Don Ferdinando Ruiz usci sulla veranda, appoggiandosi al suo bastone di legno.

Ciao, ti racconto una storia che mi è capitata lestate scorsa, quasi come se la stessi narrando a voce, così ti sento più vicino.

Don Francesco Ruggieri uscì sulla veranda, appoggiandosi al suo bastone di legno. Laria profumava di fiori darancio e di mare. Dietro di lui cera la signora Ginevra, elegante con un gioiello raffinato al collo e quello sguardo freddo tipico di chi ha imparato a non mostrare il dolore.

Scusi, signore disse con voce ferma e gelida non distribuiamo elemosine. Se ha bisogno di aiuto, rivolgavi alla chiesa.

Luomo sulla sedia a rotelle alzò lentamente lo sguardo. I suoi occhi, profondi, stanchi ma gentili, incontrarono i suoi. Per un attimo Ginevra si bloccò; quel sguardo le pareva stranamente familiare.

Non vengo per i soldi, signora sussurrò volevo solo vederla. Una sola volta.

La domestica si affrettò a chiudere la porta, ma Ginevra alzò la mano.

Lascia entrare.

Il salotto odorava di cera e di caffè. Il pavimento di marmo brillava sotto le luci delle lampade.

Alessandro, che spingeva lentamente la sua sedia, sembrava muoversi come se ogni passo pesasse quanto una vita.

Hai servito nellesercito? chiese Don Francesco, con tono cupo o è stata una disgrazia?

Una disgrazia in cantiere rispose Alessandro con calma. Paralisi. Un vecchio pescatore mi trovò quando ero bambino. Non ricordavo nulla solo un nome inciso al mio braccialetto.

Ginevra si avvicinò un po, il suo tono tradì un leggero interesse.

E perché sei venuto qui?

Ho letto sui giornali una vecchia storia su un ragazzo scomparso. Il vostro figlio. Anchio avevo otto anni allora, nello stesso anno, nello stesso posto prese fiato forse il destino ha giocato con me.

Don Francesco lo guardò sospettoso.

Vuoi dire che sei nostro figlio? il suo tono divenne tagliente non è la prima volta che ci arrivano truffatori con queste storie.

Non cerco denaro, signore. Né riconoscimenti. Volevo solo capire se nel vostro cuore cè ancora posto per quel bambino.

Estrasse dalla tasca un piccolo mazzo e lo aprì. Dentro cera un braccialetto arrugginito, con inciso Alessandro.

Ginevra portò la mano alla bocca, gli occhi si riempirono di lacrime.

Non non può essere sussurrò. Lo abbiamo sepolto

Un feretro vuoto disse lui a bassa voce.

Don Francesco balzò su.

Basta! gridò. Via! Non sapete cosa ha passato questa famiglia! Non permetterò che riaprirete queste ferite!

Francesco cercò di fermarlo Ginevra.

No! sbatté il bastone sul pavimento.

Alessandro chinò la testa.

Scusi, ho sbagliato.

Girò la sedia e uscì lentamente. Solo il cigolio delle ruote echeggiava nella grande casa.

Nel cortile si fermò vicino alla fontana, tirò fuori una busta etichettata Per la signora Ginevra Ruggieri e la posò su una panchina di pietra.

Non si accorse che dalla finestra lo osservava una giovane donna Livia, la figlia di Ginevra.

Dopo che se ne andò, Ginevra aprì la busta.

Dentro cerano foto: la tragedia, la riva dove un tempo era stato scorto un piccolo sagoma sporca e spaventata, con un braccialetto al polso.

Cera anche un biglietto:

Non chiedo perdono. Non voglio nulla. Volevo solo farvi sapere che sono vivo. E che voi due eravate il mio unico sogno.

Ginevra pianse silenziosa.

Francesco bisbigliò. È lui. Riconosco quegli occhi.

Coincidenza lo interruppe. Non lascerò che questo uomo distrugga le nostre vite.

Che vita, Francesco, se è costruita su una bugia? rispose lei a bassa voce.

Due giorni dopo, Livia si recò ad Almerì (Almagro in spagnolo, ma noi possiamo dire “Almira”, una cittadina della Sicilia). Lo trovò al porto a riparare le reti. Lui non la guardò, ma disse:

Non dovevi venire.

Pensavi che non avrei riconosciuto mio fratello? rispose lei.

Alzò lo sguardo. Quegli occhi, come quelli della madre puri, forti, incrollabili.

Non volevo intralciare. Avete la vostra vita. Io sono solo uno straniero.

Livia si inginocchiò accanto alla sedia, prese la sua mano.

Siamo tutti forestieri finché non decidiamo di tornare a casa.

Alessandro non poté più trattenere le lacrime accumulatesi per anni; scivolarono sul suo volto.

Quando tornarono a Palermo, Ginevra li aspettava davanti al portone.

Francesco è in ospedale disse. Vuole vederti.

Nella stanza dospedale il padre di Livia era pallido e stanco. Non appena lo vide, tolse la maschera dossigeno.

Ero un codardo disse con voce rotta. Temevo che venissi per vendetta. Tu cercavi solo amore.

Alessandro gli strinse la mano.

Volevo solo tornare a casa.

Francesco sorrise, per la prima volta in anni.

Benvenuto, figlio mio.

Una settimana dopo, nella casa dei Ruggieri il riso tornò a riempire le stanze.

Dalla veranda si diffondeva ancora lodore di caffè e di mandorle tostate. Ginevra mise il braccialetto arrugginito in una cornice di vetro.

Nel giardino Alessandro restaurava una vecchia barca, portata da Almira.

Perché lhai presa? rise Livia.

Perché mi ricorda che il mare non porta via tutto. A volte restituisce, se hai pazienza.

Alla porta apparve Francesco, appoggiato al suo bastone.

La famiglia non è solo ciò che resta, disse piano. È ciò che non lasci andare.

Alessandro li guardò e annuì. Sapeva che il cammino era finito.

Quindici anni dopo, al tramonto, sussurrò una preghiera che sembrava un canto:

A casa finalmente a casa.

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Don Ferdinando Ruiz usci sulla veranda, appoggiandosi al suo bastone di legno.