Ecco la storia adattata alla cultura italiana:
Quando il marito, su consiglio della madre, portò la moglie malata in un posto remoto… Un anno dopo tornò per il suo denaro.
Valentina aveva solo ventidue anni quando sposò Alessandro. Era giovane, luminosa, con grandi occhi pieni di sogni: una casa dove lodore della torta appena sfornata riempiva laria, risate di bambini, tutto avvolto in calore. Credeva che fosse il suo destino. Lui era più anziano, riservato, di poche parole ma in quel silenzio, lei trovava sicurezza. Almeno, così credeva allora.
La suocera la guardò con diffidenza fin dal primo giorno. Il suo sguardo diceva tutto: “Tu non sei degna di mio figlio.” Valentina fece di tutto puliva, cucinava, si adattava. Ma non bastava mai. A volte il minestrone era troppo liquido, altre volte stendeva i panni nel modo sbagliato, o semplicemente guardava il marito con troppo amore. Ogni cosa irritava la suocera.
Alessandro taceva. Era cresciuto in una famiglia dove la parola della madre era sacra. Non osava contraddirla, e Valentina sopportava. Anche quando si sentiva debole, quando perdeva lappetito, quando alzarsi dal letto diventava una fatica attribuiva tutto alla stanchezza. Non avrebbe mai immaginato che dentro di lei si nascondesse qualcosa di più oscuro.
La diagnosi arrivò allimprovviso. Stadio avanzato. Inoperabile. I medici scuotevano solo la testa. Quella notte, Valentina pianse nel cuscino, nascondendo il dolore al marito. Al mattino sorrise di nuovo, stiro le camicie, preparò il pranzo, ascoltò i commenti acidi della suocera. E Alessandro si allontanò sempre di più. Non incrociava più il suo sguardo, la sua voce si fece fredda.
Un giorno, la suocera entrò nella sua stanza e sussurrò:
“Sei ancora giovane, hai tutta la vita davanti. Lei è solo un peso. Che senso ha? Portala in campagna, da zia Giulia. Lì cè silenzio, nessuno ti giudicherà. Potrai riposarti. Poi ricomincerai.”
Il marito non rispose. Ma il giorno dopo, in silenzio, preparò le valigie di Valentina, la aiutò a salire in macchina e partirono verso la campagna dove le strade finiscono e il tempo scorre più lento.
Per tutto il viaggio, Valentina tacque. Nessuna domanda, nessuna lacrima. Sapeva la verità: non era la malattia a ucciderla, ma il tradimento. La loro famiglia, lamore, le speranze tutto era crollato nel momento in cui lui aveva acceso il motore.
“Qui avrai pace,” disse il marito, scaricando i bagagli. “Sarà più facile così.”
“Tornerai?” sussurrò lei.
Non rispose. Solo un breve cenno del capo, poi partì.
Le donne del paese ogni tanto le portavano da mangiare, zia Giulia passava a controllare se fosse ancora viva. Valentina rimase a letto per settimane. Poi mesi. Guardava il soffitto, ascoltava la pioggia sul tetto, osservava dal finestrino gli alberi piegarsi al vento.
Ma la morte non aveva fretta.
Passarono tre mesi. Poi sei. Un giorno arrivò un giovane infermiere nel paese. Un ragazzo gentile, dagli occhi caldi. Cominciò a farle visita, le somministrava flebo, le dava medicine. Valentina non chiese aiuto semplicemente, smise di voler morire.
E accadde il miracolo. Prima a piccoli passi si alzò dal letto. Poi uscì sulla veranda. Più tardi raggiunse il negozio. La gente si stupiva:
“Ti stai riprendendo, Valentina?”
“Non lo so,” rispondeva. “Voglio solo vivere.”
Passò un anno. Un giorno arrivò una macchina al paese. Ne scese Alessandro. Grigio, teso, con dei documenti in mano. Prima parlò con i vicini, poi si avvicinò alla casa.
Sulla veranda, avvolta in una coperta con una tazza di tè tra le mani, cera Valentina. Con le guance rosse, viva, gli occhi limpidi. Alessandro rimase di pietra.
“Tu… sei viva?”
Lei lo fissò con calma.
“Ti aspettavi altro?”
“Credevo che tu…”
“Fossi morta?” completò lei. “Quasi. Ma era quello che volevi, no?”
Alessandro tacque. Quel silenzio diceva più di mille parole.
“Volevo davvero morire. In quella casa dove il tetto perdeva, dove le mie mani si ghiacciavano, dove nessuno era con me lì volevo davvero finirla. Ma qualcuno veniva ogni sera. Qualcuno che non aveva paura della neve, che non chiedeva gratitudine. Faceva semplicemente il suo dovere. Tu invece mi hai abbandonata. Non perché non potessi restare ma perché non volevi.”
“Ero confuso,” mormorò lui. “Mia madre…”
“Tua madre non ti salverà, Alessandro,” la voce di Valentina era dolce ma ferma. “Né davanti a Dio, né davanti a te stesso. Prendi i tuoi documenti. Non mi hai lasciato nulla in eredità. La casa lho donata alluomo che mi ha salvata. Tu… tu mi hai sepolta viva.”
Alessandro rimase a testa bassa, poi tornò alla macchina senza una parola.
Zia Giulia lo guardò dalla soglia.
“Vattene, figliolo. E non tornare più.”
Quella sera, Valentina sedette alla finestra. Fuori, silenzio. Dentro, pace. Pensò a quanto fosse strano il destino: a volte non è la malattia a ucciderti, ma la solitudine. E non è la medicina a guarirti, ma un gesto umano, una parola gentile, qualcuno che si prende cura di te anche quando non lo chiedi.
Una settimana dopo la partenza di Alessandro. Se ne andò senza dire nulla. Valentina non pianse. Era come se qualcosa dentro di lei si fosse spezzato quella piccola fiamma di amore per lui che ancora resisteva. Ora cera solo silenzio, come dopo una tempesta: tutto calmo, ma con leco del vento ancora nellaria. Continuò a vivere, lasciandosi il passato alle spalle lamore, il matrimonio, il tradimento.
Ma il destino aveva altri piani.
Un giorno uno sconosciuto si fermò sulla veranda giacca nera, valigetta logora in mano. Non era linfermiere, ma un notaio del capoluogo. Chiese se quella era la casa di Valentina Rossi.
“Sono io,” rispose cauta.
Il notaio le porse una cartella con dei documenti.
“Lei… è beneficiaria di un testamento. Suo padre è deceduto. Secondo i documenti, è lunica erede di un appartamento in città e di un conto bancario. Una cifra considerevole.”
Valentina impietrì. Un pensiero le attraversò la mente: “Io non ho un padre.” Luomo che se nera andato quando lei aveva tre anni non era mai stato presente. E ora… le lasciava tutto?
“Ma legalmente è registrato come suo padre,” aggiunse il notaio.
Quel giorno passò confuso. Per la prima volta dopo un anno, Valentina prese il telefono e chiamò la sua vecchia amica Sofia, ancora in città.
“Valentina?! Sei… viva? Credevamo… Alessandro ci aveva detto che eri morta! Aveva perfino organizzato un funerale!”
Il cuore di Valentina sembrò fermarsi.
“Un funerale?”
“Sì. Lui lo organizzò. Disse che eri morta tra atroci sofferenze. Un mese dopo vendette il vostro appartamento. Disse che non poteva più vivere lì.”




