Quarantanni erano passati, eppure il suo volto rimaneva impresso nella mia mente. Decisi di rintracciarlo.
Lo trovai dopo quattro decenni, per caso, tra una ricetta di torta di mele e una pubblicità di crema antirughe. Il nome, la foto: capelli dargento, occhiali, un sorriso che riconobbi al volo.
Rimasi sospesa a metà del cammino. Il cuore accelerò, come se il corpo ricordasse qualcosa che la ragione non osava ancora nominare. Cliccai. Era un profilo dartista, una piccola galleria nel cuore di Trastevere, foto di quadri paesaggi, antiche porte, una donna alla finestra. Sotto uno, la scritta: Lautunno ricorda più dellestate.
Lo capii subito. Luca. Il mio Luca di quegli anni, luomo che avevo amato silenziosamente per tutta la scuola superiore e oltre. Dopo la maturità partì, io rimasi.
Le sue strade presero un itinerario diverso: matrimonio, figli, divorzio, lunghi silenzi e routine. Ma quel sentimento non si spense mai davvero; si nascose, come una lettera dimenticata in un cassetto.
Senza pensare, gli scrissi:
Non so se ti ricordi di me. Io invece ti ricordo. Se ti va, prendiamoci un tè; sarò a Firenze.
Lo rispose lo stesso giorno:
Ti ricordo. Il tè lo bevo sempre alle quattro. Lindirizzo lo trovi sul sito.
Comprai il biglietto, una valigia piccola, un maglione caldo e la vecchia lettera mai inviata. Nel treno gli alberi scivolavano accanto a noi dorati, rossi, coperti di brina e sentii il tempo tornare indietro, come se avessi di nuovo diciotto anni.
Scesi alla stazione di Firenze e, per la prima volta da tempo, percepii che stava accadendo qualcosa di veramente importante. Non ne conoscevo il senso, ma non volevo perderlo.
Il suo studio si trovava in una viuzza di Oltrarno. Scale strette, porte pesanti con una finestrina di vetro, sopra uninsegna di ottone: L. B. Studio dArte. Il cuore batté più forte quando bussai. Un attimo di silenzio, poi udii la voce familiare:
Aperto.
Entrai. Lambiente era diverso da come lo immaginavo, eppure perfetto: odore di trementina, penombra, luce diurna che filtrava da unaltezza, tele appoggiate ai muri, un vassoio di pennelli, una tazzina di caffè a metà. Luca era al cavalletto, girò lentamente, come se sapesse che stavo entrando. Sorrise non largo, ma con gli occhi.
Non sei cambiata disse, sebbene non fosse vero. Il suo tono, però, era sincero.
Nemmeno tu replicai.
Mi fece accomodare su una poltrona vellutata, mise acqua per il tè. Parlammo. Allinizio di nulla: treni, ingorghi, il fascino di Firenze in autunno. Poi di tutto: come erano stati quegli anni per lui, della mia vita, delle perdite, della solitudine che si sente anche in mezzo alla folla.
Sul tavolo profumava pane appena sfornato. Nelle tazze fuoriusciva una tisana alle bacche di ginepro. La luce dorata entrava dalla finestra. Il silenzio era tale che sentivo solo il mio respiro.
Pensi a quellestate? chiese improvvisamente.
Sempre risposi, prima ancora di capire la domanda.
Per due giorni siamo stati inseparabili. Passeggiammo nei Giardini di Boboli, mangiammo panini al mercato di San Lorenzo, ridendo di ricordi che solo chi ha assaporato una bottiglia di aranciata di vetro sa capire.
Non chiese quanto tempo sarei rimasta. Io non dissi quando partivo. Era una bolla fragile, silenziosa, splendida. Straordinariamente reale.
Il terzo mattino confeziai la valigia e la posai accanto alla porta. Luca mi porse una tazza di tè e disse:
Non tornare ancora.
Ma io ho impegni, casa
Scosse la testa.
Lì tutto aspetta. Qui qui aspetta chi non vuole più perderti.
Guardai fuori, verso gli alberi autunnali, e pensai: forse stavolta dovrei essere io a restare.
Non salii sul treno. La borsa rimase alla porta, io alla finestra, con la tazza in mano, nella sua poltrona, nel suo mondo. Per un attimo provai vergogna, come avessi fatto qualcosa di avventato, ma il sentimento svanì più veloce di quanto fosse nato.
Rimasi un giorno, poi un altro, e poi persi il conto.
Nel suo studio il tempo scorreva diversamente. Lo aiutavo a ordinare le vernici, a pulire le cornici, gli leggevo ad alta voce mentre schizzava. Scoprii che si può vivere semplice, leggero, senza smontare ogni cosa in parti.
Di sera camminavamo per il centro storico. Tra la gente, ma come se fossimo soli. Nessuno ci guardava stranamente; forse perché sembrava naturale, o forse perché a nessuno importava letà, che fossero trentanni o sessantanni.
Un giorno trovai sul tavolo un piccolo schizzo: io, seduta alla finestra, persa nella luce. Scritto sopra: Autunno che è tornato. Non dissi nulla. Solo toccai la carta con le dita e sorrisi silenziosamente.
Non so se sarà per sempre. Non pianifico, non chiedo. Basta quel singolo istante qualcuno che ha detto: Resta e io lho davvero udito.
Quarantanni ho atteso quella decisione. Ora non voglio più aspettare.





