso. Sono salita di corsa i gradini del portico, pronta ad abbracciare il mio caro Sandrino.

Ma la porta si è aperta su uno sconosciuto, dallaria cupa, con uno strofinaccio appeso alla spalla.
“Cerca qualcuno?” ha chiesto con voce roca, fissandomi.

Sono rimasta di sasso.
“Dovè Sandrino?”

Luomo si è grattato il mento nervosamente, senza distogliere lo sguardo. Mi sono ritratta sotto quegli occhi, consapevole del mio aspetto: giacca imbottita consumata, scarpe logore, borsa macchiatavestiti da poveraccia. Ma non era certo una passeggiata quella da cui venivo destate mi avevano portato via, e ora era pieno autunno: avevo solo i vestiti del carcere.

“Sandro è mio figlio. Dovè? Sta bene?”

Laltro ha alzato le spalle.
“Probabilmente sì. Dovrebbe saperlo lei.” Ha quasi chiuso la porta, poi si è fermato. “Sandro Rossi?”

Ho annuito in fretta. Luomo ha avuto unespressione quasi compassionevole.
“Me lha venduta quattro anni fa. Vuole entrare?”

“No, no!” Ho agitato le mani, rischiando di cadere dai gradini. “Sa dirmi dove trovarlo?”

Ha scosso la testa. Io mi sono diretta verso il cancello. Avrei potuto andare dallamica Gina, ma quella aveva la lingua sciolta: mi avrebbe riempita di insulti. E il cuore di madre mi diceva che qualcosa di brutto era successo al mio ragazzo.

Camminando lentamente verso la fermata, mi sono persa in pensieri tetri. Cosa era successo? Sandro era sempre stato così fiducioso Quattro anni fa si era affidato a un “amico” ed era finito in mezzo a una truffa. Se non mi fossi presa la colpa io, avrebbe fatto molti più anni di galera. Hanno condannato me, anziana, a soli cinque anni. Tre giorni fa mi hanno rilasciato per buona condotta e mi hanno persino pagato il biglietto.

Seduta su una panchina di cemento, ho sussurrato:
“Dove sei, piccolino?”

Le lacrime mi salivano agli occhi. Il cuore mi aveva fatto un balzo tre anni prima, quando le lettere di Sandro si erano interrotte. Ora i miei peggiori timori sembravano confermati: aveva perfino venduto la casa. Mi sono asciugata le guance con un fazzoletto.

Improvvisamente, unauto nera si è fermata davanti a me. Era luomo della casa, che mi porgeva un foglio:
“Ho trovato questo indirizzo tra le carte. Se vuole, la porto in città.”

Lho preso come se fosse un salvagente.
“Grazie, caro, non preoccuparti; me la caverò.” Rinfrancata, mi sono incamminata verso il vecchio autobus in arrivo.

Mezzora di sussulti, ansie e smarrimenti in città: finalmente ero davanti al portone di un palazzo fatiscente. Ho premuto il citofono più volte trattenendo il respiro. Mi avrebbero aperto per darmi chissà quale brutta notizia. Le lacrime non smettevano di scorrere.

Quando la porta si è spalancata, la gioia è stata immensa: spettinato, un po alticcio, ma vivoil mio Sandro! Sono scoppiata in singhiozzi e volevo abbracciarlo, ma lui non sembrava affatto contento. Si è fatto indietro, tenendo la porta socchiusa:
“Come hai fatto a trovarmi?”

Sconcertata dal suo freddo benvenuto, non sapevo cosa dire. Sandro mi ha girato e spinto verso le scale:
“Mi dispiace, mamma, ma non puoi entrare. Vivo con una che odia gli ex-carcerati. Arrangiati, non ho un euro.”

Ho provato a parlare del ricavato della casa, ma la porta si è chiusacome un colpo al cuore. Non ho pianto più. A testa bassa, sono scesa. Gina aveva ragione: avevo cresciuto un mascalzone. Dovevo ammetterlo e sopportare le sue parole, senza un tetto.

Tornata in paese, il destino mi ha dato un altro colpo: Gina era morta sei mesi prima; la sua casa era ormai dei nipoti, quasi estranei. Sotto una pioggerellina fine, mi sono rifugiata alla fermata a pensare al futuro.

I fari di unauto mi hanno illuminata: era luomo di prima, il nuovo proprietario.
“Salta su, sei bagnata fradicia!”

Ho rifiutato singhiozzando: non avevo un posto dove andare, e quellestraneo era così gentile. Alla fine mi ha quasi costretta a salire.

Abbiamo parlato. Gli ho raccontato la mia storia amara, tacendo solo la visita a Sandro per vergogna. Lui, Andrea, mi ha proposto di restare da lui, almeno per un po. Così sono tornata nella mia vecchia casa, ora sua. E ci sono rimasta.

Andrea lavorava dallalba al tramonto: aveva una falegnameria in crescita; io mi occupavo della casa: cucina, bucato, pulizie. Facile, con gli elettrodomestici nuovi. Lui, ancora giovane e divorziato, non pensava a unaltra famiglia.

La mia presenza era proprio quello di cui aveva bisogno: orfano cresciuto in affido, sotto la mia ala scopriva finalmente il calore di una casa. Ogni volta che accennavo ad andarmene, diceva:
“Dove vai? Qui è casa tua!”

Piano piano, anche il mio cuore si è scaldato. Un figlio di sangue non si sostituisce, ma Andrea si è rivelato di una bontà rara, quasi un vero figlio. Con linverno alle porte, ho deciso di portargli il pranzo in falegnameriaa due passi, e spesso era troppo occupato per tornare.

Quel giorno gli ho portato un thermos di minestra fumante e delle polpette. Ho cacciato via un estraneo dallufficio, steso una tovaglia pulita. Andrea ha riso:
“Sergia, sei un generale: non si discute! E se si offende?”

Ho aggrottato le sopracciglia:
“Vuoi prenderlo come caposquadra? Si vede dalla faccia: è un furfante. Fidati, il carcere mi ha insegnato a leggere la gente.”

Lui ha scosso la testa:
“Dai, mamma! Ha un bel curriculum. Non possiamo giudicare a occhio.”

Avevo ragione: un mese dopo, la falegnameria ha perso un carico di legno; quello smerciava di nascosto ed è sparito con un camion. Andrea, cupo, ha ammesso lerrore.

Per assumere i nuovi operai, ha deciso: visto che “la nonna” ci capisce, mi avrebbe fatto aiutare. Da allora ho assistito ai colloqui: lui faceva domande, io osservavo e scrivevo un verdetto.

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