Mi sono innamorata dopo i sessant’anni. E mia figlia dice che si vergogna di me.

Mi chiamo Marco e, a sessantun anni, ho visto mia moglie, Margherita, innamorarsi di nuovo. La nostra figlia, Fiorenza, ha reagito con una mescolanza di incredulità e imbarazzo.

Mamma, sei impazzita! ha scoppiato Fiorenza, fissandomi come se fossi una pazza. Ti innamori a questetà?!

Io ero in cucina, con una tazza di caffè appena preparato, e non riuscivo a credere a quello che sentivo. Non era la sorpresa a colpirmi, ma la durezza con cui mi parlava.

Non capisco ho iniziato a parlare con calma. Sei adulta, hai già un marito, dei figli. Pensavo ti facesse piacere sapere che non sono più sola.

Mi faccia piacere?! ha sbottato. Vuoi andare a fare appuntamenti, tenerti per mano per strada, forse persino trascorrere la notte con un uomo?! Mamma, sei una nonna! Non una ragazzina di TikTok!

Quelle parole mi hanno ferito più di quanto avrei immaginato.

Non avevo immaginato questa conversazione. Pensavo di offrirle una fetta di torta, sederci come due donne adulte, e raccontarle che da qualche mese frequentavo Edoardo, un vedovo gentile, dal cuore caldo, con cui andiamo al cinema, facciamo passeggiate e, a volte, semplicemente beviamo un caffè e chiacchieriamo di tutto.

Invece di sostegno, ho sentito solo vergogna e condanna.

I nipoti si chiedono perché la nonna si comporta così. Gli amici si chiedono che cosa ti succede.

Forse ho semplicemente ricominciato a vivere? ho chiesto, senza riconoscere la mia voce.

A questetà?! ha sibilato. Controllati.

E io mi sono chiesto una sola cosa: davvero merito questa vergogna solo perché ho avuto il coraggio di amare di nuovo?

Per giorni sono stata unombra nella nostra casa. Continuavo a innaffiare le piante, a preparare il brodo, a leggere, ma nulla aveva più lo stesso sapore. Le parole di Fiorenza riecheggiavano nella mia testa: «Una nonna non dovrebbe innamorarsi. È imbarazzante».

Eppure non facevo nulla di sbagliato. Non tolgliavo il posto a nessuno, non dimenticavo i nipoti, non abbandonavo i miei doveri. Avevo solo, per la prima volta in anni, sentito di essere vista, non più solo mamma, non più solo nonna, non più «signora Margherita del piano terra». Ero una donna di carne e ossa.

Ho incontrato Edoardo per caso, nella biblioteca di Trastevere, quando ha raccolto il libro che avevo lasciato cadere. Ha sorriso e ha detto: «A volte il destino è più preciso di Amazon». Mi ha fatto ridere. Da lì è partito un dialogo sui libri, che si è trasformato in un caffè in una piccola pasticceria del centro.

Non è stato amore a primo sguardo. Prima cè stata la curiosità, poi il calore, poi quel tremolio strano che non provavo da tempo, come se qualcosa avesse di nuovo un senso. Come se valesse la pena uscire di casa.

Fiorenza sosteneva che avessi perso la testa, che dovessi dedicarmi ai nipoti, al ricamo o al giardino. Ma davvero essere nonna deve significare rinunciare a sé stessa, alle emozioni, al contatto, al tatto?

Edoardo non ha mai forzato nulla. Quando gli ho raccontato della lite con Fiorenza, mi ha stretto la mano e ha detto:
Non voglio intralciare il tuo rapporto con la famiglia. Se senti che devo sparire, lo capirò.

Guardando le sue rughe, i suoi occhi calmi e accoglienti, ho pensato: perché il mondo non ci permette di amare quando finalmente capiamo cosa sia lamore?

Non gli ho risposto subito. Gli ho chiesto qualche giorno di riflessione. Volevo prendere le distanze, ma ogni giorno cresceva dentro di me una sensazione nuova: non era nostalgia, non era rabbia, era orgoglio. Orgoglio di poter amare, nonostante la morte di mio marito, gli anni solitari, le aspettative di tutti. E non volevo più rinunciare a questo.

Amo i miei nipoti. Amo la mia figlia. Ma non ho vissuto sessantuno anni per chiudermi tra quattro mura e aspettare che qualcuno mi dia il permesso di sentire.

Domani è domenica, ho invitato Fiorenza a pranzo. È arrivata con i bambini, puntuale come sempre, con una tensione sul volto e una freddezza nella voce. Da quella discussione in cucina non avevamo più parlato. I nipoti correvano per lappartamento, noi eravamo sedute al tavolo in silenzio, ognuna persa nel proprio piatto.

Solo al dessert ho detto, con calma:
Sto frequentando Edoardo. Ancora. E non ho intenzione di nasconderlo.

Fiorenza mi ha guardato incredula.
Allora continui a farlo, nonostante tutto?

Sì ho risposto. Perché, dopo tanto tempo, mi sento davvero felice.

E che diranno gli altri? Gli amici, i vicini, i ragazzi?

Forse diranno la stessa cosa che dico io, vedendo una madre che ha finalmente smesso di temere la vita.

È rimasta in silenzio. Non si aspettava che rispondessi senza esitazioni.

Mi vergogno di te, mamma ha sussurrato. Non è così che immaginavo la mia vecchia.

Anchio non immaginavo una vecchia che non potesse amare ho replicato.

È uscita più presto del solito, senza litigi, senza lacrime, con lo stesso freddo con cui era arrivata.

La sera, ho fatto una passeggiata con Edoardo. Mi teneva per mano. Passavamo davanti alle case dei vicini, qualcuno ci guardava, qualcun altro sorrise, altri distolsero lo sguardo. Per la prima volta, non mi importava più.

Perché se lamore arriva dopo i sessantanni, non è per farci sentire vergognosi, ma per farci finalmente apprezzarlo.

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