A 65 anni ho capito che la cosa più terribile non è restare sola, ma implorare i tuoi figli per una telefonata, sapendo di essere un peso per loro

A 65 anni ho capito che la cosa più spaventosa non è restare sola, ma implorare i propri figli per una telefonata, sapendo di essere solo un peso.

“Mamma, ciao, ho bisogno urgente del tuo aiuto.”

La voce di mio figlio al telefono aveva il tono di chi parla con un fastidioso sottoposto, non con sua madre.

Nina Ferretti rimase immobile con il telecomando in mano, senza accendere il telegiornale della sera.

“Marco, ciao. Che succede?”

“Niente di grave,” sbuffò impaziente. “È solo che io e Giulia abbiamo preso unofferta last minute, partiamo domani mattina. E non abbiamo nessuno che possa tenere Rex. Lo prendi tu?”

Rex. Un enorme alano bavoso, che nel suo piccolo bilocale occupava più spazio del vecchio mobile del salotto.

“Per quanto?” chiese cauta, già sapendo la risposta.

“Una settimana, forse due. Dipende. Dai, mamma, chi se non te? Portarlo in un hotel per cani sarebbe crudele. Sai comè sensibile.”

Nina guardò il divano, rivestito di tessuto chiaro nuovo di zecca. Aveva risparmiato per mesi, rinunciando a piccoli piaceri. Rex lo avrebbe distrutto in due giorni.

“Marco, non è il momento… ho appena finito di sistemare casa.”

“Quale sistemazione?” nella sua voce trapelò irritazione. “Hai cambiato la carta da parati?”

“Rex è educato, basta portarlo a passeggio. Sentiamo Giulia, devo fare le valigie. Te lo porto tra unora.”

Il telefono tacque.

Non le aveva nemmeno chiesto come stava. Non le aveva ricordato il compleanno della settimana prima. Sessantacinque anni.

Aveva aspettato una chiamata tutto il giorno, aveva preparato la sua insalata speciale, indossato un vestito nuovo. I figli avevano promesso di passare, ma non si erano fatti vivi.

Marco le aveva scritto: “Auguri, mamma! Sommersi di lavoro.” Laura non aveva neanche quello.

E oggi, improvvisamente: “ho bisogno urgente del tuo aiuto.”

Nina si lasciò cadere sul divano. Non era il cane, né il tessuto rovinato.

Era quella sensazione umiliante di essere solo una funzione. Un servizio gratuito, unancora di salvezza di emergenza. Una persona-funzione.

Ricordò quando, anni prima, sognava che i figli diventassero indipendenti.

Ora capiva che la cosa più spaventosa non era la solitudine. Era aspettare una chiamata col cuore in gola, sapendo di contare solo quando serviva qualcosa.

Implorare la loro attenzione, comprandola a prezzo della propria dignità.

Unora dopo, il campanello suonò. Sulla soglia cera Marco, con il guinzaglio del cane in mano. Rex si lanciò dentro, lasciando impronte di fango sul pavimento pulito.

“Ecco il cibo e i giochi. Tre passeggiate al giorno, ricordatelo. Devo scappare, sennò perdiamo il volo!” Le infilò il guinzaglio in mano, le diede un bacio veloce e sparì.

Nina restò in piedi nellingresso. Rex annusava già le gambe della poltrona.

Dal salotto arrivò il suono di un tessuto che si strappava.

Guardò il telefono. Forse poteva chiamare Laura? Magari lei capiva… Ma il dito si fermò.

Laura non la chiamava da un mese. Anche lei era occupata. Aveva una sua vita.

E per la prima volta, Nina non sentì il solito risentimento. Arrivò qualcosaltro. Freddo, lucido. Basta.

La mattina iniziò con Rex che, per dimostrare affetto, saltò sul letto lasciando due impronte di fango sulle lenzuola bianche.

Il divano era già squarciato in tre punti, e il ficus che curava da anni giaceva per terra con le foglie masticate.

Nina bevve un goccio di valeriana direttamente dalla boccetta e chiamò Marco. Rispose dopo diversi squilli.

In sottofondo, si sentivano le onde e le risate di Giulia.

“Mamma, che cè? Tutto bene qui, il mare è fantastico!”

“Marco, riguardo al cane. Sta distruggendo casa. Ha rovinato il divano, non riesco a gestirlo.”

“Cosa? Non ha mai fatto danni! Forse lo chiudi? Ha bisogno di libertà. Dai, mamma, non iniziare ora. Siamo appena arrivati! Portalo a passeggio, si calmerà.”

“Lho già portato due ore stamattina! Tira così forte che sono quasi caduta. Riprenditelo, per favore. Trovate unaltra soluzione.”

Una pausa. Poi la voce di Marco si fece dura.

“Seriamente? Siamo dallaltra parte del mondo! Hai accettato tu. Vuoi che torniamo per un capriccio? Questo è egoismo, mamma.”

La parola “egoismo” la colpì come un pugno. Lei, che aveva vissuto per loro, era egoista.

“Non è un capriccio, io”

“Basta, mamma. Giulia ha i cocktail. Divertiti con Rex, vi piacerete. Un bacio.”

Di nuovo il silenzio.

Le mani di Nina tremavano. Si sedette in cucina, lontano dal disastro. Il senso di impotenza era quasi fisico.

Decise di chiamare Laura. Era sempre stata più ragionevole.

“Laura, ciao.”

“Ciao, mamma. È urgente? Sono in riunione.”

“Sì. Marco mi ha lasciato il cane ed è partito. È ingestibile. Distrugge tutto, ho paura che mi morda.”

Laura sospirò.

“Marco te lha chiesto, no? Cera bisogno. Non puoi aiutare tuo fratello? Siamo famiglia. Il divano si ripara. Marco ti darà i soldi. Forse.”

“Non è il divano! È il modo in cui mi trattano!”

“E come avrebbe dovuto fare? Supplicarti? Dai, mamma. Sei in pensione, hai tempo. Che ti costa?”

La chiamata finì lì.

Nina posò il telefono.

Famiglia. Che parola strana.

Nel suo caso, significava un gruppo di persone che si ricordavano di lei solo quando serviva qualcosa, e la accusavano di egoismo se non obbediva.

Quella sera, la vicina bussò furiosa.

“Nina! Il tuo cane abbaia da tre ore! Mio figlio non dorme! Se non lo fai smettere, chiamo i carabinieri!”

Rex, dietro di lei, abbaiò felice, confermando.

Nina chiuse la porta. Guardò il cane che scodinzolava in attesa di lodi. Poi il divano distrutto. Il telefono.

Dentro di lei, unira sorda cresceva.

Aveva sempre cercato di risolvere tutto con calma. Spiegare, capire, essere comprensiva.

Ma la sua logica, i suoi sentimenti, non interessavano a nessuno. Si scontravano contro un muro di indifferenza.

Prese il guinzaglio.

“Andiamo, Rex.”

Camminava nel parco, la tensione nelle spalle diventata dolore. Rex tirava, ogni stratton

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