Una ragazza orfana, cresciuta in un orfanotrofio, trovò lavoro come cameriera in un ristorante prestigioso. Ma dopo aver rovesciato accidentalmente la zuppa su un cliente facoltoso, il suo destino cambiò drasticamente.
“Ragazza, hai idea di quello che hai fatto?” gridò Sergio, agitando un mestolo. “Zuppa sul pavimento, il cliente sporco, e tu stai lì come una statua!”
Alessia fissò la macchia scura sull’abito costoso dell’uomo e sentì un nodo allo stomaco. Era la fine del suo lavoro. Sei mesi di sacrificitutti inutili. Ora quelluomo avrebbe fatto una scenata, avrebbe preteso un risarcimento, e lei sarebbe stata licenziata senza un soldo.
“Per favore, mi dispiace Pulisco subito,” balbettò, afferrando dei tovaglioli dal tavolo.
Luomo alzò una mano per fermarla:
“Aspetta. È colpa mia. Mi sono girato allimprovviso e sono stato distratto da una telefonata.”
Alessia si bloccò. In due anni di lavoro come cameriera, aveva sentito di tutto, ma un cliente che si scusava con leimai successo prima.
“No, sono stata io sbadata” mormorò.
“Non preoccuparti. Labito si lava. Ma ti sei scottata?”
Scosse la testa, ancora incredula. Luomo aveva circa quarantacinque anni, capelli brizzolati e occhiali. Parlava con calma, senza quel tono fintamente gentile tipico dei clienti benestanti.
“Allora fammi cambiare, e tu portami unaltra zuppa. Solo, stavolta fai attenzione,” sorrise appena.
Enrico, il responsabile di sala, apparve dal nulla.
“Signor Lombardi, mi scusi per lincidente! Ci penseremo noi al risarcimento per labito”
“Enrico, non serve. Va tutto bene.”
Alessia portò unaltra porzione di zuppa, le mani ancora tremanti. Lombardi mangiò lentamente, osservandola di tanto in tanto con unaria pensierosa.
“Come ti chiami?”
“Alessia.”
“Da quanto lavori qui?”
“Sei mesi.”
“Ti piace?”
Fece unalzata di spalle. Cosa poteva dire? Un lavoro è un lavoro. Lo stipendio era decente, e il gruppo dipendeva dalla fortuna.
“E prima dove lavoravi?”
La domanda era semplice, ma Alessia si irrigidì. Gli uomini ricchi non chiedono così, a caso, del passato delle cameriere.
“In un altro bar,” rispose secca.
Lombardi annuì e non chiese altro. Pagò, lasciò una mancia generosa e se ne andò.
“Sei fortunata,” borbottò Sergio. “Se avessi avuto un cliente così ai miei tempi, sarei già in pensione.”
Una settimana dopo, Lombardi tornò al ristorante. Prese lo stesso tavolo e chiese di essere servito da Alessia.
“Come stai?” le domandò quando portò il menu.
“Bene.”
“Dove vivi?”
“Affitto una stanza.”
“Da sola?”
Alessia posò il menu con un po più di forza.
“E?”
Lombardi alzò le mani in segno di pace:
“Scusa, non volevo essere invadente. È solo che mi ricordi qualcuno.”
“Chi?”
“Mia sorella. Anche lei era indipendente alla tua età.”
Alessia sentì qualcosa stringerle dentro. “Era”significava che non cera più.
“Lavora da qualche parte?”
“No,” fece una pausa. “È mancata tanto tempo fa.”
La loro conversazione fu interrotta da un altro cliente che chiese il conto. Quando Alessia tornò, Lombardi stava finendo linsalata.
“Posso venire qui spesso?” chiese. “Mi piace questo posto.”
“Certo, è un luogo pubblico.”
“E se chiedessi di essere sempre servito da te?”
Alessia scrollò le spalle. Il cliente ha sempre ragione, soprattutto quando paga bene.
Lombardi cominciò a venire due volte a settimana. Ordinava sempre le stesse cose: zuppa, insalata, piatto principale. Mangiava lentamente, a volte parlava al telefono sottovoce. Il cliente perfetto.
Pian piano, iniziò a raccontare di sé. Possedeva una catena di ferramenta, viveva con la moglie in una villa fuori città. Non avevano figli.
“Di dove sei?” le chiese una volta.
“Della città,” rispose evasiva.
“I tuoi genitori sono vivi?”
“No.”
“Sono mancati da molto?”
“Non li ricordo. Sono cresciuta in un orfanotrofio.”
Lombardi si bloccò, il cucchiaio sospeso sul piatto.
“Quale?”
“Il tredicesimo istituto su via Garibaldi.”
“Capisco. Quanti anni hai?”
“Ventidue.”
“Quando hai lasciato lorfanotrofio?”
“A diciotto. Prima mi hanno dato una stanza in un dormitorio, poi ho affittato da sola.”
Lombardi smise di mangiare. La fissò in modo strano, come se la vedesse per la prima volta.
“Che cè?” chiese Alessia.
“Niente, tutto a posto. È solo che anche mia sorella è cresciuta in un orfanotrofio.”
“Poverina.”
“Sì. Io avevo ventanni, studiavo alluniversità. Non potevo prenderla con mevivevo in un dormitorio, sopravvivevo con una borsa di studio.”
“E poi?”
“Poi è stato troppo tardi.”
Cera così tanto dolore nella sua voce che Alessia non chiese altro. Non toccava a lei smuovere i ricordi degli altri.
La settimana dopo, Lombardi le portò un regalouna scatolina elegante.
“Cosè?”
“Apri.”
Dentro cerano orecchini dorosemplici ma raffinati.
“Non posso accettarli.”
“Perché no?”
“Perché non ci conosciamo neanche.”
“Alessia, è solo un gesto. Senza secondi fini.”
“Per quale ragione?”
Esitò un attimo.
“Hai progetti per il futuro?”
“Quali progetti? Lavoro e risparmio per un appartamento.”
“Ti piacerebbe cambiare lavoro?”
“Per fare cosa?”
“Cè un posto da responsabile in uno dei miei negozi. Lo stipendio è il triplo di qui.”
Alessia si allontanò dal tavolo.
“E devo fare qualcosa in cambio?”
“Lavorare. Gestire le scorte, supervisionare i venditori, preparare i resoconti. Imparerai tutto.”
“Perché proprio io?”
“Perché sei responsabile. Nessun reclamo in sei mesi, sempre gentile con i clienti. E perché voglio aiutarti.”
“Perché?”
Lombardi si tolse gli occhiali, li pulì con un tovagliolo.
“Mia sorella fu mandata in orfanotrofio a dodici annii nostri genitori morirono in un incendio. Io ero al terzo anno di università. Pensavo di resistere un paio danni, laurearmi, trovare un buon lavoro e portarla con me.”
“Che successe?”
“Morì di polmonite, un anno prima che mi laureassi. Seppi del funerale solo un mese dopo.”
Alessia tacque. La storia era commovente, ma cosa centrava con lei?
“Per tutta la vita ho pensato: se avessi agito prima, lasciato gli studi, trovato un lavoro”
“E allora? Sareste sopravvissuti entrambi, invece di lottare da soli?”
“Forse. Ma lei sarebbe viva.”
“Non puoi saperlo.”
“Lo so. Lì la trattavano male. Se fosse vissuta con me”
“Ascolta, mi dispiace molto per tua sorella. Ma io non sono lei





