Oggi, mentre il temporale martellava il cemento caldo del portone del nostro palazzo in Via Verdi a Napoli, mi sono trovato a osservare le gocce che scandivano il selciato come un tamburo impazzito. Il vapore si alzava dal suolo così denso che avrei giurato di vedere, allangolo della viuzza, non unautomobile nera di un inquilino, ma un cavaliere spettrale su un cavallo pallido. Laria era umida, pesante, con il dolce sentore del tiglio bagnato.
Ho aperto un po il finestrino della mia piccola casetta di guardia, dietro il cancellino, per far entrare un po daria. Una raffica di pioggia calda è sbucata subito dentro. Ho sorseggiato un sorso di tè freddo da una tazzina di vetro smerigliato, poi ho girato la manopola del vecchio ricevitore radio. Una trasmissione dimenticata dove un baritono ruvido cantava damore e di sorbo di biancospino mi ha accompagnato; con quel clima, i pensieri scivolavano leggeri. E di che cosa potevo pensare, se non dei piccoli drammi che si svolgono ogni giorno nel nostro cortile?
Sono da quindici anni il custode silenzioso di questo angolo di città, testimone di le piccole gioie e dei litigi mattutini. Conosco bene la famiglia dellappartamento 45: al mattino litiga sempre per una tazza di caffè bruciata, e io, con la voce lenta, li rimprovero. So che il gatto rosso del secondo pianerottolo, chiamato “Gennaro” sul collare, risponde al nome di “Chubais”. E so anche che il ragazzo dellundicesimo piano fuma di nascosto dietro langolo, credendo di non farsi vedere.
Il mio rifugio è il piccolo box dove arrivano chiavi smarrite, bambini in cerca di genitori, o un cucciolo in una scatola di cartone. Lì ho tenuto il cane che ho adottato, Nuvola, che ora dorme accanto a me, ansimando nei sogni.
Un rumore di cerniera ha interrotto il silenzio: alla porta, tutta inzuppata, si è presentata una bambina di circa otto anni, Ginevra dellappartamento 33, stringendo disperatamente un mazzo di margherite secche e qualche erba di lato strada.
Buongiorno ha sussurrato. È per voi.
Per me? ho chiesto, sorpreso. Ma perché?
La mamma dice che ci aiutate sempre. E il papà dice che siete il pilastro di questo cortile. Non so cosa sia un pilastro, ma deve essere qualcosa di molto importante. Come un palo che regge tutto.
Ho preso il mazzo. Le margherite erano quasi spente, ma lodore di miele e di infanzia ancora ne permeava laria.
Siediti e asciugati ho brontolato, indicando lo sgabello. Vuoi un tè?
Ginevra ha annuito, togliendo le scarpe bagnate. Le ho versato il tè in una tazza di ferro con limmagine di un orso. Siamo rimasti in silenzio, ascoltando la pioggia che si smorzava in un sussurro cullante. Nuvola si è svegliata e ha puntato il muso verso la mano di Ginevra, chiedendo attenzione.
Perché siete sempre qui? ha chiesto la bambina, osservando i vecchi calendari alle pareti.
Perché bambini come te non si perdano ho risposto. E perché le chiavi tornino al loro posto. E perché Gennaro torni a casa in tempo.
Siete come un supereroe ha concluso Ginevra.
Lo sono anchio ho replicato, serio. Solo che non ho una mantella. Ho questo box e questo cancellino.
Lho accompagnata al pianerottolo, quando la pioggia è cessata del tutto. Tornando, ho visto emergere dallombra il ragazzo fumatore. Si è irrigidito nel vedermi, infilando di corsa la sigaretta nella tasca.
Non nasconderla gli ho detto. Si vede comunque. E puzza.
Lo dirai a tua madre? ha balbettato.
Perché dovrei? È un tuo affare. Ma le tue vie respirano anche loro. Pensa a questo.
Lui si è fermato, ancora incerto, e io sono passato.
Di sera, con il cielo diventato un blu profondo e le pozzanghere che riflettevano le prime stelle, ho chiuso il cancellino. Ho lanciato un ultimo sguardo al cortile, ormai quieto, mentre le luci si accendevano nelle finestre, una risata usciva da un balcone, lodore di patate fritte e di salvia avvolgeva laria. Ho accarezzato Nuvola, spento la luce nel box e chiuso a chiave la porta. Un giorno qualunque era terminato. Nessuno mi ha ringraziato, nessuno ha scritto il mio nome sui giornali, ma io ero il pilastro. Colui che regge, colui che resta al suo posto, colui a cui si può avvicinare con un mazzo di margherite schiacciate nel giorno più brutto.
Domani, però, mi ha sorpreso una piccola disgrazia. Qualcuno, di notte, ha sbattuto contro il mio box; una grande ammaccatura sul lato sembrava limpatto di unauto, e la porta ora cigolava aprendo con fatica sul cemento.
Nuvola, agitato, girava intorno a me, annusando il metallo graffiato e guaì piano. Ho girato intorno al box, toccato lincavo, e ho sospirato senza accusare nessuno. Ho aperto la porta scricchiolante e ho preso il mio tè. Il problema doveva essere risolto, non discusso.
La prima a notare il danno è stata, ovviamente, Ginevra, che correva verso il parco con lo zaino colorato.
Oh! ha esclamato, spalancando gli occhi. Il vostro rifugio è stato colpito!
Non importa, lo ripariamo ho risposto con calma. Come un uomo, anche una piccola casa può prendere un livido. Limportante è che dentro sia tutto intatto.
La notizia si è sparsa nel cortile come un lampo. Un po alla volta, gli abitanti sono venuti a dare una mano.
Giovanni, che succede? ha protestato la signora Donatella, anziana del terzo pianerottolo. Ho sentito rumori di auto di notte! Sarà colpa di quei vandali!
Dovremmo chiamare la polizia? ha suggerito qualcuno.
No, occorre sistemare noi stessi ho interrotto.
Si è avvicinato il ragazzo fumatore, Luca, con le mani nelle tasche, lo sguardo basso ma curiosamente interessato.
È una bella botta, ha commentato, cercando di mantenere un tono distaccato. Un martello sul retro Si può aggiustare.
Ho guardato Luca con un nuovo rispetto.
Sai come fare?
Con il papà, in garage, a volte aggiustiamo le cose ha scrollato le spalle.
Allora è avvenuto qualcosa di inaspettato: il cortile, solitamente un mosaico di vite indipendenti, si è trasformato in una squadra unita per riparare il mio box. Donatella ha portato dei pasticci di ricotta, per avere energia. Marco, il ragazzo del dodicesimo appartamento, sempre di corsa e un po scontroso, ha tirato fuori una vernice verde che aveva in cantina, perfetta per il colore del metallo. Ha anche portato una piccola gru a mano per sistemare il telaio.
Luca si è rivelato il capo tecnico. Ha ispezionato il danno, ha sfregato la barba e ha pronunciato il verdetto:
La gru non basta. Servono pressioni dallinterno e qualche colpo di martello. Qualcuno ha una chiave inglese?
Un paio di abitanti hanno sfilato una piccola chiave inglese. Il lavoro è iniziato. Io, dietro la consolle, ho sorseggiato il tè osservando il mio piccolo forte diventare il progetto di tutto il quartiere. Anche Gennaro, il gatto, è sceso sul marciapiede, osservando con aria di ispettore reale.
Ginevra girava intorno, distribuendo gli attrezzi in grandi, piccoli e brillanti. Nuvola scodinzava e abbaiava ad ogni colpo di martello, partecipando con entusiasmo.
Intorno a mezzogiorno il danno più grave era quasi sparito; restavano solo leggere tracce. Marco, sudato ma soddisfatto, stava per stendere il primer e la vernice.
Sarà come nuova, Giovanni! ha esclamato, sorridendo. Io ho alzato silenziosamente la tazzina di vetro; quel gesto valeva più di mille parole.
In quel momento è arrivato un fuoristrada nero lucido. Il finestrino del conducente si è abbassato, e un volto rosso, ancora assonnato, è spuntato fuori.
Ehi, guardiano! Apri il cancellino, cosa ci fai a bloccare il traffico? Non hai niente da fare?
Tutti sono rimasti immobili. Era linquilino del piano più alto, sempre scontento, che guidava una macchina rumorosa.
Ho lentamente uscito dal box, senza fretta, guardando luomo nella sua auto, poi tutti gli abitanti: Ginevra con gli occhi spalancati, Luca che stringeva il martello, Marco con il pennello, Donatella con i dolci.
Mi sono sentito non più custode, ma capitano di una nave.
La strada di scargo è libera ho detto con calma. Il cancellino rimarrà chiuso per una pausa tecnica.
Cosa?! ha ruggito il conducente. Non non
Siamo al lavoro ha interrotto Marco, avanzando con tono fermo, asciugandosi le mani su un panno. Riparate lì.
Luomo ha guardato tutti noi: luomo con il pennello, il ragazzo con il martello, la signora con i dolci, il bambino. Ha capito che eravamo uniti, che quel piccolo box non era solo un rifugio, ma il cuore del nostro quartiere, e ha girato lauto verso il giro di scarto.
Il silenzio è tornato, poi Luca ha riso rumorosamente; Ginevra e Donatella lo hanno seguito, persino Marco ha sorriso. Ho riaperto il cancellino e la minaccia è scomparsa. Il box ora porta ancora una cicatrice da guerra, ma presto sarà coperta da vernice fresca. Quella cicatrice è diventata segno di qualcosa di più grande: il ricordo di quanto, quando si lavora insieme, anche le crepe più profonde si possono sanare.
Non sono più solo il guardiano di un cancello; sono il punto di aggregazione intorno al quale questo cortile, senza saperlo, si è fuso in un unico organismo. Il mio piccolo rifugio è il centro di un microcosmo, e io ne sono il custode.
Lezione di oggi: non importa quanto sia piccolo il ruolo che svolgi; se lo svolgi con cuore, diventa il pilastro su cui poggia lintera comunità.






