Lasciami in Ospedale: Le Pressioni della Famiglia

Lasciala in ospedale, mi insistevano i parenti.
Ma perché lhai presa in braccio? urlava il marito, indicando la neonata sul cuscino. Ti hanno detto il diagnosi, ricordi?

E io, nonostante tutti pensassero il contrario, mi difendevo: anche il mio amato Alessandro e tutti gli zii lo credevano.

Mia madre Nadia, la nonna di Ginevra così lavevo chiamata sparava:
Ma dai, Oliva! Non è il caso di unaltra nascita! Che trauma! Prendi una carrozzina, così non cadi quando cammini, tesoro!

Ci avevano detto che non avrebbe vissuto a lungo. E così, hanno proposto di lasciarla al reparto di ostetricia. Era una decisione naturale: non tutti i genitori riescono a gestire uno shock così grande. Se a volte le mamme lasciano anche bambini sani, con un malato è un altro discorso

Il piccolo non piangeva: le labbra erano una sfumatura bluastra e le dita avevano la punta azzurrina, quello che i medici chiamano acro-cianosi. La diagnosi era un difetto del setto ventricolare intermedio, un difetto cardiaco di media gravità: si può sopravvivere, ma è una lotta.

Il dottore lo confermò. Poi io decisi di portare Ginevra a casa: in ogni questione legata a un figlio, lultima parola spetta alla madre.

E qui è iniziato tutto.

Il cariñoso marito e il papà se ne andarono quasi subito, quando capì che non avrei rinunciato alla bambina. Lultima volta che lo sentii urlare fu: se cambiassi idea, forse tornerò. E se vuole ancora costruire una vita con me, che si decida in fretta.

Era amore, quel legame tra me e Alessandro. Ma non incolpavo il marito: non tutti sono disposti a sacrificarsi, e in quel caso, dovevo farlo io.

Alla fine, Alessandro arrivò con la bambina, ma senza fiori né palloncini. Che festa, eh? Le nonne da entrambe le parti avevano già detto: lasciala in ospedale, quel peso non ci serve.

E voi dite che non esistono i figli di altri? Io cercavo di capire il punto di vista dei parenti e del marito, ma non riuscivo a tirare nemmeno un fiore di scarsa bellezza. Nessuno mi dava supporto, tranne un vecchio amico di scuola: il mio caro Michele Corstile, innamorato di me da quando eravamo piccoli.

Lui era lunico a stare con me. Alessandro non voleva più sentirlo:
Non cè amicizia tra uomini e donne, non mi mettere la testa sotto lacqua! Non crederò mai che ci fosse qualcosa tra noi!

Così Michele e io ci rassegnammo. Ma spesso ricordavo il mio amico di infanzia Alessandro, il ragazzo allegro di una famiglia semplice, che la mamma Nadia non sopportava.

Ecco, Alessandro è diverso! È un tipo a posto, non come quel tizio del reparto che dopo il college lavora in fabbrica. Oggi, le fabbriche stanno inserendo nuove tecnologie, ma Michele era operatore di macchinari e ne era fiero.

Sai, Olivetta mi chiamava così, facendo arricciare la bocca a Nadia, che lo odiava ho preso un aumento! Forse tua madre ti lascerà sposarmi?

Michele sperava che, se la mamma approvasse, io diventassi sua moglie: eravamo amici da tanto tempo! Il suo amore per me non aveva dubbi.

Ma io ero già innamorata di Alessandro, il ragazzo di buona famiglia che la mamma aveva approvato.

Questo sì che è bello, da mostrare alle amiche! Non come quel tuo fan, povero come due soldi!

A Ginevra non importava perché la sua mamma, una donna forte, aveva convalidato la mia scelta. Se non fosse stato così, avremmo avuto problemi con quella signora autoritaria, che vuole tutto a modo suo.

Una volta mi minacciò:
Come osi disobbedire, scema? Da ora non ho più una figlia! E non osare più avvicinarti a me!

Alla fine, portare Ginevra a casa mi regalò una vita simile a quella di Katia Tikhomirova in quel film russo, ma con una grave patologia. Non era facile saltare da una realtà dura a una felice, come in quel film.

Io non pensavo che tutti mi avrebbero voltato le spalle: il marito, le due mamme, il papà, gli zii. E tutta la famiglia stava dalla parte di Nadia:
Sei impazzita? Vuoi tornare a piangere? Riportala indietro, Alessandro tornerà presto!

Tutto il mondo era felice per Alessandro, ma io, tradita da tutti, non volevo che tornasse. Amavo ancora il marito, ma dentro di me la fiamma cominciava a spegnersi.

Era chiaro che non avremmo più vissuto mano nella mano. In un giorno, Alessandro se ne andò, portando le cose a casa; lappartamento era mio, ma lui avrebbe preso i mobili più tardi.

Io rimasi sola con il mio dolore e con Ginevra malata, lontana dal sogno di una cameretta rosa. Alessandro aveva messo la carta da parati: La mia figlia avrà il meglio!

Ora la stanza era rosa, i mobili bianchi, ma il futuro di Ginevra era incerto. Non piangevo, ma le emozioni erano tutte dentro.

Allora chiamai Michele, quasi perduto di vista: «Ehi, fratello, ti ricordi di me?» Il marito era contrario, ma lui era già stanco di mele marce.

Michele, comprensivo, si avvicinò come un treno desiderato: aveva sopportato anni di attesa nella sala dattesa.

In casa iniziò il trambusto: mi calmai con un tè al latte, come si fa. Michele andò al supermercato e comprò tutto per il piccolo come lui chiamava Ginevra già pronto. Spostammo la culla in unaltra stanza, così dovevo stare a portata di mano.

La stanchezza mi colpì, ma Michele, sempre lì, mi rassicurò: «Non preoccuparti, Olivetta, ti tengo docchio».

Mi svegliai con il pannolino cambiato, il brodo a sobbollire, Michele che dormiva accanto a Ginevra, io sullaltro lato del letto matrimoniale. Unimprovvisa calma mi pervase: ce la faremo, tre di noi, passo dopo passo.

Michele veniva ogni giorno, aiutandomi sia fisicamente che con i soldi: le cure erano costose. Assunsero una tata per qualche ora al giorno.

Di sera, Michele portava Ginevra fuori per una passeggiata e la faceva fare il bagnetto; da sola non ce lavrei fatta. Nessuno chiamava.

Un mese e mezzo dopo, Alessandro tornò per riprendere le cose:
Sapevo che eri dietro le mie spalle e che quell non è mio! Nessuno nella nostra famiglia è difettoso! Non chiamare mia madre! E non sperare negli alimenti!

Io non speravo più a nulla, né agli alimenti.

Allora Michele spinse fuori il ragazzo arrogante:
Vattene, programmatore!

Il programmatore se ne andò, e io chiesi il divorzio. Il padre biologico non riuscì a sottrarsi agli alimenti.

Il tempo passava, le cure funzionavano: Ginevra cominciava a colorarsi di rosa. Unoperazione era in agenda, con data fissata.

Michele era sempre al mio fianco, non per gratitudine, ma perché sentivo di averlo bisogno.

Lintervento fu un successo, il periodo post-operatorio senza complicazioni, poi la riabilitazione. Quando Ginevra tornò a scuola, fu iscritta a un laboratorio di folklore: cantava canzoni popolari con orecchio assoluto.

Nel frattempo il mio blog, avviato grazie a Michele, spopolava: foto, video, canzoni di Ginevra. Il pubblico amava la storia della bimba che aveva superato una grave malattia.

Le mie relazioni con la mamma rimanevano fredde; non mi perdonò nemmeno per la disobbedienza. Quando Ginevra vinse un concorso, la ex suocera chiamò:
Olivetta, la bambina è come il mio Alessandro, è la stessa faccia!

Poi il vecchio marito ricattò:
Scusa, mi sono scaldato. Adesso voglio vedere te, me e Ginevra insieme. Posso parlare con la tua figlia?

Ginevra, che sapeva di avere due papà, rispose:
Perché? Non lo conosco! Di cosa parleremmo?

Così, cari, la storia è finita: la vita è un po come una ciambella, a volte ti resta il buco, a volte il tutto. Domani la mamma Nadia, sempre attenta alle apparenze, mi telefonò per un complimento sulla bambina, ma io, stanca di rancori, lho perdonata.

Alla fine, ho cresciuto una bambina sana, bella, talentuosa. Michele è diventato un papà vero, e questo vale più di mille euro.

Che ne pensi? Spero ti sia piaciuta questa chiacchierata, ti racconto tutto più in dettaglio la prossima volta.

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