Caro diario,
ogni mattina, quando il buio della notte si allunga ancora sui tetti di Milano, mi prende il nodo dei capelli dietro lorecchio, indosso il mio grembiule verde e scendo le scale dei palazzini di via Cavour. Ho trentacinque anni, e il mio sorriso è una piccola lanterna che rischiara le corridoi più scontate, più di qualsiasi neon tremolante. Da quando è nato Luca, sei anni fa, la mia vita ha preso ununica direzione: devo rendere le cose migliori per lui. Mio marito se nè andato molto prima che potesse finire nemmeno la prima frase della sua storia, e ho imparato, in una notte lunga e silenziosa, cosa significa essere sia madre, sia padre, e soprattutto una donna che non si concede il lusso della stanchezza.
Il mocio scivola sul marmo lucido, il secchio mi segue silenzioso, e io conto i passi nella testa non come un peso, ma come un sentiero. Ogni piano è un giorno pagato, una pietanza sul tavolo, un quaderno nuovo per Luca. Anche se le maniche del grembiule si inzuppano, non perdo il sorriso; lo tengo da parte per il pomeriggio, quando Luca esce dalla porta della scuola e corre verso di me con lo zaino che dondola alle spalle.
Mamma, oggi ho letto ad alta voce! mi accoglie con gli occhi scintillanti.
E le nostre scale ti aspettano di leggere anche loro, gli rispondo scherzando, e Luca scoppia a ridere.
Dopo la scuola, lo prendo per mano e andiamo insieme a pulire gli edifici che ho in cura. Una mano tiene il bordo del mocio, laltra le dita calde di Luca. Lui conosce già il ritmo: io spazzolo i corrimano, lui apre le cassette postali e le chiude ordinatamente, una dopo laltra, come se fossero libri pronti per essere letti. Quando si stanca, si siede su una gradino e legge ad alta voce dal suo libro preferito. Le parole riempiono il vano delle scale di una melodia semplice e pura.
Alcuni vicini passano di corsa, alzando le spalle; altri abbassano lo sguardo, imbarazzati di vedere un bambino studiare accanto a un secchio dacqua. Ma ci sono anche persone che lasciano alla porta una busta di mele, o un Bravo, campione!, che fa gonfiare il petto a Luca.
Mamma, mi piace qui, dice a volte. È caldo quando leggi bravo con gli occhi.
Io sospiro dentro di me. Mi rallegra vedere Luca felice al mio fianco, ma desidero una sua felicità che non profumi di detersivo. Voglio una infanzia con erba sotto le ginocchia e quaderni pieni, non una vita di scale che ricominciano in un ciclo senza fine.
Un pomeriggio freddo di novembre, con la luce breve e laria pungente, Luca legge dal suo libro al terzo gradino. Io strofino con più insistenza un angolo macchiato quando appare nella hall una signora anziana, vestita di blu scuro. Si ferma, senza disturbare, ascoltando il bambino che sillaba con cura, poi prosegue più sicura, finché le parole gli escono rotonde e belle.
Leggi molto bene, caro, le ha detto la signora. Come ti chiami?
Luca, risponde lui, alzando gli occhi lucenti.
E la tua mamma?
Maria.
La signora, che si presentò come Signora Anna, aveva insegnato per quarantanni la lingua italiana. Se volete, posso mettere alla prova Luca qui, sulla scala. Prometto di non sporcare con voti, disse sorridendo.
Ridiamo tutti e tre. Il test è in realtà una chiacchierata. Luca racconta dei suoi personaggi, di come a volte le persone cattive sono solo stanche e di come gli eroi non alzano la voce, ma fanno il loro lavoro. La Signora Anna ascolta, pone domande, e alla fine estrae da una borsa un piccolo taccuino.
Luca, scrivi così. Dieci righe al giorno. Su qualsiasi cosa: scale, pioggia, mamma. E se mi permettete, tornerò a visitarvi di tanto in tanto. Mi manca vedere i bambini che apprendono.
Il mio cuore si è acceso come una nuova lampadina. Ho detto grazie così piano che sembrava una preghiera.
La sera, tornati a casa, abbiamo mangiato della zuppa e abbiamo letto a turno una frase dal taccuino. Nei giorni che seguirono, Luca ha scritto. A volte sbagliava, a volte chiedeva, sempre desiderava unaltra riga. Io, tra due palazzine e due piani, trovavo respiro nei suoi scritti.
Qualche settimana dopo lincontro con la Signora Anna, lamministratore di uno dei condomini è sceso al piano con un giovane uomo in giacca aziendale. Ha chiesto brevemente chi fosse la donna che fa la pulizia così bene. Mi sono alzata, con lemozione di chi non si aspetta un complimento.
Rappresentiamo una società che gestisce alcuni nuovi edifici in zona, ha spiegato il giovane, di nome Marco. I vicini vi hanno consigliato. Cerchiamo qualcuno serio. Orario fisso, stipendio in contratto, assicurazione sanitaria. E (guardando Luca) potremmo organizzare un pomeriggio libero per stare con il tuo bambino.
Ho sentito le ginocchia sciogliersi. Non per i soldi anche se i 1200euro al mese sarebbero stati graditi ma per le ore che si aprivano come finestre luminose: compiti da fare in ufficio, non sulle scale; libri da leggere sul divano, non tra il secondo e il terzo piano.
Accetto, sono riuscita a dire. Grazie. Sappiate che io non faccio pulizia. Io custodisco che le persone non camminino nella vita con la polvere nel cuore.
Il giovane ha sorriso, tipico di chi è di corsa, e ha risposto: Proprio di persone come lei abbiamo bisogno.
Da quel giorno il programma è cambiato. Al mattino Luca va a scuola, io al nuovo edificio. A pranzo lo aspetto al cancello, con lo stesso mocio dietro e lo stesso sorriso, ma con le mani più riposate. I pomeriggi sono nostri.
La Signora Anna continua a comparire di tanto in tanto, come una buona stagione. Aiuta Luca a leggere e a scrivere, e il ragazzo prende coraggio. Alla festa invernale è stato scelto per leggere una pagina intera davanti ai genitori. Io sono seduta al terzo gradino, le mani giunte come in una chiesa senza icone, mentre la voce di Luca riempie laula. Gli applausi scaturiscono naturalmente. Il bambino mi cerca negli occhi, mi trova, sorride e alza per un attimo il taccuino.
Dopo la cerimonia, linsegnante lo prende sulle spalle, dolcemente.
Abbiamo un circolo di lettura e un progetto con la biblioteca comunale. Vogliamo iscriverlo. Ha orecchio per le parole e cuore per le persone.
Io annuisco, le lacrime trattenute ai bordi degli occhi.
Il tempo passa. Una sera, tornando dalla biblioteca, Luca mi ferma a metà del marciapiede.
Mamma, sai cosa ho capito?
Cosaltro, tesoro mio?
Che non sono cresciuto su scale di palazzo. Sono cresciuto su gradini. E i gradini portano sempre da qualche parte.
Rido, una risata che parte dai piedi e arriva al cranio. Lo stringo al petto e rispondo:
Sì. E il luogo dove conducono, cara, non è un indirizzo. È una persona. Tu.
Primavera, lamministratore vecchio mi chiama solo per congratularsi. I vicini hanno messo dei soldi e hanno regalato a Luca un grosso set di libri. Per il ragazzo che ci legge le scale, diceva il biglietto. Tengo il dono con cura, come se fosse un piccolo fuoco di luce.
Lestate successiva, lazienda dove lavoro aumenta il salario e mi propone di coordinare un piccolo team. Non sono più sola con il mocio; insegno ad altre donne a condividere lo sforzo, a chiedere i propri diritti, a rispettarsi. Tra una istruzione e laltra, mi ricordo sempre gli inizi: il neon tremolante, il secchio arancione, il bambino che leggeva al terzo gradino. E ringrazio, nel silenzio del mio cuore, per ogni salita.
Una domenica, a mezzogiorno, Luca arriva con un volantino stropicciato.
Mamma, cè un concorso di racconti in biblioteca. Il tema è Il mio eroe. Posso scrivere di te?
Se ti suona bene nel cuore, scrivi, dico cercando di tenere a freno lemozione.
Scriverò così: Il mio eroe non ha salvato il mondo. Lha pulito. E ogni sera mi ha mostrato che dal più semplice corridoio si può creare una classe, se hai un libro e amore.
Giro la testa per asciugare discretamente gli occhi. Non volevo rovinare la frase perfetta del mio bambino con le mie lacrime.
Il racconto di Luca ottiene una menzione speciale. Non per parole complesse, ma per la loro verità. Alla premiazione, la Signora Anna mi stringe tra le braccia.
Vedete? sussurra. Avete lucidato non solo le scale, ma anche il suo futuro.
La sera torniamo a casa a piedi. Salgo sui nostri gradini. Senza secchio. Solo con una borsa di libri e un cuore pieno.
A volte la strada verso il bene non assomiglia a unautostrada. Somiglia a una scala di un palazzo, che sali ogni giorno, con un mocio in una mano e una piccola mano nellaltra. Ma se sali insieme, alla fine non ti attende una porta ti attende una persona realizzata.





