Ecco, ti racconto questa storia che mi è successa proprio laltro giorno sul treno per Napoli. Sai, quei vicini di scompartimento maleducati che si sono mangiati tutto il mio cibo, ma poi hanno imparato la lezione!
Le ruote del treno battevano il ritmo della mia felicità. Tre mesi che risparmiavo per questa vacanza, tre mesi a sognare il mare, la brezza salata sulla pelle e i tramonti senza palazzi a rovinare la vista. Lo scompartimento era ancora vuoto, e mi godevo quel lusso raro: stare sola con i miei pensieri e i miei sogni.
Avevo sistemato con cura sul tavolino le mie provviste: polpette avvolte nella carta stagnola, un vasetto di olive sottaceto, panini con il salame, mele, biscotti e un thermos di caffè forte. Bastava e avanzava per il lungo viaggio verso il mare. Immaginavo già come avrei pranzato con calma, guardando il paesaggio scorrere dal finestrino, leggendo un libro sorseggiando il caffè dalla mia tazza preferita.
Il treno rallentò avvicinandosi alla prossima stazione. Non feci caso al trambusto nel corridoioche mimportava? Davanti a me cerano due settimane di puro relax.
Ma il destino aveva altri piani.
Nello scompartimento irruppe una famiglia: un uomo basso con i capelli arruffati e la pancetta da birra, sua moglieuna donna robusta con una voce che squillavae il loro figlio, un ragazzino di dieci anni, paffuto come la madre. Si sistemarono rumorosamente, litigando e spargendo le loro cose ovunque.
“Finalmente!” esclamò la donna, lasciandosi cadere sul sedile. “Credevamo di non arrivare mai, con tutte quelle valigie!”
“E di chi è la colpa, Loredana?” sbottò luomo. “Sei tu che hai voluto portare mezzo armadio!”
“Non è roba inutile, sono cose necessarie!” ribatté lei, indignata.
Il ragazzino intanto si arrampicò sulla cuccetta e iniziò a sgranocchiare patatine rumorosamente.
Cercai di mantenere la calma. Dopotutto, anche loro erano in vacanza, avevano diritto a essere un po turbolenti. Magari si sarebbero calmati.
Ma le mie speranze svanirono in mezzora.
“Oh, ma che avete lì di così buono?” chiese Loredana, fissando avidamente il mio cibo. “Anche noi abbiamo portato qualcosa, guarda!”
Tirò fuori dalla borsa due uova sode e un pomodoro moscio, li appoggiò sul tavolo accanto alle mie cose ben organizzate.
“Condivisione!” annunciò con fare trionfante, come se mi avesse fatto un favore.
Qualcosa dentro di me si strinse, ma sperai ancora che la situazione si sistemasse.
Sperai invano.
Luomo, che si presentò come Marcello, senza cerimonie scartò le mie polpette e ne addentò una.
“Mamma mia, fatte in casa!” commentò a bocca piena. “Che buone!”
“Marcello, fammi assaggiare!” allungò la mano Loredana.
“Scusate,” provai a fermarli, “ma questo è il mio cibo. Lho preparato per il viaggio.”
Mi guardarono come se avessi detto qualcosa di scandaloso.
“Ma dai!” sbottò Loredana. “Come fai? Se hai messo il cibo sul tavolo, è per condividerlo! È educazione, no?”
“Anche noi abbiamo messo qualcosa,” aggiunse Marcello, indicando le due uova sfinite. “Serviti, non fare complimenti!”
Intanto il ragazzino infilò le mani sporche nel mio vasetto di olive.
“Buone!” commentò masticando.
Una marea di rabbia e impotenza mi travolse. Questa famiglia si stava ingozzando della mia roba, nascondendosi dietro regole inventate. E soprattutto, lo facevano come se dovessi ringraziarli!
“Ascoltate,” dissi cercando di mantenere la voce ferma, “non ho invitato nessuno. Questo è il mio cibo, contavo che mi bastasse per tutto il viaggio.”
“Ma smettila!” sbuffò Loredana, spalmando una mia polpetta sul pane. “Non fare la tirchia! Vedi che noi abbiamo quasi niente da mangiare? Non ti obblighiamo a mangiare solo la nostra roba!”
Marcello intanto finiva i miei panini, e il ragazzino si leccava le dita dopo aver svuotato il vasetto.
Mangiavano con una sfacciataggine che mi fece salire il rossore alla faccia. Non per il ciboma per limpotenza di fronte a tanta maleducazione.
“Sapete cosa?” dissi, trattenendo un tremito nella voce. “Devo uscire un attimo.”
“Vai, vai,” concesse magnanimamente Loredana, senza alzare gli occhi dal mio cibo. “Noi intanto sistemiamo qui.”
Uscita nel corridoio, finalmente mi lasciai andare. Le lacrime mi rigavano le guancenon per la fame, ma per lumiliazione. Guardavo i campi scorrere oltre il finestrino, chiedendomi come la gente potesse essere così invadente.
“Scusa se mi intrometto, ma piangi?”
Mi voltai. Accanto a me cera un uomo alto, con uno sguardo attento e un sorriso gentile.
Tutto a posto,” mentii, asciugandomi le lacrime.
“Non sembra,” osservò lui. “Mi chiamo Luca. E tu?”
“Sofia,” risposi, sorpresa dal fatto che la mia voce non tremasse.
“Sofia, non voglio insistere, ma a volte aiuta parlare con uno sconosciuto. Che è successo?”
Quella gentilezza mi fece crollare le difese. Gli raccontai tuttola vacanza tanto attesa, il cibo preparato con cura, quella famiglia che si era mangiata tutto nascondendosi dietro scuse ridicole.
Luca ascoltò attentamente, annuendo a tratti. Quando finii, il suo volto si fece serio.
“Capisco,” disse. “Qual è il tuo scompartimento?”
“Il settimo,” risposi, senza capire dove volesse arrivare.
“Aspettami qui un attimo,” mi chiese, e si diresse verso il mio scompartimento.
Rimasi al finestrino, incerta. Cosa stava facendo?
Dallinterno arrivavano voci soffocate. Prima Loredana che alzava la voce, poi Marcello, poi il tono calmo e fermo di Luca. Non capivo le parole, ma lintonazione era decisa, quasi ufficiale.
Pochi minuti dopo, Luca uscì. Il suo viso era impassibile, ma negli occhi brillava una soddisfazione malcelata.
“Penso che si comporteranno meglio, ora,” disse.
“Che gli hai detto?” chiesi, curiosa.
“Niente di che,” rispose evasivo. “Solo alcune regole di buona educazione in treno.”
Quando rientrai, la scena era cambiata. I miei compagni di viaggio erano silenziosi. Il ragazzino fissava il telefono, mentre Marcello e Loredana sussurravano, lanciandomi sguardi colpevoli.
“Sofia, scusaci,” iniziò Marcello quando mi sedetti. “Non sapevamo che non viaggiassi da sola.”
“Certo, se avessimo saputo che il cibo era anche per il tuo ragazzo, non lavremmo toccato!” aggiunse Loredana in fretta.
“Pensavamo fossi sola,” si giustificò Marcello. “Siamo persone comprensive, viaggiamo in famiglia, sappiamo come funziona”
Li guardai senza capire. Che ragazzo? Ma le loro espressioni colpevoli parlavano chiaroqualunque cosa avesse detto Luca, aveva funzionato.
Alla stazione successiva, successe l






