Il telefono squillò. Una voce fredda, quasi meccanica, mi disse: «La sua moglie ha avuto un incidente. Ma non è tutto». Sentii il sangue gelarsi nelle vene. Prima che potessi chiedere che cosa intendesse, la voce aggiunse: «Deve venire subito allospedale. È cosciente, ma cera con lei qualcun altro».
Uscii di corsa di casa in pantofole, con le chiavi in una mano e il cellulare nellaltra. Sulla prima strada trovai un taxi. Il conducente mi guardò come se avessi perso la ragione. Nella testa girava solo una cosa: chi era quella persona? Lorenzo, il mio marito, doveva tornare da una trasferta. Almeno così mi diceva.
Allospedale mi portarono al reparto accoglienza. Linfermiera mi fissò con quegli sguardi che si vedono nei film: compassione, imbarazzo e il desiderio di concludere al più presto la conversazione. «Il marito è stato investito in un incidente stradale. Nessuna frattura, ma ha riportato un trauma cranico. È in sala di osservazione. E la donna era con lui in macchina. È morta sul colpo».
Non capivo. Che donna? Unamica di lavoro? Una sconosciuta? Ma Lorenzo non si fermava mai per nessuno, non parlava con estranei, non faceva nulla senza motivo.
Entrai nella stanza. Era sdraiato con una fasciatura sulla fronte, il volto graffiato, sotto la flebo. Quando mi vide, gli occhi si volsero altrove. «Ciao», mormorò. E allora tutto dentro di me si spezzò. «Chi era quella?» chiesi. «Unamica del lavoro?». Lui rimase in silenzio, poi disse: «Non è il momento». Ma io lo sapevo già.
Il giorno dopo, quando lo dimisero per tornare a casa, mi rivelò la verità. «Era Annalisa. Ci frequentavamo da un anno. Doveva tornare da suo marito, ma voleva salutarmi. Lho accompagnata a casa, ho guidato troppo veloce, siamo usciti di strada». Parlò con la stessa calma con cui si descrive il tempo. Poi aggiunse: «Non volevo che te lo sapessi così».
Rientrai a casa con un vuoto dentro. Lappartamento era lo stesso: la tazza di caffè sul tavolo, le ciabatte di Lorenzo accanto al termosifone. Ma nulla era più come prima. Lorenzo cercava di far credere che tutto si sarebbe sistemato, che la vita sarebbe tornata alla normalità. Io non riuscivo più a dormire nello stesso letto, a respirare lo stesso aria.
Annalisa aveva trentanove anni e due figli. Lho scoperto su internet. Su un telegiornale locale il marito di Annalisa apparve sullo schermo, incapace di spiegare cosa fosse accaduto, dicendo che lei era felice e che stavano programmando una vacanza. Guardavo lo schermo e sentivo che avrei dovuto essere io a trovarmi lì, ignara di tutto.
Mi rinchiusi in me stesso. Non mangiavo, non rispondevo al telefono. La figlia venne a trovarmi e mi disse: «Mamma, devi fare qualcosa». Ma cosa? Mi tradiva, si era innamorato e, per caso, ha ucciso la donna che amava. E adesso?
Dopo due settimane Lorenzo ricominciò a parlare di «salvare il matrimonio». Ma non era più un dialogo tra due persone, era il monologo di un uomo senza via duscita. Non pianse per Annalisa, non la menzionò, come se volesse cancellarla dalla sua vita. Io mi sentivo come se una parte di me fosse morta, quella che gli aveva creduto.
Alla fine feci la valigia e andai da mia sorella. Le dissi solo: «Non so per quanto tempo, ma non voglio più essere lo sfondo delle sue bugie». Lorenzo rimase solo. Mi chiamò, mi scrisse, una volta mi portò anche dei fiori. Ma non ero più la stessa donna.





