Il Regalo di Papà

Mia madre era una bellezza stupefacente, ma quello era lunico pregio che suo padre, il professor Giovanni Rossi, amava sottolineare. Io, che lo adoravo con tutto il cuore, vedevo il mondo attraverso i suoi occhi.

Giovanni insegnava Scienze politiche alluniversità di Bologna. Proveniva da una famiglia colta, ma la sua gente non aveva subito accettato Francesca Bianchi, la mia mamma. Solo più tardi ho scoperto come si siano incontrati. Unestate, Giovanni, insieme a un gruppo di studenti volontari, fu mandato in una cooperativa agricola di Gioia Tauro per costruire recinti per gli animali. Francesca, allora sedici anni, lavorava come lattaia. Aveva soltanto lottavo anno di scuola elementare, e a malincuore imparava ancora a leggere con le dita sulla pagina, sussurrando le sillabe. Tuttavia, era una bellezza rara: pelle bianca e trasparente, capelli dorati fino alla vita, occhi azzurri come il mare di Capri e un profilo scolpito. Nella foto di nozze sembrava uscita da una rivista. Giovanni era alto, brizzolato, con una folta barba e unaria molto virile. Quella estate Francesca rimase incinta e, contro il volere dei genitori, si sposò con lui. Forse una volta laveva ammirata, ma la pressione dei suoceri, che la accusavano di aver ingannato il figlio, e le giovani laureate delluniversità, più intelligenti e ben educate, lo allontanarono. Quando Giovanni provava a portarla a cene o a incontri, lei mangiava goffamente, non sapeva usare le posate e rideva talmente forte da farlo arrossire. Lui non esitava a dirglielo, e lei scuoteva la testa con un sorriso triste, senza osare contraddirlo.

Io non volevo somigliare a mia madre. Volevo che Giovanni fosse orgoglioso di me. Prima di entrare a scuola imparai lalfabeto e lessi meglio di lei. Trascorrevo le giornate a esercitarmi con i numeri, sperando di rispondere correttamente a ogni suo esercizio e guadagnare il suo elogio. A tavola osservavo il suo modo di mangiare: bocca chiusa, niente pane a leccare il piatto, forchetta e coltello ben impugnati. Nonostante ciò, Giovanni mi concedeva solo sguardi fugaci e una carezza distratta sui miei ricci. Quando riuscivo a parlare con lui, ne conservavo ogni frase come un tesoro.

Allanno di seconda elementare Giovanni ci lasciò. Francesca non mi disse subito la verità, ma alla fine scoprii che aveva una nuova compagna. Quando sentii la parola divorzio, pensai solo a una cosa: Se solo papà mi portasse con sé. Ma rimasi con mia madre. Dovemmo lasciare lappartamento di una famiglia di nonni a Verona, che era felice di sbarazzarsi di noi. Per un po Giovanni inviava mensilmente dei piccoli trasferimenti in euro, e la nonna contribuiva durante le feste. Con la crisi economica, i suoi lavori sparirono e i soldi si esaurirono. Francesca trovò impieghi come addetta alla manutenzione, puliva i pavimenti dal mattino alla sera, ricevendo stipendi bassi e spesso in ritardo. Vivevamo nella povertà più totale e la sua bellezza svanì con gli anni. Io la incolpavo, in silenzio, per labbandono di papà.

Giovanni, però, si avviò verso gli affari. Un giorno tornò a casa con una giacca nuova e qualche euro. Era inverno, appena uscita da scuola, avvolta nel mio vecchio cappotto consunto. Stava lì davanti al portone, mentre nessuno gli apriva la porta, ma non se ne andò. Il mio cuore esplose di gioia: papà non mi aveva dimenticata! Gli offrii un tè con zucchero, parlando senza sosta dei miei successi a scuola, cercando di mostrargli quanto ero diventata intelligente. Lui ascoltava distratto, finì il tè, mi porse la giacca nuova, depose una bustina di denaro sul tavolo e disse:

Dallo a tua madre. Il prossimo mese ne porto unaltra.

Verrai al mio compleanno? chiesi timida.

Mi guardò intensamente, come se avesse dimenticato il giorno. Poi rispose:

Certo! Cosa vuoi?

Una bambola! esclamai, arrossendo. Avevo già quelletà, ma quelle parole uscirono da sole. Di solito mi regalava libri.

Va bene, annuì, ti comprerò una bambola.

Quando Francesca tornò, le raccontai con orgoglio della visita di papà e della promessa della bambola.

Il giorno del compleanno corsi a casa a tutta velocità, temendo che papà non arrivasse. Speravo di trovarlo sul portico, ma non cera nessuno. La madre, la sera prima, aveva preparato una torta e mi regalò un maglione di tendenza con motivi floreali, il cui sogno avevo coltivato da tempo. Non toccai la torta, aspettando papà. Quando non arrivò, la mangiai insieme a mia madre, ma il mio cuore era vuoto e finii in lacrime. Francesca non disse nulla su papà.

Il giorno dopo, Francesca mi porse una scatola:

È una consegna del postino. Era in ritardo, ma è di papà.

Aprii la scatola: dentro cera una bambola nuova, avvolta in una confezione rosa scintillante. Ecco, esclamai, perché non è venuto di persona?

Probabilmente è stato mandato in trasferta, rispose la madre, distogliendo lo sguardo.

Quella bambola divenne il mio tesoro più caro. La portai a scuola senza temere i compagni. Papà non tornò più, né la nonna inviò altri trasferimenti di denaro. Con il tempo accettai che nella mia vita cerano solo madre e io, ma ogni giorno speravo ancora che papà tornasse, che vedesse quanto ero cresciuta e ne fosse fiero.

Dopo lundicesimo anno, entrai nella Facoltà di Medicina a Roma. Sentii il bisogno di raccontare la notizia a papà e, decisa a trovarlo, ricominciai a ricordare lindirizzo dellappartamento dove avevo vissuto otto anni, quello dei nonni dove solo le feste erano state celebrate. Senza dire nulla a Francesca, partii.

Allappartamento di Giovanni trovai una donna che mi disse che non cera più nessuno lì, che viveva lì da sette anni. Cercai di capire chi fossero gli abitanti precedenti, ma lei sbatté la porta.

Ai nonni nessuno rispondeva. Stavo per andarmene, quando una vecchia signora con grandi occhiali aprì la porta accanto e chiese:

Posso aiutarla?

Sono venuta da Sergio. Sono sua nipote.

La signora mi guardò attentamente e rispose:

Se sei sua nipote, dovresti sapere che sono sepolti da anni.

Rossi il volto.

Non lo sapevo i miei genitori si sono separati, e io

Sì, sì, divorziati Allora sei tu, Maristella?

Sì.

Vuoi vedere i nonni?

Sì, e anche papà, sospirai.

La donna mi fissò, quasi a leggermi dentro.

Tutti loro sono morti. Per debiti. In un giorno. Colpe del tuo padre

La verità mi travolse, lasciandomi senza fiato.

Non è il caso di farti del male, mi sgridò la vecchia. Sei giovane, hai tutta la vita davanti. La madre è ancora viva?

Annuii.

Ti darò gli indirizzi delle loro tombe. Li ho annotati da qualche parte. Vai, parlerai con loro, ti sentirai meglio.

Scavò tra i cassetti finché non trovò un taccuino. Mi dettò i numeri e il nome del cimitero. Lo ringraziai e, prima di partire, il terrore mi avvolse completamente.

Le tombe erano un cumulo di erbacce, trascurate. Rimuovi i rami, leggi le iscrizioni. Tutte erano allineate dietro un unico cancelletto. Quando lessi la data di morte, capii che era a due giorni dal mio ultimo incontro con papà.

Tornando a casa, tremando su un tram vecchio, mi colpì il pensiero che papà non potesse mai inviarmi quella bambola per il compleanno. Lavevo custodita fino ad oggi, tenendola al di sopra di tutti gli altri regali di Francesca. Forse quella bambola era stata, in realtà, un regalo di madre. Un rossore mi coprì le guance, una sensazione di nodo nella gola. Mi vergognai. Mio padre era un bandito che aveva distrutto la famiglia. Per fortuna non vivevamo più tutti insieme, altrimenti saremmo finiti accanto a lui.

Non raccontai nulla a Francesca del viaggio. Mentii dicendo che ero uscita con le amiche. Poi la abbracciai, le dissi che la amavo e mentii ancora:

Grazie di tutto.

Francesca, sorpresa, alzò gli occhi, ancora un po velati dal tempo, ma ancora del colore del suo azzurro.

Ho sempre saputo che la bambola era un tuo dono. Per questo lho sempre amata.

Le lacrime le rigarono le guance. Non provai più vergogna per le bugie, ma per tutti gli anni in cui avevo creduto che non ci fosse nulla di bello, tranne la bellezza che svanisce in un attimo

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