Margherite per il Nonno

Giovanni Petroni viveva allestremità di una viuzza di pietra, in una casetta piccola ma ben piantata. Le pareti, ancora intatte, erano state assemblate dal padre con tronchi di pino massiccio; col tempo si erano annerite, ma non crollavano. Il tetto, un po afflosciato verso est, era però a prova di pioggia. Solo il portico era ormai storto, un lavoro che da tempo lo aspettava ma a cui non trovava tempo né voglia di mettersi.

Aveva ormai circa ottantanni, ma non ha mai smesso di curare il suo orto, non per necessità ma per abitudine. Ogni mattina, appena i primi raggi accarezzavano i rami degli alberi di mele, usciva in giardino con una zappa o un annaffiatoio, a seconda del caso, e si dirigeva verso le aiuole. Patate, cipolle, carote, cetrioli tutto cresceva in file ordinate, come la voleva la sua defunta moglie Cinzia, che amava il ordine più di una nonna che sistema i ricordi sullo scaffale. La pensione bastava, i figli a tratti mandavano qualche euro, ma non poteva abbandonare la terra.

Aveva cresciuto i figli, vissuto una vita tranquilla, tutto come dovrebbe. Ora, nel silenzio del cortile vuoto, a volte si accorgeva che il terreno lo aspettava ogni mattina, fedele, immutabile, lultima compagna di chiacchiere.

I figli erano sparsi: il figlio a Milano, la figlia a Napoli. Si chiamavano Marco e Lucia e si vedevano solo una volta lanno, con telefonate rare. Cinzia, invece, non si era più svegliata unalba. Giaceva con gli occhi chiusi, come se dormisse, ma le labbra erano leggermente tarlate di blu. Allora anche Giovanni non capì subito.

Continuava a zappare le aiuole come se aspettasse che Cinzia uscisse di casa a chiamarlo: Giovanni, vieni a cena!. Talvolta, quando il vento agitava la tenda della cucina, gli sembrava di sentire la sua voce. Si girava era solo vuoto.

Nessuno lo chiamava. Solo i passeri cinguettavano sotto il tetto, e la vecchia gatta Mirtilla faceva le fusa ai suoi piedi.

Accanto, oltre il recinto di legno, viveva una famiglia giovane: Marco, Lucia e la loro figlia di cinque anni, Lia. La loro casa, anchessa antica, era dipinta di azzurro cielo, come se un pezzetto di cielo fosse caduto tra i verdi dei campi. Marco, alto, con gli occhiali spessi, era sempre impegnato a aggiustare qualcosa dal recinto al patio, dal tavolino alla griglia. Lucia, snella e veloce, passava dal cucito alla stiratura con la stessa rapidità. Lia era, in parole povere, una piccola tornado: capelli ricci, lentiggini a bizzeffe, due codini a spicchi, sempre in movimento, sempre curiosa.

Un giorno Lia, correndo dietro alle galline o strappando fiori nel giardino di Giovanni, si avvicinò al vecchio recinto e, sporgendosi, afferrò le margherite di Giovanni.

Nonno, posso prendere i tuoi fiori? esclamò, notandolo.

Giovanni, per un attimo, pensò di sgridarla quelle margherite le aveva piantate Cinzia ma poi vide gli occhi luminosi della bambina e alzò la mano.

Strappa pure, ma non sradicare la radice.

Lia annuì felice e cominciò a raccogliere i fiori con cura, evitando di schiacciare i petali. Giovanni la osservava, pensando che forse anche Cinzia da bambina fosse stata così viva, irrequieta, con le lentiggini sul naso.

La bambina si piegò, e uno dei codini cadde di lato. Lo raddrizzò con destrezza e continuò a raccogliere i fiori, bisbigliando tra sé:

Per la mamma per il papà e per me

Giovanni sorrise inaspettatamente.

E per me? chiese, quasi per scherzo.

Lia gli lanciò uno sguardo rotondo, poi scoppiò a ridere:

Tutti i fiori per te! Li hai coltivati! Io prenderò anche quelli per mamma e papà.

E gli porse un mazzo intero.

Giovanni prese le margherite, percependo quel profumo sottile, quasi etereo. Cinzia le metteva sempre in un vaso dacqua sul tavolo, accanto alla finestra.

Grazie mormorò.

Nonno, perché hai così tante fiori? non smetteva di chiedere Lia. Nel nostro cortile cè solo erba e due cespugli

La moglie li amava rispose semplicemente.

Dove è tua moglie?

Giovanni si fermò. Come spiegare a una bambina di cinque anni che è morta? Ma Lia, con la sua saggezza innocente, sembrava già aver capito. Si avvicinò e accarezzò delicatamente la sua mano.

È ora del cielo?

Sì sussurrò.

Anche la mia nonna è lì. Mamma dice che è diventata una stella.

Giovanni annuì, senza sapere cosa rispondere, ma Lia già guardava altrove.

Guarda, una farfalla!

E scappò via, dimenticando i fiori e i pensieri tristi.

Giovanni rimase lì, con il mazzo in mano, poi andò lentamente verso la casa. Trovò sullo scaffale un vecchio vaso impolverato, lo pulì, riempì dacqua e sistemò le margherite sul tavolo, come faceva Cinzia.

La sera, un bussare alla porta. Sulla soglia cera Lucia, con un piatto di torta in mano.

Buonasera, Giovanni! Abbiamo preparato una torta, volevamo offrirve si bloccò, notando le margherite sul tavolo.

Grazie rispose. Entra pure.

Lucia attraversò la soglia, posò la torta sul tavolo.

Lia ha portato i fiori oggi?

Sì. È una brava bambina.

Che birbetta sorrise Lucia, ma i suoi occhi brillavano. Ti sta dando fastidio?

No rispose lui sinceramente. A volte mi sento solo.

Lucia si sedette, come se le gambe non la reggessero più.

Allinizio avevamo paura che fosse troppo silenzioso qui. In città ci sono i vicini dietro il muro ma qui cè solo il vento tra gli alberi.

Ti abituerai disse Giovanni.

Fecero una breve pausa. Poi Lucia propose:

Ti va di venire a cena da noi domani? Marco farà gli spiedini.

Giovanni esitò era abituato alla sua solitudine, al suo silenzio. Ma ricordò le parole di Lia: Tutti i fiori per te!.

Ci sarò disse, sorprendente persino per sé.

Lucia sorrise e si alzò:

A domani, allora.

Quando se ne andò, Giovanni si avvicinò alla finestra. Dal cortile dei vicini brillava una luce, e attraverso la tenda vedeva Lia saltare in giro, le braccia alzate, mentre Marco le diceva qualcosa ridendo.

Sospirò e guardò le margherite nel vaso.

Cinzia sussurrò. Forse non sono più solo.

Il silenzio della casa non gli sembrò più così pesante.

Il mattino iniziò con un forte bussare alla porta. Giovanni, appena finito il suo caffè, gracchiò:

Chi è che ha il coraggio di suonare a questora?

Sulla soglia cera Lia, con enormi stivali di gomma da papà e gli occhi scintillanti.

Nonno, mamma ha detto che oggi vieni a pranzo da noi! Abbiamo già il legno per il fuoco! Andiamo!

Giovanni balbettò, ricordando linvito di ieri.

Ma era per cena

E papà sta già marinando la carne! lo interruppe la bambina, afferrandolo per il braccio. E mamma prepara un’altra torta! Hai promesso!

Giovanni guardò il suo vecchio gilet e le pantofole consumate.

Aspetta, nipotina, lasciami cambiarmi

Non serve! Lia lo trascinò via. Sei già perfetto così!

Dieci minuti dopo, Giovanni era seduto su una panchina nel cortile dei vicini, mentre Marco soffiava il carbone in un barbecue artigianale fatto con una vecchia botte. Il sole del mattino scaldava, ma sotto lombra di un grande melo cera fresco.

Giovanni, pensi che il carbone sia pronto? chiese Marco, asciugandosi la fronte.

Il vecchio si alzò, scricchiolando, guardò il fuoco e annuì:

Tra cinque minuti sarà al punto giusto. Lo vedi quel velo bianco?

Lucia portò un vassoio con carne marinata, il profumo di aglio e rosmarino riempiva laria.

Giovanni, sei il nostro esperto di grigliate. Mio marito non è molto culinario.

Marco voleva protestare, ma si limitò a un cenno rassegnato.

Così iniziò la giornata più strana degli ultimi cinque anni. Giovanni insegnò a Marco i segreti di una perfetta grigliata, mentre Lia gironzolava, cercando di aiutare e, spesso, di intralciare. Lucia sistemava i piatti, tagliava uninsalata di verdure fresche.

Seduti sotto lombra del melo, Giovanni realizzò che stava ridendo di una barzelletta di Marco un po sgraziata, non troppo brillante, ma così assurda da farci scoppiare a ridere. Lia, tutta macinata di ketchup, versava con dignità il succo di frutta dal vaso, rovesciandone mezzo fuori dal bicchiere.

Nonno, è vero che eri un tiratore di carri armati in guerra? chiese allimprovviso, gli occhi spalancati.

Il tavolo si zittì allimprovviso. Marco e Lucia si scambiarono unocchiata.

Lia! esclamò la madre.

No, rispose Giovanni, poi rise. Ero un ragazzino nella guerra, come te. Solo più affamato.

Raccontò di come, dopo la guerra, raccoglieva spighe nei campi del collettivo, di quella volta in cui trovò una patata gelata e pensò fosse il giorno più bello della sua vita. Lia ascoltava a bocca aperta; al termine della storia, si lanciò e lo abbracciò:

Ti darò tutta la mia patata! Tutta!

Tutti scoppiarono a ridere, e Giovanni sentì un caldo conforto diffondersi dentro di sé.

Verso sera, quando le prime stelle cominciarono a brillare, Giovanni tornò a casa. Marco lo accompagnò fino al cancello.

Grazie, Giovanni. Non sai quanto sia stato importante per Lia e per noi.

Il vecchio alzò la mano:

Dai, non è niente

No, sul serio. Siamo venuti qui per stare più vicini alle persone. E alla fine è stato proprio te a farci stare più vicini.

Giovanni lo interruppe:

Domani passa da me. Ti insegno a piantare le patate. Hai già lerba alta fino alle ginocchia.

Marco sorrise largo:

Verrò. Promesso.

Giovanni rimase a fissare la foto di Cinzia appesa al muro.

Vedi, sussurrò ti avevo temuto di scomparire senza di te

Dal finestrino si sentiva il frinire dei grilli e le risate di Lia, che correva nellaltra casa, ignara di quel giorno pieno di emozioni. Giovanni spense la luce, si sdraiò e, per la prima volta da molto tempo, non temette più il buio.

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