In ritardo per il treno, tornò a casa senza preavviso e non riuscì a trattenere le lacrime.

**21 Ottobre**

Avevo perso il treno e se nera tornata a casa senza avvertire nessuno. Non riuscì a trattenere le lacrime.

Ritardataria, Chiara decise di rientrare senza chiamare. Appena varcata la porta, le lacrime scivolarono senza controllo. Il vento freddo di ottobre le sferzava in viso gocce taglienti di pioggia. Guardò il treno allontanarsi, e dentro di lei esplose un senso di vuoto. In ritardo. Per la prima volta in quindici anni di viaggi regolari verso casain ritardo. «Come in un brutto sogno», pensò, sistemando con un gesto automatico una ciocca di capelli sfuggita. La banchina era deserta e spettrale, solo i riflessi delle lampade gialle nelle pozzanghere creavano strani sentieri di luce.

«Il prossimo treno è solo domani mattina», annunciò la bigliettaia con indifferenza, senza neppure guardarla. «Vuole provare con lautobus?»

«Lautobus», Chiara aggrottò le sopracciglia. «Tre ore di strade dissestate? No, grazie.»

Nella borsa, il telefono vibròera la mamma. Chiara esitò un attimo, fissando lo schermo, ma non rispose. Perché preoccuparla? Meglio rientrare direttamente, tanto aveva sempre le chiavi con sé. Il taxi sfrecciava per le strade deserte, e la città oltre il finestrino sembrava un fondale teatralefinto, piatto.

Lautista borbottava qualcosa sul tempo e sul traffico, ma Chiara non ascoltava. Dentro di lei cresceva una strana sensazionené ansia, né gioia.

La vecchia casa la accolse con le finestre oscure. Salendo le scale, respirò a fondo gli odori dellinfanzia: patate al forno al terzo piano, detersivo per il bucato, il profumo del legno antico. Ma oggi, in quella sinfonia familiare, si era insinuata una nota stonata.

La chiave girò con difficoltà nella serratura, come se la porta opponesse resistenza. Nel corridoio, buio e silenzioi genitori dormivano già. Entrando nella sua stanza con cautela, accese la lampada da tavolo e si guardò attorno. Tutto come sempre: librerie, la scrivania di legno, lorsacchiotto di peluche sul lettouna reliquia dellinfanzia che la mamma non aveva mai voluto buttare. Ma qualcosa non era a posto. Qualcosa di impalpabile era cambiato.

Forse era il silenzio? Non il solito silenzio notturno, ma un altrodenso, pesante, come un preludio alla tempesta. Sembrava che la casa trattenesse il fiato, in attesa di qualcosa. Chiara tirò fuori il portatile dalla borsail lavoro non aspettava. Ma mentre cercava la presa, urtò per sbaglio una scatola. Cadde dalla mensola, spargendo il contenuto sul pavimento.

Lettere. Decine di buste ingiallite con francobolli sbiaditi. E una fotovecchia, con gli angoli piegati. Una giovane mammaancora quasi una ragazza!che rideva, appoggiata alla spalla di un uomo sconosciuto. La prima lacrima cadde sulla foto prima che Chiara capisse di stare piangendo.

Con mani tremanti, aprì la prima lettera. La scrittura era elegante, decisa, totalmente sconosciuta.

«Cara Valeria! So che non dovrei scriverti, ma non riesco più a tacere. Penso a te ogni giorno, a noi Perdonami, è terribile persino scriverloa nostra figlia. Come sta? È come te? Mi perdonerai mai per essere andato via?» Il cuore le batteva forte. Chiara afferrò unaltra lettera, poi unaltra ancora. Date1988, 1990, 1993 Tutta la sua infanzia, tutta la sua vita, scritta da una mano estranea.

«lho vista da lontano, davanti alla scuola. Così seria, con uno zaino più grande di lei. Non ho avuto il coraggio di avvicinarmi»

«quindici anni. Immagino che bellezza sia diventata. Valeria, forse è arrivato il momento?..»

Un nodo le serrò la gola. Chiara accese la lampada, e la luce gialla rivelò nellombra la foto sbiadita. Si concentrò sul volto di quelluomo con avidità. Fronte alta, occhi intelligenti, un sorriso un po ironico Dio, aveva il suo naso! E quel modo di inclinare la testa

«Chiara?», la voce sommessa della madre la fece sussultare. «Perché non mi hai avvertito che»

Valeria si bloccò sulla soglia, vedendo le lettere sparse per terra. Il colore le sfuggì dal volto.

«Mamma, cosè questo?», Chiara sollevò la foto. «Non dirmi che era solo un amico. Lo vedo lo sento»

La madre si sedette lentamente sul bordo del letto. Nella luce della lampada, si vedevano le sue mani tremare.

«Giacomo Giacomo De Luca», la voce era soffocata, come se venisse da unaltra stanza. «Credevo che questa storia fosse finita nel passato»

«Storia?», Chiara quasi urlò. «Mamma, è la mia vita! Perché hai taciuto? Perché lui perché tutti»

«Era necessario!», il dolore eruppe nella voce della madre. «Non capisci, allora era tutto diverso. I suoi genitori, i miei Non ci permisero di stare insieme.»

Un velo di silenzio calò sulla stanza. Un treno fischiò in lontananzalo stesso che Chiara aveva perso oggi. Caso? O il destino che aveva deciso fosse giunto il momento della verità?

Rimasero sveglie fino allalba. Fuori, il cielo si schiariva lentamente, mentre nella stanza aleggiava lodore di tè freddo e parole non dette.

«Era un insegnante di lettere», Valeria parlava piano, come se temesse di spaventare i ricordi. «Arrivò nella nostra scuola. Giovane, bello, recitava poesie a memoria Tutte le ragazze erano innamorate.»

Chiara osservò la madre e non la riconobbe. Dovera finita la sua eterna compostezza? Davanti a lei sedeva unaltra donnagiovane, innamorata, con gli occhi che brillavano.

«E poi», la madre serrò i denti. «Poi scoprii di essere incinta. Non immagini il caos che seguì! I suoi genitori parlavano di unavventura provinciale, i miei di vergogna»

«E vi arrendeste?», Chiara non riuscì a trattenere lamarezza.

«Lo trasferirono. Senza discutere. Un mese dopo, mi presentarono tuo», esitò, «tuo padre adottivo. Un uomo buono, affidabile»

«Affidabile», leco rimbalzò nella mente di Chiara. «Come un vecchio divano. Come un armadio. Come tutto in questo appartamento.»

«Ma le lettere perché le hai conservate?»

«Non potevo buttarle!», per la prima volta quella notte, il dolore vero affiorò nella voce della madre. «Era tutto ciò che mi restava di lui. Scriveva ogni mese, poi sempre più raramente Ma scriveva.»

Chiara prese lultima lettera. Tre anni prima.

«Cara Valeria! Mi sono trasferito a Monteverde, in via dei Cipressi. Forse un giorno Tuo per sempre, G.»

«Monteverde», pronunciò lentamente Chiara. «È a due ore da qui.»

La madre impallidì:

«Non pensarci nemmeno! Chiara, non rivangare il passato»

«Passato?»,

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