La Notte Prima dell’Alba

La Notte Prima dell’Alba

Quando a Elena cominciarono le doglie, l’orologio segnava le tre meno un quarto. L’appartamento era avvolto in una penombra umida: fuori pioveva una pioggerellina fine, i lampioni disegnavano riflessi sfocati sull’asfalto. Marco si alzò dal divano prima di leinon aveva quasi dormito tutta la notte, si era agitato sulla sedia della cucina, controllando la borsa vicino alla porta o sbirciando dalla finestra. Elena giaceva su un fianco, premendo una mano sulla pancia e contando i secondi tra unondata di dolore e laltra: sette minuti, poi sei e mezzo. Cercava di ricordare la respirazione del videoinspirare dal naso, espirare dalla boccama le veniva a scatti.

«È arrivato il momento?» chiese Marco dal corridoio, la voce ovattata dalla porta della camera socchiusa.

«Sembra di sì» Si sedette con cautela sul bordo del letto e sentì il freddo del pavimento sotto i piedi scalzi. «Le doglie sono più ravvicinate.»

Si erano preparati per questo momento nellultimo mese: avevano comprato una grande borsa blu per lospedale, riempita con tutto ciò che serviva, seguendo la lista stampata dal sito. Passaporto, tessera sanitaria, cartella clinica, una camicia da notte di riserva, il caricabatterie e persino una barretta di cioccolato «per ogni evenienza». Ma ora anche quellordine sembrava fragile. Marco si affannava davanti allarmadio, rovistando tra le cartelle con i documenti.

«Il passaporto ce lho La tessera Eccola Dovè la cartella clinica? Lhai presa ieri?» Parlava veloce e sommesso, come se temesse di svegliare i vicini attraverso il muro.

Elena si alzò a fatica e andò in bagnodoveva almeno lavarsi il viso. Lì dentro odorava di sapone e di asciugamani appena umidi. Nello specchio la guardava una donna con occhiaie scure e capelli spettinati.

«Chiamiamo un taxi subito?» la chiamò Marco dal corridoio.

«Sì Ma controlla di nuovo la borsa»

Erano entrambi giovani: Elena ventisettenne, Marco poco più che trentenne. Lui lavorava come ingegnere progettista in una fabbrica locale, lei insegnava inglese alle scuole medie prima del congedo di maternità. Lappartamento era piccolo: cucina-soggiorno e una camera da letto con vista sul viale. Ogni cosa parlava di cambiamento: la culla già montata in un angolo, ma piena di pile di pannolini; accanto, una scatola di giocattoli regalati dagli amici.

Marco chiamò un taxi con lapplicona gialla apparve sullo schermo quasi subito.

«Lauto arriverà tra dieci minuti»

Cercava di parlare con calma, ma le dita tremavano sopra il telefono.

Elena infilò una felpa sopra la camicia da notte e cercò il caricabatterie: la batteria segnava il diciotto per cento. Infilò il cavo nella tasca della giacca insieme a un asciugamano per il visomagari sarebbe servito per strada.

Nellingresso si sentiva odore di scarpe e della giacca di Marco, ancora un po umida dopo la passeggiata della sera prima.

Mentre si preparavano, le doglie si facevano più intense e frequenti. Elena evitava di guardare lorologio: meglio contare i respiri e pensare alla strada davanti.

Uscirono nel portone cinque minuti prima dellorario stabilito: la luce fioca del corridoio illuminava appena lascensore, da cui saliva una corrente daria fredda. Scale sotto, laria era fresca; Elena si strinse nella giacca e serrò la cartella con i documenti.

Davanti al portone, laria era umida e pungente anche per maggio: gocce di pioggia scivolavano dalla tettoia, i rari passanti si affrettavano lungo il marciapiede, avvolti nei cappotti o col cappuccio tirato giù.

Le macchine nel cortile erano parcheggiate alla rinfusa; in lontananza, il rumore sordo di un motorecome se qualcuno lo stesse scaldando prima del turno di notte. Il taxi era già in ritardo di cinque minuti; il puntino sulla mappa avanzava lentamente: lautista evidentemente faceva giri inutili tra i cortili.

Marco controllava nervosamente il telefono ogni trenta secondi:

«Dice: Due minuti. Ma sta facendo un giro più lungo Forse cè un cantiere?»

Elena si appoggiò alla ringhiera e provò a rilassare le spalle. Allimprovviso ricordò la barretta di cioccolato: infilò una mano nella tasca laterale della borsa per assicurarsicera ancora. Una piccolezza, ma in quel trambusto era rassicurante.

Finalmente i fari sbucarono dallangolo del palazzo: una «Fiat» bianca rallentò davanti al portone e si fermò accanto alla scalinata. Lautista scese da soloun uomo sulla quarantina, con unaria stanca e una barbetta corta; aprì lo sportello posteriore e aiutò Elena a sistemarsi con la borsa.

«Buonanotte! Ospedale? Capito! Allacciate le cinture, per favore»

Parlava con tono vivace ma non troppo alto; i gesti erano precisi, senza fretta. Marco si sedette accanto a Elena dietro al conducente; lo sportello sbatté un po più forte del solitodentro lauto si sentiva aria fresca mescolata al caffè della tazza termica vicino al freno a mano.

Usciti dal cortile, si imbatterono subito in un ingorgo: più avanti, i lampeggianti di una ruspagli operai stavano rifacendo lasfalto di notte sotto i lampioni radi. Lautista alzò il volume del navigatore:

«Ecco Avevano promesso di finire a mezzanotte! Adesso giriamo per la stradina laterale»

In quel momento, Elena si ricordò della cartella clinica:

«Fermi! Lho dimenticata a casa! Senza quella non mi accettano!»

Marco impallidì:

«Vado subito! Non siamo lontani!»

Lautista guardò nello specchietto:

«Tranquilli! Quanto ci metterete? Aspetto qui quanto servecè tempo!»

Marco saltò fuori dallauto di corsa, gli schizzi dalle pozzanghere volavano ai lati mentre correva avanti e indietro. Tornò dopo quattro minuti, ansimantela cartella era con lui, insieme alle chiavi: le aveva lasciate nella serratura ed era dovuto risalire. In tutto quel tempo, lautista aveva guardato la strada in silenzio. Quando Marco risalì, annuì brevemente:

«Tutto a posto? Allora andiamo!»

Elena strinse i documenti al petto; unondata di dolore più forte delle precedenti la travolsecercò di respirare piano a denti stretti. Lauto avanzava lentamente lungo il tratto in riparazione; attraverso il vetro appannato si vedevano le insegne delle farmacie aperte tutta la notte e le sagome dei rari passanti sotto gli ombrelli.

Nellabitacolo regnava un silenzio teso: solo il navigatore suggeriva nuove deviazioni, e la ventola del riscaldamento scricchiolava piano.

Dopo qualche minuto, lautista ruppe il silenzio:

«Ho tre figli Il primo è nato di notte anche lui, ma allora siamo andati a piedi all

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