La ragazza scalza vendeva fiori davanti al ristorante

Ero in ritardo. Ancora in ritardo per lincontro con la direttrice del ristorante dove, tra un mese, doveva svolgersi il mio matrimonio. Il banchetto per cento ospiti, il menù da approvare oggi, la degustazione, le composizioni floreali, la disposizione dei tavoli: tutto dipendeva da quella visita. Ma ero bloccata nel traffico della serata di punta, guardando la fila infinita di fari rossi davanti a me. Ogni minuto che passava pulsava nella testa come un tamburo impazzito.

Sofia DAmico, trentasette anni, titolare di una catena di cinque saloni di bellezza di lusso Incanto. Donna daffari, fredda e decisa, che sapeva sempre cosa volesse dal lavoro, dai dipendenti, dalla vita. Solo lamore le era sfuggito. Dieci anni aveva dedicato anima e corpo a costruire il suo impero di bellezza, senza tempo per un uomo, per sentimenti sinceri, per una famiglia. Il suo cuore era vuoto finché non arrivò lui. Alessandro. Ideale, cortese, dal gusto impeccabile e con un curriculum altrettanto perfetto. Sembrava che il destino le avesse finalmente concesso una possibilità di felicità.

Con una mossa brusca trovai una strada alternativa e, in quindici minuti, mi fermai davanti allimponente ingresso del Ristorante La Stella. Il cuore batteva allimpazzata, nella mente correva una lista di domande per la direttrice. E quasi la colpii. Una bambina, forse dieci anni, scalza, con un vestito logoro buco in più, con una gigantesca mazza di rose quasi appassite nelle mani magre. Lodore di polvere e desolazione lavvolgeva.

Per favore, mi può comprare dei fiori sussurrò con voce flebile ma insistente, porgendomi una rosa il petalo già cadente.

No, cara, non adesso tentai di scivolare via, ma lei, più agile di quanto sembrasse, mi bloccò nuovamente. I suoi occhi grandi, troppo adulti per una bambina, erano pieni di una preghiera disperata.

Per favore, davvero, è lultima macchia strinse i fiori al petto, quasi in lacrime.

«Dio, non ho più tempo!» ronzò nella mia testa.
Bambina, non capisci che non ho tempo. E poi, i fiori dovrebbero regalarli gli uomini, non comprarli a una strada dissi più dura di quanto volessi.

Stavo quasi entrando nelle porte girevoli quando la sua voce, improvvisamente ferma, mi trapassò come una freccia gelata:

Non sposare quel tipo.

Rimasi immobile, come colpita da una scossa elettrica. Mi voltai lentamente, le orecchie ronzavano.

Cosa? Che hai detto?

La bambina mi fissò senza battere ciglio. I suoi occhi penetranti mi scrutavano fino al midollo.

Non sposare Alessandro. Ti sta ingannando.

Il suo avvertimento mi fece correre brividi freddi lungo la schiena. Laria si fece densa, opprimente.

Come fai a sapere il nome del mio futuro sposo? balbettai.

Ho visto tutto. È con unaltra. Spendono soldi insieme. I vostri soldi. Ha una macchina bianca come la tua, con il medesimo ammaccamento sullala sinistra.

Il mondo si ridusse a quel punto. Sì, avevo graffiato lala del mio bolide lo scorso mese, urtandolo contro un palo nel parcheggio sotterraneo. Non lavevo mai detto a nessuno, né tantomeno fatto riparare. Come poteva saperlo?

Hai…mi spiato? ansiai.

Lo segue corresse, senza esitazione Lo segue. Ha ucciso mia madre. Non con le mani, ma la sua ombra lha annientata. Il suo cuore si è spezzato per il dolore.

Qualcosa dentro di me si spezzò. Mi inginocchiai, scendendo al suo livello, vedendo ogni lentiggine sul suo viso pallido, le tracce di sporco sulle guance, le gambe sottili graffiate da rami.

Raccontami, per favore, con calma. Chi era tua madre? chiesi, cercando di mantenere la voce dolce.

Cera corse la bambina, la voce colma di un dolore che non era più da bambina. Si chiamava Irene. Gestiva un grande negozio di fiori, profumato come il paradiso. Poi arrivò Massimo, così si presentò. Le regalò un mazzo enorme, la visitava ogni giorno, le pronunciava parole dolci che lavvolgevano. Irene si innamorò, come una bambina.

«Massimo?», mi chiesi, mentre il nome di Alessandro mi rimbombava nella mente.

Hai sbagliato? le domandai, incerta.

No scosse la testa, i ricci ondeggiarono. È lo stesso. Ha una cicatrice sulla mano destra, proprio qui tracciò una linea sul suo polso e indossa sempre un completo grigio, con una cravatta di seta color ciliegia. Tu gliela hai regalata per il suo compleanno, lha sfoggiata al telefono con la madre, che poi ha pianto.

Il ricordo di quella cravatta mi assalì. Lavevo comprata a Milano un mese prima, era il suo talismano. Il sangue mi si fermò nelle vene.

Continua, ti prego.

Irene ha investito tutti i suoi risparmi nel business di lui. Ha detto che apriva una catena di ristoranti, proprio qui indicò il La Stella. Ha venduto il negozio, i fiori, i sogni, trecentomila euro. Lui le promise il matrimonio, il mare, poi sparì. Irene ha scritto, telefonato, non ha mai ricevuto risposta. Ha pianto ogni giorno, ha smesso di mangiare, di dormire, è rimasta a guardare fuori dalla finestra. Due mesi dopo il suo cuore si è fermato per lo stress.

Trecentomila euro. Io avevo investito quattrocentomila euro nello stesso business, per lapertura del ristorante che lui tanto desiderava.

Come fai a sapere che è lo stesso uomo? sussurrai, temendo la risposta.

La bambina non distolse lo sguardo, aprì il suo vestito e tirò fuori una foto sgranata. Un uomo e una donna abbracciati in un parco. Guardai e il cuore cadde in un abisso. Alessandro, senza la barba ricrescita, con i capelli più corti, era esattamente quello della foto.

Dove lhai presa? tremai.

Era lunica foto che la madre aveva. Lho trovata due settimane dopo il funerale. Lho vista per strada, volevo avvicinarmi, ma ho avuto paura. Ho iniziato a seguirlo. Lho visto arrivare a casa tua, uscire per incontrarlo, baciarlo. Ho pensato di avvertirti, per non rivivere ciò che è capitato a mia madre.

Guardai la piccola ragazza scalza, i piedi sporchi, il mazzo di rose, e sentii la verità più amara e pura.

Come ti chiami? chiesi, lacqua agli occhi.

Ginevra.

Hai fame?

Annui, e quel gesto racchiudeva tutto il suo dolore.

Vieni con me. Prima mangia, poi raccontami tutto dallinizio. Tutto quello che ricordi.

Il direttore del ristorante, un signor impeccabile in un completo perfetto, mi accolse con un sorriso smagliante, ma il suo volto si contorse quando vide Ginevra al mio fianco.

Signora DAmico, è… con una bambina? il suo tono tradiva sorpresa e un accenno di giudizio.

Sì. Sistemateci un tavolo, il più silenzioso, e il menù, subito. replicai, senza sparecchiare ulteriori discussioni.

Ordinai per Ginevra tutto il dessert e un risotto al tartufo, un filetto di manzo con verdure. Mangiava con insistenza, ma con una cura innata, quasi a voler mantenere una certa buona educazione, come le aveva insegnato sua madre. Ogni boccone la masticava lentamente, come se fosse un rito sacro. Mi vergognai per la mia brusca rudezza.

Dove abiti adesso, Ginevra? chiesi, quando fece una pausa.

In un orfanotrofio, Raggio di Sole. Temporaneo, finché non trovano una famiglia adottiva o un posto in un istituto.

Un orfanotrofio. Dio, aveva solo dieci anni e già doveva affrontare un mondo spietato, senza madre, senza casa, con un peso di perdita impossibile da sopportare per un adulto.

Raccontami di tua madre. Di questo Massimo. Tutto quello che ricordi.

Ginevra depose il cucchiaio, pose le mani sulle ginocchia e iniziò il suo racconto, freddo e privo di lacrime, come se leggesse un verbale. Quella calma era più spaventosa di qualsiasi isteria; era la calma di chi ha già pianto tutto.

Irene era una fiorista di successo, con un boutique che forniva fiori a tutta la città, clienti corporate importanti. Donna sola, bella, forte, che allevava da sola la figlia, desiderosa di un braccio maschile. Incontrò Massimo, un uomo cortese, attento, con grandi sogni di aprire una catena di ristoranti di lusso, ma senza capitale iniziale. Promise ritorni, investimenti, matrimonio.

La storia era identica alla mia, tranne che io avevo cinque saloni, immobili più consistenti.

Dopo che è sparito tua madre ha denunciato? chiesi, già sapendo la risposta.

Sì, ma le dissero che non era truffa, solo un investimento fallito. Nessun reato, nessuna prova. Ha scritto messaggi, le spunte erano blu, ma nessuna risposta. Lo ha visto morire di stress.

Hai visto la sua spesa con unaltra donna? insistetti.

Ieri, al centro commerciale Galleria Vittorio. Le ha comprato una pelliccia di visone, rideva, lo baciava. Ha pagato con la carta doro, la mia. Avevo dato a lui la carta per spese minori. Mi fidavo, ciecamente.

Potresti mostrarmi quella donna se la rivedi? la voce era tremante.

Annui fermamente.

È alta, come te, capelli biondi lunghi, profumo dolce di fiori.

Finito il pranzo, riportai Ginevra allorfanotrofio, un edificio di mattoni grigi ai margini della città, e tornai al mio appartamento, quello che avevo comprato con i miei soldi prima di incontrare Alessandro.

Lui era lì, sul divano, con le mie pantofole, guardava un film sul laptop. Mi sorrise con quel sorriso hollywoodiano quando entrai.

Ciao, tesoro. Hai approvato il menù? si alzò, mi abbracciò, il suo alito aveva lodore di menta e caffè.

Rimasi immobile per un attimo, poi lo strinsi mezza forza, poi più mezza. Lodore familiare mi faceva vomitare.

Sì, tutto è pronto. Il matrimonio è tra un mese. sputai, forzata.

Non vedo lora, mormorò, strofinandomi i capelli. Il suo sguardo, prima dolce, divenne freddo, come ghiaccio frantumato.

Quella notte, quando il suo respiro si stabilizzò, mi avvicinai al suo laptop. La password era 777777, come lui stesso diceva, non dobbiamo avere segreti. Aprii la sua posta. Una marea di messaggi ordinati in cartelle: cinque donne, le stesse parole damore, richieste di denaro: sei la mia unica, sole mio, sogno il nostro futuro. Ogni donna doveva inviare soldi per startup, difficoltà temporanee, partner che ti hanno tradito.

Foto di lui con donne diverse, in città diverse, baci, abbracci, sorrisi finti. Poi un file Conti. Tabella ordinata: nome, importo, stato. Sofia 40.000 , Lucia 20.000 , Elena 15.000 , Irene 30.000 , Olga 8.000 . Totale 113.000 .

Un piano di affari ben costruito, basato su cuori ingenui.

Chiusi il laptop, mi sdraiai accanto a lui, fissando il soffitto. Dormi, bugiardo. Dormi tranquillo. Questa sarà lultima notte di pace per te.

Il giorno dopo recitai il copione perfetto: colazione, bacio daddio, sorriso dolce al suo Ti amo. Quando la porta si chiuse dietro di lui, attivai la vendetta fredda e calcolata.

Il primo passo fu un investigatore privato, un vecchio lupo di strada, a cui consegnai tutto. Rintracciò le donne, le convocò con una scusa plausibile. Ogni vittima raccontò la stessa storia: fiori, cene, promesse di paradiso, richieste di aiuti, sparizioni improvvise.

Signora DAmico, è un classico caso di cavaliere di carta. Un truffatore di alto livello. Sceglie donne sole, di successo, affamate damore, le inganna con un copione, le porta a investire milioni e poi scompare.

Ma con me non è sparito, replicai. Doveva sposarmi.

Perché sei il suo primo premio, affermò linvestigatore. Cinque saloni, immobiliare di valore. Probabilmente voleva farti firmare un vendere o prendere un mutuo enorme, poi scappare con i soldi.

Consigliò la polizia, la denuncia collettiva. Io riunii le cinque donne, le invitai nel mio salone, una stanza chiusa, dove si confessarono, tremanti, ma unite. Scrivemmo denunce, allegammo screenshot, estratti conto, testimonianze. Le consegnammo al Commissario Bianchi, che ci disse che serviva una cattura sul posto.

Continuai a vivere con Alessandro, fingevo normalità, baci, risate, piani per la luna di miele. Poi, due settimane dopo, a cena, gli proposi:

Daccordo, organizziamo una piccola festa per lanniversario del nostro incontro? Al Ristorante La Stella, dove tutto è iniziato.

I suoi occhi brillavano di avidità.

Certo, tesoro! Prenotiamo il tavolo migliore, champagne, ostriche tutto il meglio!

Il tavolo migliore. E la polizia al tavolo accanto, microfoni pronti.

Quella sera indossai il mio abito più elegante, gioielli di famiglia, per fare crollare per sempre il suo castello di menzogne.

Il ristorante ci accolse come re. Tavolo su un palco panoramico, candele, violino dal vivo. Alessandro era più affascinante che mai, lusingandomi, stringendo la mia mano con occhi innamorati.

Sai,As the first chord of their wedding song swelled, they shared a lingering kiss under the dimming lights, and the promise of a real future finally settled between them.

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