Fate come vi pare

**Diario di un Uomo**

“No, Chiara, non contare su di me. Ti sei sposata, ora stai con tuo marito, non con me. Non ho bisogno di estranei in casa mia,” tagliò corto Elena.

Chiara deglutì a fatica, stringendo il telefono con forza. Un nodo le serrò la gola. Non si aspettava un rifiuto così sprezzante.

“Mamma… non è uno straniero. È mio marito, tuo genero. Non ti chiediamo di comprarci un appartamento, solo di stare da te per un po, finché non mettiamo da parte il deposito per un mutuo.”

Una breve risatina irritata le rispose.

“Lo so come funziona. Ti fermi per un po e poi non te ne vai più. Prima il deposito, poi i lavori, e poi chissà cosaltro. E io non avrò più pace. No, Chiara, non offenderti, ma io e tuo padre ce la siamo sempre cavati da soli, senza pesare su nessuno. Fate lo stesso anche voi.”

“Mamma, ma come da soli?” insisté Chiara. “Sai bene che lavoriamo entrambi, risparmiamo su tutto. Ma quasi tutto lo stipendio se ne va in affitto. Con questi prezzi, ci vorranno anni per mettere da parte qualcosa.”

“E a chi va bene ora?” La voce di Elena si fece secca. “Io e tuo padre non abbiamo mai vissuto un giorno con i nostri genitori. Ce labbiamo fatta da soli e non ci siamo mai lamentati.”

“Da soli, da soli… Mamma, non raccontarmi queste storie. Io ricordo tutto! Ricordo come la nonna vi ha aiutato.”

“Non è la stessa cosa. La nonna ci ha aiutato perché voleva e poteva. Noi non le abbiamo chiesto nulla. Mi sono guadagnata questa casa con le unghie e coi denti, a differenza di tuo”

“E io non ti ho chiesto di farmi nascere nella miseria,” sbottò Chiara, riagganciando.

Dentro di lei ribolliva di rabbia. Forse sua madre aveva il diritto di dire di no, ma il modo in cui laveva fatto… come se avesse costruito un impero da zero, e Chiara, ingrata qual era, volesse approfittarsene. Ma la verità era ben diversa.

…Quando Elena scoprì di essere incinta, non era nemmeno sposata. Marco, il padre di Chiara, era un tipo leggero, ancora immaturo, e non cercava responsabilità. Sua madre era uguale, divorziata da anni e sempre alla ricerca della felicità. Così, Elena si rivolse a nonna Rosa, la madre di Marco.

Rosa, saputa la notizia, scoppiò in lacrime di gioia, abbracciò Elena e promise di aiutarla.

“Non pensarci nemmeno, tesoro, tieni il bambino. E parlerò io con Marco,” la rassicurò. “E visto come stanno le cose, forse vi lascerò la casa. Io andrò a vivere da mia figlia. Tanto qui sto male da sola, e a Lucia servirà una mano. E voi avrete un posto dove crescere il bambino.”

“Rosa, ma che dici?” Elena non credeva alle sue orecchie. “È una casa intera, non un ripostiglio!”

“Non me la porterò nella tomba. Io non sono stata felice, ma almeno tu sii felice,” sospirò la donna.

Rosa mantenne la promessa, anzi, fece di più. Trasferì la proprietà a Elena, sapendo che suo nipote non era un marito affidabile. Elena poi vendette la casa per comprare un bilocale in città.

Con la nascita di Chiara, nulla cambiò. Marco continuò a fare il gradasso e a tradirla, e il suo contributo alla famiglia si limitava allo stipendio. Quando lo portava a casa.

Elena sapeva tutto, ma decise di sopportare. Si lamentava, piangeva, ma non lo cacciò mai.

“I bambini stanno meglio con entrambi i genitori,” diceva a sua madre quando le consigliava il divorzio. “Quando Chiara compirà diciotto anni, allora me ne andrò.”

Ma Chiara la pensava diversamente. Meglio una madre sola e crescere in fretta, che fare da spugna per lacrime altrui, sentire litigi e dover separare i genitori.

Elena resistette fino ai diciotto anni di Chiara e, come promesso, chiese il divorzio. La ragazza si illuse che finalmente tutto sarebbe migliorato. Ma si sbagliava.

“Ora siamo solo noi due. Siamo entrambe adulte, quindi ci divideremo le spese,” annunciò Elena. “Questo mese riposati, ma dal prossimo, bollette e spesa a metà.”

Chiara studiava alluniversità e fu sconvolta. La sua borsa di studio era una miseria, appena sufficiente per il pane. Elena, però, era abituata a mangiare bene: carne, pesce, verdure. Chiara propose di tenere dispense separate, ma era inutile.

Nessun lavoretto le avrebbe permesso di pagare la sua parte. Dovette cercare un lavoro full-time.

Dopo sei mesi, Chiara lasciò luniversità. Avrebbe potuto passare al part-time, ma sapeva che anche quello richiedeva tempo, e lei non ne aveva. E quale datore di lavoro avrebbe tenuto una studentessa?

Quella decisione la perseguitò ancora. Ovunque cercasse lavoro, preferivano chi aveva un diploma. Anche per impieghi umili.

Allinizio si incolpò, ma poi, parlando con altri giovani, capì: non le era stato dato un vero inizio.

Elena reagì con freddezza alla notizia.

“Vuol dire che non era la tua strada,” disse semplicemente.

Da quel giorno, vissero come coinquiline. Senza litigi, ma anche senza affetto.

Passarono dieci anni. Chiara si sposò con Luca, un elettricista. Affittavano un monolocale in periferia. Lo stipendio di lui era misero, e i lavori extra servivano solo a tappare buchi: scarpe nuove, cure dentistiche, bollette. Mettere da parte qualcosa era difficile.

“Se continua così, ci vorranno dodici anni per il deposito,” sospirò Luca una sera, guardando il conto in banca.

Fu allora che Chiara decise di parlare con sua madre. Elena aveva un bilocale con una stanza libera.

Ma, a quanto pare, Elena non aveva intenzione di accoglierla. Men che meno con un “estraneo”.

Chiara non sapeva come prenderla. Capiva che la vita di sua madre non era stata facile. Forse, al suo posto, si sarebbe irrigidita anche lei. Ma faceva comunque male. Anni di sacrifici, senza chiedere nulla, e al primo bisogno, solo freddezza e “arrangiatevi”.

Ebbene, se dovevano arrangiarsi, lo avrebbero fatto. Chiara aveva un piano B. Una casa al mare, di cui si era quasi dimenticata.

“Tu, Elena, hai già il tuo. Lascia che anche Chiara abbia qualcosa,” aveva detto un giorno la nonna materna.

Quando la nonna morì, Chiara aveva dodici anni. Elena si occupò della casa: piantava patate, zappava lorto, litigava con i vicini. Chiara non si sognò mai di reclamarla. Ma se ora sua madre si vantava della sua indipendenza, perché non seguirne lesempio?

Due giorni dopo, Chiara richiamò. Con un tono diverso.

“Mamma, ti avviso. Porta via le tue cose dalla casa al mare. La affitteremo.”

Un silenzio. Poi un ghigno.

“Affittare? E chi te la prenderebbe?”

“Non è affar tuo. Tanto è inutilizzata, pago solo le tasse per nulla.”

“Come non è affar mio? Se non ci fossi stata io, sarebbe marcita! Lho curata, ho speso soldi, riparato il tetto… Tu non hai mai fatto niente!”

“Nessuno te lha chiesto. Lo hai fatto di tua volontà,” la interruppe Chiara. “O ritiri le tue cose, o la affitterò con tutto dentro.”

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